Cinema e Televisione sono da sempre due entità ben separate, con prodotti e formati differenti, e soprattutto con modalità di fruizione agli antipodi. Se il cinema è sì un’esperienza collettiva, ma allo stesso tempo singola, in cui ogni spettatore se ne sta da solo immerso nel buio della sala e osserva le immagini su uno schermo gigante, la TV si colloca invece in una dimensione più familiare, in cui gli spettatori condividono in maniera più diretta quello che stanno vedendo.
Proprio per questa differenza tra i due media, il cinema è sempre stato rivestito da un’aura di raffinatezza e intellettualità di cui invece la televisione non ha mai goduto, ancorata invece a tematiche e argomenti molto più popolari.
Negli ultimi anni però, il cinema e la TV hanno iniziato un lento processo di contaminazione che ha portato poi a tutto quello che vediamo oggi, ovvero a una serialità che (complice anche l’avvento delle piattaforme) ha introiettato molte delle caratteristiche dei film che eravamo abituati a vedere in sala.
E proprio grazie a questa trasformazione del media TV, abbiamo potuto osservare quello che è lo step successivo, ovvero la discesa in campo seriale di tutti quei maestri del cinema che un tempo snobbavano la televisione e che negli anni hanno deciso di cimentarsi con un formato diverso da quello a cui erano abituati.
Nonostante non tutti gli esperimenti siano riusciti perfettamente (Crisi in sei scene di Woody Allen ne è un esempio lampante), ecco 5 grandi serie TV di grandi registi del cinema.
Twin Peaks (1990-1991 / 2017) – David Lynch
Come potevamo non cominciare con la madre di tutte le serie TV, la prima che si è veramente guadagnata l’appellativo di “cult”? Nel 1990 David Lynch aveva già fatto parlare di sé per i suoi esordi con film del calibro di Eraserhead, The Elephant Man e per l’adattamento del romanzo di Herbert, Dune. Ma è con Twin Peaks che il regista statunitense, assieme a co-creatore Mark Frost, spicca il volo e si consacra come uno degli autori più importanti (e indipendenti dalle logiche commerciali) di quel periodo.
La storia prende il via dall’omicidio di Laura Palmer (Sheryl Lee), studentessa modello della piccola cittadina di Twin Peaks, che scuote la vita di tutti gli abitanti. L’arrivo dell’agente dell’FBI Dale Cooper (Kyle MacLachlan) mette in moto una serie di eventi che porteranno alla luce i segreti più macabri e scabrosi del paese.
Ma la storia di Twin Peaks non si può spiegare in poche parole, è un’esperienza che ogni individuo dovrebbe fare singolarmente, calandosi nelle dinamiche e nelle atmosfere affascinanti (accompagnate dalle leggendarie musiche di Angelo Badalamenti) della cittadina più famosa della storia della TV.
Nel 2017 è uscito un revival della serie in cui vediamo tutti i personaggi 25 anni dopo rispetto ai fatti della storia originale e che, nonostante perda un po’ di effetto sorpresa, mantiene intatti la qualità e il mood del 1990.
E chissà se vedremo mai una “quarta stagione”.
Band of Brothers (2001) – Steven Spielberg
Questo è un po’ un caso limite, nel senso che Steven Spielberg in realtà non ha mai diretto nessun episodio di questa serie TV, ma essendone in creatore e produttore assieme a Tom Hanks, era comunque opportuno inserirlo in questa lista. Band of Brothers non è soltanto miglior prodotto seriale di guerra della storia della TV, ma è anche una delle opere episodiche più belle di sempre.
Tratta dal romanzo Banda di Fratelli di Stephen Ambrose (già consulente per Salvate il soldato Ryan dello stesso Spielberg) la serie HBO racconta la storia della Compagnia Easy, una divisione di paracadutisti dell’esercito degli Stati Uniti impegnata durante la Seconda Guerra Mondiale. Vedremo quindi il gruppo sin dall’addestramento in patria, fino ad arrivare a mostrarci l’impatto traumatico di questi ragazzi con la realtà della guerra in Europa. Scenograficamente incredibile, con una scrittura pressoché perfetta e capace di immergere lo spettatore in un contesto terribile ed emotivamente molto forte, Band of Brothers non ha praticamente difetti, considerando anche l’incredibile cast a disposizione di Spielberg: Damian Lewis, Simon Pegg, Michael Fassbender, James McAvoy, Tom Hardy, Donnie Wahlberg, David Schwimmer, alcuni alle prime armi, altri già più affermati nessuno degli attori sovrasta l’altro, proprio perché la vera protagonista della serie è proprio la Compagnia Easy nel suo insieme.
