Toro Scatenato (Racing Bull) è un film drammatico del 1980, diretto da Martin Scorsese e basato sull’autobiografia del pugile Jake LaMotta. La sceneggiatura fu curata da Paul Schrader (già sceneggiatore di Taxi Driver) e Mardik Martin (Mean Streets). Recentemente riproposto nelle sale nella versione restaurata in 4K, il film è senza dubbio uno dei capolavori di Martin Scorsese e del cinema del XX secolo. Candidato all’Oscar a miglior film nel 1981, il film ebbe numerosi riconoscimenti tra cui spicca l’Oscar a miglior attore protagonista per Robert De Niro e la candidatura come miglior attore non protagonista per l’esordiente Joe Pesci.
La trama
Ambientato a New York tra gli anni ’40 e ’50, il film è di fatto un lungo flashback: Jake LaMotta (Robert De Niro) è un pugile italoamericano peso medio dal carattere decisamente forte. Paranoico, geloso ed estremamente violento nella vita privata, sul ring il “Toro del Bronx” è praticamente imbattibile. Conquistando una vittoria dopo l’altra, affiancato da suo fratello Joey (Joe Pesci) che gli fa da manager, arriva a sconfiggere il temuto Sugar Ray Robinson e conquistare così il titolo di campione mondiale dei pesi medi.
Per l’ambito premio però Jake è costretto a stringere malvolentieri, per via del proprio orgoglio e non certo per onestà, patti con la malavita newyorkese: è persino costretto a perdere alcuni incontri.
Anche dopo la vittoria del titolo i rapporti personali e professionali si incrinano sempre di più, per gelosia Jake arriva addirittura a sfigurare un altro pugile definito dalla moglie Vicki “un bel ragazzo”, la accusa di averlo tradito con Joey e con il boss malavitoso Tommy, litiga ferocemente con il fratello ed ha seri problemi a mantenere il giusto peso. LaMotta perde il titolo mondiale con l’acerrimo nemico Robinson, senza però andare al tappeto: la scena è evidentemente una delle più potenti del lungometraggio.
Parabola ascendente e discendente di un antieroe
Da quel momento in poi Jake, sempre più lunatico ed irritabile, ingrassa a dismisura, abbandonando definitivamente il mondo del pugilato. Si dedica dunque ad altro, aprendo un locale che porta il suo nome. Viene lasciato da Vicki, che porta via con sé i figli. Totalmente solo ed al punto più triste della sua vita, LaMotta finisce in prigione per favoreggiamento della prostituzione. Dopo aver preso a pugni il muro della cella, pronunciando il monologo più toccante del film, esce su cauzione grazie alla vendita della cintura, simbolo della sua massima ascesa professionale.
Lo ritroviamo dunque nel camerino di un nightclub, dove il film era iniziato subito dopo i meravigliosi titoli di testa, e dove era iniziato il lungo flashback: LaMotta sta per esibirsi in uno spettacolo di cinque minuti. Ripete davanti allo specchio il monologo di Marlon Brando tratto da Fronte del porto. Poi si guarda allo specchio, sistemandosi, si alza e va via dicendo “sono il più forte”.
Recensione
Toro Scatenato non è un film sullo sport, è più un film drammatico e biografico, in grado di raccontare con estrema sincerità la parabola ascendente e discendente non tanto di un campione quanto di un antieroe.
Ma è soprattutto un film che racconta la vita in maniera quasi documentaristica, senza giudicare, senza moralizzare, solo narrando nel modo più vero possibile.
La pellicola appare per lo spettatore quasi immersiva, grazie ai continui cambi di punto di vista che Scorsese applica: dall’oggettiva alla soggettiva in base all’importanza della scena nella vita e mente di Jake.
Gli incontri di boxe sono filmati dall’interno, in maniera decisamente cruenta ma reale: non è un film sulla boxe, dunque lo spettatore non può guardare l’incontro come se fosse seduto sugli spalti, ma deve partecipare come se fosse lui stesso LaMotta o Robinson.
