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The Neon Demon

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Il ritorno a Cannes nel 2016 per il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico danese Nicolas Winding Refn non ha di certo lasciato indifferenti le platee. Al contrario, dopo il successo ottenuto con Drive e Solo Dio perdona – entrambi con protagonista Ryan Gosling – Winding Refn con The Neon Demon si cimenta in un nuovo ‘modello’ narrativo. Completamente opposto rispetto alle pellicole precedentemente citate, l’ultimo lavoro del cineasta predilige uno sguardo più sofisticato, femminile, ma non meno brutale.

Se pur espressamente pensato per un target di teenager, The Neon Demon  è stato classificato in America come R (restricted), vietato ai minori di 17 anni non accompagnati. Non si smentisce così Winding Refn che colleziona una serie di film disturbanti o, come vengono definiti da lui, film di rottura dallo stile punk. Avvalendosi del genere musicale più ribelle della storia, il cineasta crede che un buon film debba suscitare delle emozioni forti e controverse nello spettatore che, dopo la visione, è chiamato a riflettere sulle simbologie e i significati occulti che volutamente sono stati traslati in secondo o terzo piano.

La storia di The Neon Demon è forse la più semplice e lineare del suo cinema, tutto si svolge in ordine cronologico senza l’intromissione di espedienti narrativi che deviano lo spettatore in vie traverse rispetto a quella principale. La sedicenne Jesse (Elle Fanning), aspirante modella trasferitasi da poco a Los Angeles, è vittima di soprusi fisici e psicologici da parte di alcune ragazze più grandi di lei, palesemente invidiose della sua bellezza. Il viso angelico della protagonista è il vero primo punto di rottura visibile sullo schermo. La bellezza grezza, naturale, la rendono appetibile agli occhi dei casting director come “un diamante in un mare di vetro” (afferma uno di loro). L’imperfezione fisica, dovuta all’assenza di ritocchi, diventa perfezione estetica e paradossalmente la chirurgia viene vista negativamente. Persino la morte è elogiata in quanto contenitore di bellezza, morire in giovane età è una dote perché solo con il decesso è possibile arrestare la fase dell’invecchiamento naturale. (La teoria trova fondamenta nel titolo che in origine era stato pensato per il film The wicked die young – I malvagi muoiono giovani).

Il demone della luce, anticipato nel titolo ufficiale, è quello che si nasconde e si sviluppa nelle viscere della protagonista. L’inconsapevolezza iniziale di Jesse tramuta in sicurezza e, nell’arco narrativo, la protagonista percorre un cammino verso la coscienza. Cammino, perché la scoperta del suo vero essere va di pari passo con il ritmo della narrazione; e il mutamento (lento) genera un’escalation che raggiunge il massimo sviluppo solamente nella parte conclusiva. Accolta e inghiottita in una realtà ricca di lati oscuri, la ragazza cerca di domare quelle ombre che la perseguitano, la tentano, la trasformano fino a sopraffarla del tutto.
I malesseri di Jesse ricordano le stesse inquietudini che turbavano Carol, la protagonista di Repulsion (1965) di Roman Polanski. I disturbi del sonno, le allucinazioni sempre più frequenti e reali ingabbiano le due fragili donne che non riescono ad opporsi al mondo e alla società che abitano. Le sofferenze, in entrambi i casi, sono anticipatori di un cambiamento risolutivo, un cambiamento che porterà all’annullamento dell’essere.

The Neon Demon può essere definito un eccellente racconto per immagini perché esprime e sottolinea, attraverso escamotage visivi, alti e bassi della sceneggiatura. Centralità degli spazi e meticolosità della scena confermano ancora una volta l’attenzione e la dedizione che il regista pone sulla scelta dei colori. La gelosia si tinge di rosso, alimentata dalla forte passione che diviene violenza, ed entra in contrasto con la purezza espressa dal blu e dai pochi momenti in cui predomina il bianco. Le scenografie entrano in sintonia con le tonalità dei corpi che le occupano creando in ogni inquadratura un’omogeneità visiva. Merito anche delle scelte registiche di Winding Refn che, con i suoi piani fissi, delimita i protagonisti come in un opera d’arte. In The Neon Demon il regista sceglie di adottare linguaggi estrani al cinema ma che appartengono e caratterizzano il mondo della moda. I personaggi subiscono spesso un processo di disumanizzazione e si prestano alla staticità della macchina da presa, l’immobilità degli interpreti viene utilizzata come provocatore dello sguardo dello spettatore, non abituato ad assistere alla fissità dei corpi.

Altro entità estranea ma ricorrente è lo specchio, che restituisce agli occhi di chi si ammira una fedele riproduzione della sua figura, considerato come il rivelatore assoluto di bellezza. Nel caso di The Neon Demon però anche gli specchi diventano arnesi nelle mani del regista che allunga, comprime e sfalsa la realtà. Nella maggior parte delle inquadrature in cui subentrano gli specchi, la macchina da presa sceglie di soffermare la sua attenzione sui riflessi e non sui corpi autentici, preferendo l’immaterialità alla materia. Questa attenzione viene posta maggiormente sulla protagonista, facendo sorgere alcuni punti di domanda: Sarà un indizio sulla dualità del suo personaggio?

VOTO: [usr 3,0]

Alessandro Marangio
Alessandro Marangio
Critico cinematografico per la RCS, ho collaborato per anni con le più importarti testate giornalistiche, da Il Messaggero a La Stampa, come giornalista di cronaca, passando poi per Ciak, Nocturno, I Duellanti (Duel) di Gianni Canova, Cineforum e Segnocinema, come critico cinematografico.
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