Nel 2021 il drammaturgo e regista teatrale Steven Karam, alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa, esordisce al cinema con The humans. La pellicola, di natura drammatica e della durata di 108 minuti, è l’adattamento filmico dell’opera teatrale omonima scritta dallo stesso Karam e portata in scena nel 2014. Oltre al titolo torna, rispetto all’originale sul palcoscenico, anche l’interpretazione di Jayne Houdyshell, premiata con il Tony Award per la sua performance teatrale. In questa versione l’attrice è affiancata sullo schermo da un cast di prim’ordine, costituito da Richard Jenkins, Beanie Feldstein, Amy Schumer, Steven Yeun e June Squibb.
La trama del film
In occasione della festa del Ringraziamento, i membri della famiglia Blake si ritrovano nella nuova casa della secondogenita Brigid (Beanie Feldstein) e del gioviale compagno Richard (Steven Yeun) per festeggiare assieme. Erik (Richard Jenkins) e Deirdre (Jayne Houdyshell) Blake, rispettivamente padre e madre di Brigid, arrivano alla spoglia dimora della figlia in compagnia della primogenita Aimee (Amy Schumer) e dell’anziana Momo (June Squibb), madre di Erik e quindi nonna delle ragazze. Quest’ultima, ormai perduto ogni raziocinio nonché le più basilari capacità di ragionamento e comunicazione, è costretta su una sedia a rotelle. Il ritrovarsi della famiglia pare innestarsi sull’entusiasmo e l’ottimismo generale, ma non passerà molto prima che le tensioni intrinseche al nucleo dei Blake emergano, tra traumi passati, conflitti irrisolti e nuove sconvolgenti rivelazioni.
La recensione di The humans
Il lungometraggio di Karam è stato prodotto dal rinomatissimo studio A24, attualmente molto amato e, dalla sua nascita nel 2012, indubbiamente sinonimo di produzioni di alta qualità. Lo studio newyorkese (negli anni già produttore di pellicole del calibro di Locke, Ex machina, The witch, Un sogno chiamato Florida, Il sacrificio del cervo sacro, Lady Bird, The disaster artist, First reformed, The farewell, The lighthouse, Midsommar, Diamanti grezzi) comprova il proprio statuto di produttore di progetti originali, innovativi e coraggiosi. The humans conferma la tendenza di A24 nel concorrere alla realizzazione di opere lontane dal mainstream ma anzi deliberatamente lontane dal gusto “pop” ed esponenzialmente più peculiari.
Già il titolo del lungometraggio, The humans, conferisce un tono di universalità all’andamento filmico nella sua interezza. È lecito immaginare, infatti, che tale espressione di universalità fosse nelle intenzioni dell’autore, il quale sceglie di riportare nel titolo un’ambiziosa idea di globalità, di collettività. In effetti, i personaggi che Karam mette in scena (o meglio, in questo caso, sullo schermo) risultano a tutti gli effetti essere un campionario esistenziale, un campione dell’elemento umano. Di tutti i personaggi, in effetti, emergono nel corso del minutaggio lati positivi e negativi, pregi e soprattutto difetti. I protagonisti sono illustrati nella loro sfaccettata e sublime fragilità, ma al contempo nei loro lati più meschini, biechi o disperati. L’autore pare voler dimostrare che ogni soggetto umano ha insita nella propria bellezza una certa componente di buio: “The horror story for monsters are humans” dice Erik alla famiglia, forse senza avere piena coscienza della propria lungimiranza.
In quest’ottica, il brillante cast si adatta bene alle volontà autoriali. Per essere un debutto registico, il film può vantare un parterre di interpreti di tutto rispetto. Jayne Houdyshell torna al personaggio interpretato in teatro, confermando la sua adeguatezza al ruolo. Sospesa fra risate affettuose e pungenti critiche, manifesta atteggiamenti ambivalenti con figlie e soprattutto marito. Quest’ultimo, grazie all’efficace performance volutamente trattenuta di Richard Jenkins, assume uno statuto contrito e rammaricato. Al loro fianco, Beanie Feldstein (Booksmart) e Steven Yeun (Minari) confermano che il loro attuale successo poggia su solide basi di talento. Piacevolmente against the type la performance di Amy Schumer, nota al pubblico come irriverente stand-up comedian e interprete in pellicole comiche. Si conferma sempre gradita nonché apprezzabile la presenza di June Squibb, comunque convincente e credibile nonostante la marginalità del ruolo.
I personaggi agiscono nello spazio della spoglia e malridotta nuova casa in cui Brigid e Richard si sono appena trasferiti. L’ambiente, nonostante sia spazioso e pressoché totalmente vuoto, risulta comunque claustrofobico. Quest’impressione, raggiunta grazie al lavoro della macchina da presa congiuntamente a quello della sceneggiatura, fa sì che il pubblico assuma la medesima prospettiva psicologica dei personaggi. La casa stessa è sintomatica dello squilibrio familiare, e le crepe sulle mura malridotte non possono che apparire come l’eco concreta delle crepe nella famiglia. Per festeggiare il ringraziamento i Blake si radunano attorno ad un tavolo per mangiare tutti assieme: storicamente simbolo di convivialità e ritrovo, in questo caso tale elemento si oppone all’andamento dei legami familiari, che si sfaldano durante il pasto separando alternativamente i vari membri della famiglia.
Un forte stampo drammaturgico permea The humans nella sua interezza. In effetti, data la natura dell’autore, emerge una forte influenza teatrale nella messa in scena filmica. Questa ispirazione sfocia in un netto dominio (quantitativo e qualitativo) del dialogo e in una pressoché totale unità dei tre criteri aristotelico-teatrali di spazio, tempo e azione: la trama si concentra su un unico evento (il Ringraziamento), sviluppandosi in un unico luogo (la nuova casa) e in un arco di tempo che non supera le ventiquattro ore. La scelta di posizionare tutti i personaggi in unico ambiente – determinata probabilmente da esigenze sceniche – rende l’ambiente un campo di forze distruttivo, caustico. In questo, e nell’importanza conferita all’elemento dialogico, il film riecheggia molte pellicole – di stampo altrettanto drammaturgico – ispirate alle opere di Tennesse Williams (Un tram che si chiama Desiderio) e di Tracy Letts (I segreti di Osage County).
Con il suo film Karam sceglie di ricorrere ad un’ampia gamma di stilemi che il teatro difficilmente potrebbe offrire. Abbondano così nella pellicola dettagli e particolari di oggetti e personaggi, ma anche primissimi piani e movimenti di macchina (carrelli, per la maggior parte). In questo modo il regista differenzia nettamente la sua opera filmica da quella drammaturgica, conferendo ad entrambe un’identità autonoma. Soprattutto in quest’ottica, l’esordio cinematografico costituito da The humans può dirsi certamente meritevole di lode. Grazie anche alle performance degli interpreti e ad un ottimo canovaccio teatrale di base, il film segna il promettente debutto di una carriera, quella di Karam, che ha tutte le premesse per rivelarsi florida e lodevole.