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Certain women – Recensione del film drammatico di Kelly Reichardt

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Ad oggi, la regista statunitense Kelly Reichardt è nota per aver segnato la storia del cinema recente, prima con il suo riuscitissimo Meek’s cutoff (2010) e poi con il più recente First cow (2019). Ma, nel 2016, la stessa regista firma una piccola perla dallo stile estremamente peculiare e minimalista. Il titolo del film è Certain women, e la sua durata è di centosette minuti. Il dramma racconta le solitudini di un parterre di personaggi femminili che si suddividono su tre storie, tre capitoli scissi e distinti. Della pellicola in questione, oltre che regista, Richardt è anche sceneggiatrice e montatrice. Di estremo rilievo si rivelano le personalità attoriali che abitano il film: Laura Dern, Michelle Williams, Kristen Stewart e un’allora pseudo-esordiente Lily Gladstone. La trama si ispira ai racconti brevi dell’autrice Maile Meloy. Attualmente la pellicola è disponibile per lo streaming sulla piattaforma Amazon Prime Video

La trama del film

Il primo capitolo di Certain women è dedicato al personaggio dell’avvocatessa Laura Wells (dal volto di Laura Dern). La professionista ha a che fare con un cliente difficile, feritosi gravemente sul posto di lavoro. Non riesce a convincerlo che costruire un caso per lui vittorioso sarà pressoché impossibile. Contemporaneamente, però, l’uomo che sembra non voler sentire ragioni inizia ad esibire una serie di comportamenti che sono veri e propri campanelli d’allarme di una crisi personale che rischia di mettere a repentaglio la vita di chi gli sta intorno. Quando una sera Laura riceve una chiamata dalla polizia, realizza che i suoi peggiori timori stanno diventando realtà. Nel mentre – secondo capitolo del film – la determinata Gina (Michelle Williams) fatica nel rapporto con il marito e la figlia. Avverte infatti mancanza di supporto dal primo e di rispetto dalla seconda, ritrovandosi immersa in una luce negativa agli occhi di entrambi. 

Certain women

La coppia ha acquistato un terreno in aperta campagna, ma quando chiedono al nuovo vicino dei materiali per iniziare la costruire anche lui sembra digerire con difficoltà la presenza di Gina. Nel terzo capitolo di Certain women, Jamie (Lily Gladstone) è una donna timida, introversa e dal fare pratico. Vive isolata in un ranch di periferia dove si occupa dei suoi animali. Una sera capita però per caso in una lezione di normativa per insegnanti. Lì conosce la giovane tirocinante avvocatessa Beth (Kristen Stewart), che tiene le lezioni. Rapita da lei inizia ad accompagnarla ad un diner ogni settimana dopo la lezione. E, gelosa di quei momenti di intimità che custodisce con lei – ma che l’altra non sembra vivere con lo stesso calore-, continua a seguire settimanalmente le lezioni, in silenzio, dall’ultima fila. Tutto cambia, però, quando un giorno si presenta a tenere la lezione un nuovo avvocato. 

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Certain women: la recensione del film

Il film scritto e diretto da Kelly Reichardt, coerentemente con il suo stile, presenta una peculiare divisione in capitoli. Sul piano della trama, infatti, le tre vicende sono interconnesse, ma molto flebilmente. Ad un piano superficiale, e molto labile, le tre eroine del racconto sono legate assieme da un setting spazio-temporale e da una rete di interconnessioni relazionali fra i vari personaggi. Ma quello che le tiene unite dando un senso di uniformità e organicità all’intero prodotto è più profondo. Quello che le accomuna è un marcatissimo e potente senso di desolazione, ambientale e personale, immersivo e totalizzante, che non le soffoca rendendole paralizzate – le protagoniste sono infatti tutte fortemente attive – ma le circonda come sabbie mobili. 