È infatti memorabile la scena dell’ultimo incontro tra i due, che segna la rivincita di Robinson ed assume visivamente i toni di un martirio, con il sangue che zampilla, il volto di LaMotta tumefatto e la camera che cambia continuamente posizione (non solo punto di vista ma anche altezza).
A colpire è inoltre la tensione costante che permea l’opera per tutta la sua durata (quasi due ore e mezza): sembra di stare appesi ad un filo, o con le dita poggiate su una corda tesa. L’esplosione avviene ad ogni scena sul ring, dove si verifica una repentina e liberatoria distensione, non vi è però mai una vera e propria liberazione, in quanto i suoni delle macchine fotografiche e dei colpi tra i pugili mantengono il ritmo velocissimo.
La redenzione
Uno dei temi su cui Scorsese basa Toro Scatenato, che nella sua parte finale assume quasi la forma di un testamento, e gran parte della sua filmografia, è la redenzione.
Jake LaMotta è un violento, paranoico, maschilista e geloso, ed è tale perché l’ambiente in cui è cresciuto lo ha plasmato in questa maniera. Jake è fatto così, sa di non potere cambiare ed in fondo, anche quando ha perduto tutto e sa di avere sbagliato, non è pentito di come si sia comportato nel corso della sua vita. Il ring era per lui il posto giusto, quella violenza che lo avrebbe portato in carcere lo ha- anche se per un periodo relativamente breve- posto tra i campioni, tra i migliori. “Sono il più forte”: queste le ultime parole del “toro del Bronx”, nonostante sappia di avere sbagliato e di avere per anni accusato gli altri ingiustamente, Jake rimane il più forte.
Nonostante il dolore, lancinante e profondo, per essere trattato e giudicato dagli altri “un animale” ed i pugni dati al muro in cella, che altro non sono che percosse contro se stesso, Jake si ritiene il più forte e sa che se si pentisse troppo profondamente forse per lui la vita diverrebbe un viaggio insostenibile.
Non c’è redenzione per LaMotta perché lui stesso sa di non potere cambiare, perché è un “toro scatenato”, indomabile, e non può controllare la sua parte peggiore.
La violenza nei film di Martin Scorsese
Toro scatenato di Martin Scorsese è, come Taxi Driver o Quei bravi ragazzi, un film violento, crudo. Ma non è violenza gratuita, innanzitutto perché qui molte delle scene virulente sono giustificate dal motivo sportivo ed in secondo luogo perché si tratta di un espediente narrativo metaforico.
Per Scorsese infatti il mondo è decisamente diviso tra buoni e cattivi, e in questo korismòs, in questa frattura, si colloca la violenza, che funge quasi da cerniera tra il bene ed il male. Infatti nelle scene di violenza domestica a danno delle mogli o del fratello è come se la parte marcia, il lato oscuro, del protagonista si manifestasse. Jake, da solo in prigione, nell’unico momento del film in cui emerge la sua fragilità, dice di essere buono, ma mentre pronuncia il suo monologo colpisce a pugni il muro, autoinfliggendosi violenza e dolore. In un modo o nell’altro l’essere umano è condannato alla violenza, che nei film assume i tratti più fisici, ma che nella realtà può essere decisamente più astratta ma non per questo meno dolorosa.
Scorsese racconta questo aspetto, forse con un certo distacco e senza proporre soluzioni, se non quella di rendere gli elementi più macabri quanto più vicini possibile all’arte. Ed ovviamente lo fa con la pellicola e la cinepresa.
Perché Toro Scatenato è in bianco e nero?
La scelta del bianco e nero in Toro Scatenato, ampiamente giustificata dallo stesso Martin Scorsese, è legata principalmente a due fattori, che potremmo definire uno pratico ed uno nostalgico.
Il motivo pragmatico si trova soprattutto nelle scene sul ring: tutto quel sangue avrebbe reso il film un horror, uno splatter. Non era ovviamente l’effetto voluto dal regista, che per questo optò per il bianco e nero.
