Night in paradise, recensione, trama, streaming e premi del film di Park hoon-jung
Night in paradise è un thriller di un appassionato del genere, il coreano Park Hoon-jung, che dirige territori gangster e sanguinolenti, più volte altrove sceneggiati, proiettandoli in un’action-revenge satura, appena impregnata di romanticismo, consumata a stretto giro in un’apparente oasi di pace, come fosse “una notte in paradiso”, la prima e l’ultima di una malarazza non destinata ad altro.
La morte aleggia in ogni angolo, bisogna solo capire come e quando si rivela; la morte è un affare da contrattare, così come si contratta una partita di armi, una cassetta di pesce, un carico di droga, una tregua tra bande criminali: una volta che inizi a giocarci con la morte, prima o poi, sulla sua lista, finisci anche tu.
Night in paradise in streaming
Presentato fuori concorso a Venezia77, distribuito causa pandemia su piattaforma Netflix prima che in sala, Night in Paradise unisce Corea, Cina e Russia in un plot di vendetta e tradimento, faide infinite tra clan, pallottole e coltelli, predestinazione e profumo di tenerezza, citando stilemi di genere, dai tatuaggi yakuza, ai massacri in sauna, dagli uomini in nero sulle auto scure, agli schizzi di sangue d’autore (Kitano e seguaci), dai cinquanta contro uno, ad un inseguimento stradale che, volente o nolente, ricorda,anticipa o legge nel pensiero certe acrobazie viste in Tenet, dell’ultimo Nolan.
Night in paradise la trama
La storia è la più antica del mondo: Tae-goo (Uhm Tae-goo), il più abile degli uomini di Yang, perde la sorellastra gravemente ammalata e la piccola nipote in un attentato stradale che crede essere opera del gruppo rivale. Per questo ne massacra il capo lasciandolo in fin di vita. Su suggerimento dei suoi è costretto a rifugiarsi nella bella isola di Jeju, da un venditore di armi di nome Kuto (Lee Ki-young), che fa affari con russi, coreani e cinesi e che vive con la nipote Jae-yeon (Jeon Yeo-been), ragazza dalla mira fenomenale, malata quasi incurabile, come fu la sorella del protagonista, tranne forse per una labile speranza statunitense di difficile attuazione.
Ben presto la copertura cade, gli interessi in ballo cambiano direzione, il rifugio si tramuta in trappola e, per evitare un tutti contro tutti devastante, la testa di Tae-goo diventa l’oggetto più ricercato dell’isola dalla banda criminale nemica, da quella che lo aveva sul libro paga, persino dalla malavita russa. Un’oasi di pace, mare amico e bei ricordi diventa un crocevia di sangue, un inferno in miniatura, che picchia, spara, accoltella e fa sparire: difficile uscirne vivi.
Dentro un blu notturno diradato, che tocca ogni scena in modo più o meno sfumato, prende carattere la fotografia elegantissima di Night in paradise, la cui metaforica notte d’agonia si allunga cromaticamente in tutto il film, conferendogli drammaticità ed uno stato di attesa in qualche modo nefasto.
Night in paradise la recensione
Lusso e pulizia visiva, insistenza premonitrice, rigore scenico e tradizione strutturale, sono alcuni degli elementi evidenti sui cui poggia la regia di Park Hoon-Jung, che guida in modo convinto ed ispirato una sceneggiatura classica di genere, ben impaginata, gentile e disperata, che non assolve, non consola, non consegna rimedio, al massimo lascia tracce di potenziale paradiso nell’incontro fortuito e magnetico tra Tae-goo e Jae-yeon, due anime della stessa disgrazia, gemelle di sventura, attratte ed intoccabili.
Compagni di morte e compagni della morte, i due giovani rappresentano una Giulietta ed un Romeo non dichiarati e disfunzionali, esattamente in linea con lo scenario che abitano, bello e dannato, protagonisti di una maledizione, la malattia per lei e la delinquenza per lui, da cui non sono riusciti a scappare, e da cui, paradossalmente, traggono la forza necessaria per affrontare gli scontri finali. Il loro stare è vago ed affilato, in bilico un passo nell’inferno e uno nel paradiso, si annusano come bestie simili, si spalleggiano nel disastro, riuscendo a sospirare, e forse anche a sorridere, persino delle loro ore contate.
Sull’ interdetto che li avvolge si abbatte la parte di azione, spettacolo fine ed imponente, che fagocita un po’ di sospensione melodrammatica macinata attorno ai ragazzi e conferma la capacità coreana di descrivere schianti senza possibilità di scampo (basti pensare al finale esorcizzante e terribile del recente Burning): lo scontro è bellezza crudele, è lotta diretta, confezionata con dedizione, ritratta come quadro affascinante, orchestrata in un progressivo climax che non teme il tempo nel suo exploit anzi lo centellina, preparando esplicitamente lo spettatore alle mattanze finali, dove non è la prevedibilità il merito da ottenere, ma lo stile con cui si chiudono i conti, la truculenza accorta ed il dominio del margine tra pulp e chirurgia.
Ritmo da risacca marina che avvinghia e tende, alternando riscossa calcolata, giocata anche sul carachter tipico e radicale del cattivo Ma (Cha Seung-won), a dilatazione che evita l’omogenea lentezza per molto poco, in una sincope simmetrica, indovinabile, ma mai estremizzata.
Totalmente convincente il cast di attori, molti dei quali habituè del genere; brillano i due protagonisti: lui possessore di una dolcezza nello sguardo che stride con il suo mestiere, mentre è incorniciato nell’attesa che inizi la fine tra tante sigarette ed ancor più birre, accessori che punteggiano le sue azioni con un una scansione frequentissima, un metronomo del tempo restante e di quello passato; lei, sua triste, ostinata, perduta coprotagonista, scissa tra annientarsi nel suo stato e prendersi addosso la vita che le spetterebbe, mentre ripete come a stordirsi di stare per finire, quasi a volersi convincere del contrario, a chiedere aiuto, ad indicare se stessa come oggetto da salvare.
Personaggi complessi inglobati in una trama non complessa, sfumature psicologiche nobili e non estemporanee, per un film decadente e popolare, dalla schiena dritta, che seduce ed aliena con una calma irrisolta ed una sensazione di struggimento mancato di cui resta, dopo l’inevitabilmente spietato finale, qualche morso di pianto.