Certain women

La resa di questa sensazione dalle protagoniste viene trasferita al pubblico per rafforzare l’empatia e dunque l’efficacia di Certain women. Questo trasferimento, sapientemente, avviene per mezzo di alcune studiate e calibrate scelte sul piano della tecnica. Il sentimento spettrale è infatti agevolato dalla pressoché totale assenza di colonna sonora nel corso dell’intero minutaggio (e dunque trasversalmente alle tre vicende). Ma un altro elemento che incoraggia molto la resa di questa sensazione desolante, quasi tombale, è il ricorso ad una regia estremamente statica, minimalista, come sempre avviene nella filmografia di Reichardt. Le inquadrature sono perlopiù fisse, i movimenti di macchina sono estremamente rari e mai virtuosistici. Le stesse inquadrature, e la costruzione delle scene sul piano iconico-strutturale, incoraggiano questa condizione di solitudine esistenziale delle donne rappresentate. 

Certain women: tre storie di donne sfiancate da un mondo che le tiene ai margini

La costruzione per immagini di questa sensazione così marcata avviene sin da subito, dalle prime scene. In apertura, dopo un totale su un treno in arrivo, viene posta un’inquadratura iconograficamente significativa che ci comunica un messaggio con forza prima ancora per i personaggi parlino. Laura e il suo amante sono in due stanze diverse seppur prossime, subito dopo aver fatto l’amore, visivamente separati da una scura striscia di muro. Otticamente, una banda di muratura separa la protagonista del primo capitolo rispetto all’ambiente (maschile) che la circonda. Pochi istanti dopo, questo muro si traduce in un’invalicabile incomunicabilità con il suo cliente. La stessa sensazione viene tradotta, a parole, da una battuta della stessa Dern, pochi minuti più tardi: «It’d be so lovely to think that if I were a man I could explain the law and people would listen and say “Okay”. That’d be so restful ». 

Certain women

Traspare così dalle sue parole un senso di stanchezza complessiva, esistenziale e totalizzante. Stanchezza derivante da una sua condizione – quella di genere – che suo malgrado subisce quotidianamente traducendosi in desolazione sistematica, delusione solitaria. Quella stessa sensazione trova riflesso nell’azzeccatissima ambientazione della vicenda in Certain women. Fa da cornice alle eroine infatti una terra di frontiera a metà fra campagna desolante e periferia cittadina fredda e scarna, speculare in termini concreti allo stato d’animo delle eroine. 

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Tre protagoniste che rifuggono la passività 

Sul piano narrativo, le figure femminili in Certain women incarnano una modalità sì desolata ma attiva. Laura, Gina e Jamie operano in modo da dotarsi di un certo margine d’azione che funge da motore trainante della vicenda. Le figure maschili che le circondano, per contro, si fanno invece disperate e negative, marginali, controproducenti o addirittura dannose. Questa resa così efficace e compatta delle protagoniste, seppur nelle loro enormi diversità, è data dalle ottime interpretazioni delle attrici che prestano loro il volto. 

Alla terza collaborazione di Michelle Williams con Reichardt (dopo Meek’s cutoff e Wendy and Lucy) si percepisce in modo tangibile l’affinità con un tipo di regia che ormai l’attrice ha imparato a conoscere. Nondimeno, anche le neofite rispetto alla regista se la cavano egregiamente e dimostrano dimestichezza con la sfera rappresentata. Dern in primis traduce in sé quella stessa frustrazione che, gonfiata e resa propulsiva, la porterà all’Oscar pochi anni dopo con il suo personaggio di Storia di un matrimonio. Gladstone e Stewart, lontanissime l’un l’altra nelle modalità performative quanto nelle personalità dei loro personaggi, portano uno sconto di due freddezze e due disagi tanto gemelli quanto destinati a strade opposte fra loro. Le personalità attoriali riflettono alla perfezione le intenzioni registiche, creando una rispondenza che conferisce al film completezza e organicità. 

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Al netto di una lieve lentezza collaterale, il minimalismo di Kelly Reichardt colpisce nel segno facendo emergere dalle vicende delle sue tre protagoniste una sensazione diffusa e totalizzante di spettrale desolazione.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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