I cartoni animati come li conosciamo oggi sono spesso erroneamente catalogati come prodotto unicamente infantile, rivolto ai più piccoli, una versione facilitata del cinema.
Dalla nascita dell’animazione ad oggi la strada è stata lunga e tortuosa (quasi quanto quella della settima arte stessa). E’ passata per scoperte, tentativi e sperimentazioni, ma anche sfumature di significato e approcci geograficamente e storicamente molto differenti fra loro.
Nascendo per mezzo di esordi che costituivano esempi di puro avanguardismo tecnico, passando poi per un apogeo di metà secolo e rafforzando il proprio statuto nei decenni successivi sfociando anche nel piccolo schermo, l’animazione si è fatta largo fra il pubblico popolarizzando e diffondendo il suo essere, senza mancare di arricchirlo di nuances personalissime a seconda dei casi.
Nasce il cinema, nascono i cartoni animati
In Europa, culla della sperimentazione filmica, l’animazione si fa spazio già a partire dai primi anni del Novecento in concomitanza con la nascita della settima arte stessa: proprio nel 1908, infatti, il francese Émile Cohl – confermando la complessiva paternità francese del cinema – dà vita alle sue Fantasmagorie, un prodotto della durata di poco più di un minuto che riuniva in sé più di settecento disegni su carta in sequenza riprodotti ad una velocità tale da determinare l’illusione del movimento.
Poco più tardi, nel 1914, la produzione nostrana sperimenta a sua volta con l’animazione: nel grandioso colossal Cabiria (di Giovanni Pastrone, 1914), monumento degli anni del cinema muto italiano, il regista sperimenta con una sequenza d’animazione realizzata ricorrendo a dei pupazzi. Così, mentre la macchina da presa si fa spazio prima in Europa e poi nel mondo, la tecnica animata la segue a passo svelto.
Cartoni animati, le prima sperimentazioni
All’incirca negli stessi anni (le prime sperimentazioni, con Little Nemo e Gertie il dinosauro, sono rispettivamente databili al 1911 e al 1914) la stessa tecnica si fa largo negli Stati Uniti, incontrando un’industria e un pubblico ancor più propenso al dedicarsi a questo nuovo ramo della disciplina filmica.
Poco più tardi, nel 1923, nasce un piccolo studio di animazione sperimentale che ben presto assumerà i tratti di un colosso produttivo destinato a passare alla storia: la Walt Disney Company (inizialmente Disney Brothers Cartoon Studios), dell’iconico Walt Disney.
Da quel momento in poi, sul piano statunitense e di conseguenza a livello internazionale, la produzione massiccia di cartoni animati brevi si divide fra la serie di Mickey Mouse, nata nel 1928 ad opera dello stesso Disney, e svariati tentativi di dare autonomia visiva e televisiva a fumetti decennali che per loro natura si prestavano ad una trasposizione sullo schermo.
In questo modo, ad esempio, nasce Popeye the Sailor (in terra nostrana, Braccio di ferro), per mano di Dave Fleischer e dunque dei Fleischer Studios. Alla stessa modo viene riportato sullo schermo il personaggio di Betty Boop (il primo episodio in bianco e nero, intitolato Dizzy Dishes, della durata di sei minuti esordisce nell’agosto del 1930.
La nascita dei classici
Parallelamente all’espansione del mondo narrativo di Mickey Mouse, integrato gradualmente dall’ideazione dei personaggi poi passati alla storia, l’emergente colosso produttivo si dedica anche all’impresa della realizzazione di un lungometraggio d’animazione, all’epoca sostanzialmente inesistente e pressoché impensabile.
Nasce così nel 1937 l’iconico Biancaneve e i sette nani, che a distanza di quasi un secolo non perde la sua etichetta di “must” per i più piccoli, contribuendo all’epoca a nobilitare lo statuto dei cartoni animati stessi traslandoli sul piano cinematografico e guadagnandosi persino una nomination agli Oscar (per la miglior colonna sonora).
Il successo del film si trasforma in propulsione per lo studio Disney, che una volta decodificata la tecnica di cimenta nella realizzazione di lungometraggi d’animazione destinati a fare storia. Negli anni Quaranta si succedono così grandi classici quali Pinocchio e Fantasia (entrambi 1940), Dumbo (1941), Bambi (1942).
Non solo Disney: i cartoni animati statunitensi fra Looney Tunes e Hanna-Barbera
A seguito dei primi memorabili passi mossi da Disney, gli Stati Uniti si aprono ad ulteriori tentativi d’animazione destinati a passare alla storia con altrettanto successo. Così, a partire dagli anni Trenta e Quaranta, l’oggi più che celebre Warner Bros apre la strada ai Looney Tunes, protagonisti di una fortunata serie di cortometraggi animati destinata ad imporsi negli anni Sessanta per poi rimanere in auge sino ai giorni nostri (come dimostra il successo di Space Jam nel 1996e quello ancor più recente del sequel del 2021).
