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Drive: l’action glaciale di Refn

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“Ci sono 100.000 strade in questa città. Dimmi l’ora e il posto e ti do un margine di 5 minuti. Qualunque cosa succeda in quei 5 minuti, sono a tua disposizione. Qualunque cosa succeda passati i 5 minuti, sei da solo.” Tutto chiaro? Non sappiamo chi sia quell’uomo dal bomber argenteo che pronuncia queste parole. Non lo sapremo mai. Il protagonista di questa storia non ha nome. Ci ha avvertito. Ci lascerà soli, alla fine di questa vicenda, senza spiegazioni, né congedi. Espressione imperturbabile, fare risoluto, mani salde sul volante. Siamo pronti a sederci sul sedile posteriore della sua auto e a lasciare che ci conduca a tutta velocità fin dentro ad una storia tanto eccitante quanto violenta? “Drive” di Nicolas Winding Refn è tagliente come un rasoio.

Drive

Non ci sarà concesso il tempo di metterci comodi, che lo si voglia o meno si è già immersi nel traffico notturno di Los Angeles e l’uomo alla guida ha tutta l’aria di non voler lasciarci andar via così in fretta. Tutta l’intensità comunicativa nella costruzione delle immagini di cui è capace il regista danese trova piena espressione in questa pellicola del 2011, divenuta ben presto potente manifesto urbano della post-modernità. Premio alla migliore regia al Festival di Cannes, “Drive” ha consacrato Refn come uno degli autori più eclettici e interessanti del cinema contemporaneo. Refn è da sempre incuriosito dal lato oscuro dell’eroismo, da quelle pulsioni che unite alla capacità di aderire rigidamente ad un codice di regole possono condurre alla perdita dell’equilibrio, alla follia. Così nascono il suo “Bronson”, biopic che racconta la storia del violento prigioniero britannico Charlie Bronson, e il torpido “Valhalla rising – regno di sangue”, un sanguinolento viaggio verso la redenzione. Il protagonista di “Drive” è intriso della stessa essenza: in cammino verso l’espiazione e condannato della sua stessa inarrestabile ferocia.

Drive

Una doppia natura quella del protagonista: di giorno stuntman per il cinema e di notte pilota per la criminalità, così come in Drive di Walter Hill. L’autista senza nome (Ryan Gosling) ci guida là dove l’amore per la bella Irene (Carey Mulligan) è solo sussurrato, una fantasia disperata, un’aspirazione. Un’intesa di soli sguardi a cui il glaciale e silenzioso driver non può non arrendersi. Irene aspetta il ritorno del marito dal carcere. Ha un figlio. Vive nella casa accanto alla sua. Vorrebbe essere portata lontano da una vita che non sembra essere quella che avrebbe voluto. Quando il marito Standard esce dal carcere la situazione precipita. Standard (nome che suggerisce la mancata eccezionalità della personalità dell’uomo) ha dei debiti e Driver si offre di fargli da autista per il colpo che dovrebbe porre fine alla vicenda. Le cose prenderanno prevedibilmente tutta un’altra piega.

Drive

La storia del pilota senza nome con abilità fuori dal comune messe a disposizione del crimine non è nuova. Uno script decisamente ordinario. Il sentimentale personaggio incarnato da Gosling è di una virilità ingenua: innamorato della donna sbagliata dovrà tenersi pronto a fare scelte altrettanto sbagliate nel tentativo di salvarla. Un protagonista che richiama alla mente il Travis “De Niro” Bickle di Taxi Driver e lo Steve McQueen che spinge il piede sull’acceleratore nelle pellicole ad alta velocità. E allora come sono riusciti questi 100minuti, se colmi di situazioni che ci hanno già saziato in precedenza, a trasformare Refn da regista di nicchia a cineasta di culto?

La risposta è tutta nella forma, nella composizione dell’immagine. Refn spoglia il linguaggio della messa in scena di ogni possibile artificio, lasciando spazio solo ai ralenti ad effetto. È questa scelta a regalare alla sua versione di heist-movie una forma completamente nuova.

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Drive

Il regista danese incide su celluloide inseguimenti in auto con la medesima glaciale freddezza con la quale il suo protagonista schiaccia l’acceleratore, entrambi procedono con risoluto rigore, l’uno applicando scelte di montaggio perfette, l’altro inseguendo la sua vendetta. “Drive” rappresenta probabilmente il film per il quale Refn verrà sempre ricordato. Lontano dal primitivo, seppur seducente, istinto che anima la trilogia “Pusher”, e differente dall’estetismo formale di cui sono state imputate, non sempre a ragione, le pellicole successive, “Solo Dio perdona” e “The Neon Demon”. In “Drive” vincono la misura ed il controllo: nulla è lasciato al caso e nulla è eccessivo.

Immagini fisse, nessuna macchina a mano, musiche elettroniche d’ambiente per raccontarci di un amore dal romanticismo virginale e di un nichilismo imperante. Di una smania vendicativa che si fa splatter. Una ballata senza speranza, che lascia scorrere il sentimento solo per qualche istante, per poi lasciare spazio allo scorrere del sangue. “Driver” è uno spettacolo ipnotico e selvaggio a cui non potrete sottrarvi.

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Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.
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