L’altra ragione trae invece origine dal modo in cui quelli della generazione di Scorsese (classe 1942) e delle precedenti conoscevano la boxe: gli incontri venivano infatti visti alla tv, naturalmente in bianco e nero.
Questa scelta fu accolta ancora meglio anche per via dei numerosi film sul pugilato distribuiti in sala in quel periodo- il più celebre è Rocky del 1976- Scorsese voleva allontanare il più possibile la sua opera da quel genere di cinema, e quindi invece di un ring colorato di rosso e blu un bianco e nero che strizza l’occhio ad Hitchcock e al neorealismo fu una scelta più che azzeccata.
Le uniche scene a colori sono dei filmini familiari di LaMotta, sbiaditi grazie alla desaturazione, evanescenti in qualità di ricordi felici ed estranei in qualche modo a tutto il resto della pellicola.
La sequenza iniziale
La scena iniziale del film, di fatto coincidente con i titoli di testa, è di una bellezza disarmante. Una delle sequenze più potenti, dirompenti e moderne della storia della settima arte. Un inizio perfetto, un esordio ai limiti della compiutezza estetica totale.
Sulle note dell’Intermezzo della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni troviamo Jake LaMotta sul ring, avvolto dal suo accappatoio leopardato e dal fumo. Jake balla su quel quadrato che diventa come un palco, balla da solo, in ralenti. Di tanto in tanto un flash, e poi le tre corde del ring: se non fosse per questi elementi, che ci trascinano forzatamente verso la relatività spaziale, saremmo in un tempo e luogo indistinti. Ma la scena è comunque immersa nell’assoluto, c’è già il nucleo pulsante di tutta la poetica del film.
Jake tira pugni al nulla, combatte da solo, in fondo non fa altro che lottare contro se stesso, in bianco e nero per mascherare la violenza, in ralenti perché pensa intensamente alla sua vita, con la musica in sottofondo perché questo film ha un ritmo e una tensione che solo la musica può rappresentare con onestà.
La genesi di Toro Scatenato
Toro Scatenato nacque grazie ad un’idea di Robert De Niro, prima dell’inizio delle riprese infatti Martin Scorsese stava attraversando un durissimo periodo sia per il flop professionale di New York, New York del 1977, sia per problemi di salute e di dipendenza da alcol e droghe. Quando Scorsese intraprese il percorso di realizzazione del capolavoro del 1980 le sue speranze erano nulle, era convinto di stare lavorando alla sua ultima pellicola.
Per fortuna le cose andarono diversamente, la maestria del regista si palesò in maniera lampante e, nonostante il biasimo di critica e pubblico per la violenza, il film piacque.
Conclusioni
Oltre al lavoro perfetto di Scorsese, la splendida armonia presente nel film è dovuta all’estrema professionalità di tutti coloro che ci hanno lavorato.
Partendo da Schrader, autore di una sceneggiatura colma di dialoghi ineccepibili, passando per il montaggio, ad opera di Thelma Schoonmaker, e la fotografia di Michael Chapman, arrivando naturalmente alle interpretazioni di protagonista e coprotagonista.
Joe Pesci raggiunge già in questo film, di fatto il primo, vette di recitazione altissime e Robert De Niro dà il meglio di sé con una prova di recitazione priva di difetti, degna di essere annoverata non solo tra le sue migliori, ma tra le più belle interpretazioni cinematografiche della storia.
De Niro in Toro Scatenato supera perfino se stesso in Taxi Driver, grazie ad un’intensità nello sguardo, nella mimica e nei gesti decisamente degni di nota. A colpire è soprattutto la tensione che l’attore riesce a creare con il suo personaggio in ogni istante del film. Non è poi un particolare trascurabile la trasformazione fisica a cui De Niro si è sottoposto, prima allenandosi e combattendo dei reali incontri di pugilato a New York, e poi ingrassando di quasi 30 chili.
In conclusione Toro Scatenato è una pellicola perfetta, un capolavoro a tutto tondo che merita di essere visto più e più volte, con sfumature ed emozioni sempre nuove.