Contemporaneamente, anche la Hanna-Barbera Productions, nata nel 1957, sperimenta ideando un foltissimo gruppo di personaggi che si imporranno nel palinsesto dei più piccoli restandovi, ben saldi, anche negli anni a venire: dall’Orso Yoghi (’58) a Scooby-Doo (’69), passando poi per Tom e Jerry (’75), I Flinstones (’73) e I Puffi (’81), solo per citarne alcuni.
Così, l’animazione si impone presto sul piano internazionale assumendo le forme più disparate: dai cartoni animati appannaggio dell’intrattenimento per l’infanzia ai lungometraggi d’animazione che conquistano gli elitari premi Oscar, passando per i corti animati pubblicitari che andavano a comporre il mosaico quotidiano dell’italianissimo Carosello (1957-1977).
Con il passare degli anni, Disney – che pur non rinuncia alla sperimentazione, come dimostra il riuscitissimo tentativo a tecnica mista costituito da Mary Poppins (1964) – si radica sempre più nell’animazione declinata in un certo ramo specifico di ambientazione favolistico-principesca: nascono così in serie Cenerentola e La bella addormentata nel bosco, ma anche La Sirenetta e La bella e la bestia.
Non manca neppure però l’animazione che dà voce al mondo animale, altro riuscitissimo filone disneyano incarnato negli anni da Lilli e il vagabondo, La carica dei 101, Gli Aristogatti, ma anche più tardi da Bianca e Bernie, Basil l’investigatopo e dal lodatissimo Il re leone.
L’animazione internazionale: nasce lo Studio Ghibli
Contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, la scuola giapponese decide di dar voce ad un nuovo personalissimo stile cinematografico che unisce animazione e poesia, arte e favolismo, dettagli e tradizione: nel 1985 nasce così, dall’unione di Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma, l’ancora oggi considerevolissimo Studio Ghibli. Dal primo successo costituito da Kiki – Consegne a domicilio (’89) la casa di produzione realizza una serie di capolavori che le permettono di imporsi all’attenzione internazionale vantando lodi dalla critica di tutto il mondo.
Nel corso degli anni Novanta, un cartone animato dopo l’altro – su tutti, Porco rosso, Si sente il mare, Principessa Mononoke, fino all’apice costituito da La città incantata che vede la luce nel 2001 – lo studio cattura magneticamente i favori del pubblico prima giapponese e poi globale, nobilitando come raramente prima di allora era accaduto il filone d’animazione rendendolo un prodotto artistico tanto per bambini quanto per adulti.
I cartoni animati cinematografici
Oggi l’animazione non smette di volersi rinnovare. Certo, permane ancora il suo scopo più tradizionale di intrattenimento per i più piccoli sotto forma di cartoni animati (tanto televisivi quanto cinematografici) che permette di trasmettere messaggi al pubblico più giovane per mezzo di una grafica più “fumettistica” e quindi familiare.
Ciononostante, la tecnica di giorno in giorno tenta nuove derive che demarcano le tappe di un’inarrestabile e costante corsa nella direzione dell’originalità. In questo senso, negli anni Novanta trovano espressione su larga scala i primi esperimenti di animazione in stop motion, a cui si dedicano i più svariati registi (in primis Tim Burton, con i suoi Nightmare before Christmas e La sposa cadavere; ma anche Wes Anderson con i suoi L’isola dei cani e Fantastic Mr. Fox) e interi studios quali l’inglese Aardman Animations (Wallace e Gromit, Galline in fuga) o l’americana Laika (Coraline e la porta magica, ParaNorman).
Nel frattempo, Disney continua la sua maratona al mantenimento del saldissimo successo ormai ultradecennale. Per farlo, rinnovandosi in modo netto e sostanziale, nel 2006 si fonde con l’altrettanto fortunata Pixar Animation Studios – già madrina di successi quali Toy story, Monsters & Co., Alla ricerca di Nemo e Gli incredibili – ponendo fine ad una competizione che penalizzava entrambi gli studios e instaurando così un colosso senza precedenti. Accanto a loro, si è negli anni ritagliata il proprio spazio la quasi avanguardista Dreamworks, da sempre attenta allo sviluppo della tecnica nei cartoni animati, dando vita a cult del calibro di Shrek, Madagascar e Kung fu panda.
Cartoni animati legati alle tematiche attuali
Ad oggi, i cartoni animati sembrano essersi affrancati da quell’opinione che li vedeva materiale unicamente rivolto all’infanzia. Non è un caso, in questo senso, se uno dei lungometraggi presenti all’ultima cerimonia degli Oscar, il poeticissimo e delicato Marcel the shell, sia stato prodotto dalla fortunatissima A24, casa di produzione e distribuzione fra le più coraggiose e sperimentali del panorama cinematografico contemporaneo.
La stessa deriva è testimoniata dalla presenza, agli Oscar precedenti, del documentario d’animazione Flee, che utilizza la tecnica accostandola in modo pressoché inedito alla modalità documentaristica per avvicinare tematiche complesse quali la guerra in Afghanistan e l’immigrazione. Senza mai rinunciare alla sua vena giocosa di partenza, da sempre capacissima di avvicinare i più piccoli, l’animazione sembra oggi inarrestabile e più che pronta a conquistare il pubblico adulto con nuove tecniche, nuove modalità e nuove narrazioni.