Nel 2010 la coppia Spielberg-Hanks ha prodotto The Pacific, una sorta di sequel spirituale di Band of Brothers, che mantiene intatta la qualità dell’opera originale, mentre è attualmente in lavorazione (con uscita a gennaio 2024) un terzo capitolo della trilogia seriale intitolato Masters of the Air.
Vinyl (2016) – Martin Scorsese
Altro giro, altro regista leggendario. Da poco al cinema con Killers of the Flower Moon, il regista di capolavori come Toro Scatenato o Taxi Driver, Martin Scorsese,ha fatto centro anche quando si è trattato di serie TV. Già tra il 2010 e il 2014 aveva prodotto e diretto l’ottimo Boardwalk Empire, ma due anni più tardi, assieme al leggendario frontman dei Rolling Stones, Mick Jagger, Scorsese crea Vinyl, una serie che racconta il mondo della discografia negli anni ’70.
In Vinyl (a partire dal pilot della durata monstre di 108 minuti), tutto è incredibile: la colonna sonora eccezionale, il citazionismo agli anni d’oro della musica statunitense, la ricostruzione perfetta dei ‘70, le inquadrature vorticose e psichedeliche che richiamano un periodo visto con nostalgia dallo stesso Scorsese, ma anche da buona parte del pubblico. Peccato però che è stato proprio il pubblico a tradire Vinyl: la serie di Scorsese era veramente molto costosa per HBO e la risposta di share non è stata sufficiente a giustificare un rinnovo per una seconda stagione.
A torto o a ragione, Vinyl resta comunque una serie magistrale in cui la mano di Scorsese (e di Jagger) si vede in maniera pesante. E chissà se da qui al suo ritiro dalle scene (che sembra ancora molto lontano), il maestro ci regalerà una nuova serie TV del calibro di Vinyl.
The Young Pope (2016) – Paolo Sorrentino
Cosa accadrebbe se un regista di cinema come Paolo Sorrentino portasse tutta la sua estetica e la sua visione in TV? Ecco, The Young Pope sarebbe esattamente la risposta. In una improbabile co-produzione Italia-Francia-Spagna, la serie si Sorrentino segue la storia di Lenny Belardo (Jude Law), carismatico arcivescovo di New York che si ritrova a essere il più giovane Papa della storia del Vaticano.
Il taglio della serie è esattamente quello dei film di Paolo Sorrentino in quel periodo: non è un caso infatti che The Young Pope si posizioni cronologicamente dopo La Grande Bellezza e Youth, e poco prima di Loro. La storia di Lenny Belardo contiene molti più colpi di scena di quello che si possa credere, e nonostante molti momenti “alla Sorrentino”, che potrebbero sembrare quasi no-sense, la sceneggiatura firmata da Umberto Contarello si difende alla grande. E soprattutto, Jude Law e Silvio Orlando nei panni del Segretario Voiello, donano una profondità incredibile ai propri personaggi, elevando ancora di più la qualità della serie.
Nel 2020 è uscito un sequel intitolato The New Pope incentrato su un nuovo Papa interpretato da John Malkovich.
Too Old to Die Young (2019) – Nicolas Winding Refn
N.W. Refn è ormai da qualche anno uno dei registi più interessanti del panorama europeo, con opere molto diverse tra di loro come Valhalla Rising o Drive, fino ad arrivare a quello che probabilmente è ad oggi il suo film migliore, ovvero quel tripudio di simmetria e fotografia che è The Neon Demon.
Nel 2019 però, Refn si cimenta con la serialità e grazie agli Amazon Studios dirige una serie in 10 puntate intitolata Too Old to Die Young, con protagonista Miles Teller nei panni di un detective che decide di diventare una sorta di giustiziere che uccide gli assassini più pericolosi degli Stati Uniti.
Ciò che più colpisce in Too Old to Die Young è la cifra autoriale che permea tutto il progetto: la fotografia è bellissima e sempre ben riconoscibile, mentre a livello di scrittura e montaggio non sempre Refn rimane ancorato alle classiche regole di linearità e si sente libero di sperimentare andando a creare un effetto molto affascinante seppur, alle volte, un po’ troppo caotico.
Purtroppo, come nel caso di Scorsese, anche la serie di Refn è stata cancellata anzitempo. Ma forse, tornando al discorso iniziale, seppur il cinema e la serialità si sono mischiate sempre di più formando un nuovo ibrido fatto di contaminazioni e idee originali, la TV non è ancora del tutto pronta (e chissà se lo sarà mai) ad abbracciare completamente un certo tipo di cinema.
E probabilmente è giusto che sia così.