C’è una patina di gelo che avvolge in modo silenzioso ed ordinatissimo Watcher, il thriller psicologico, per tre quarti soft, con una rivalsa hitckochiana finale, uscito dalle mani di Chloe Okuno, debuttato al Sundance Film Festival del 2022 e non passato inosservato agli occhi di critica e pubblico.
Isolare ed emblematizzare una figura femminile, in un contesto avulso dalle proprie abitudini e renderla oggetto di occhi non desiderati, amplifica la condizione, momentanea o stabile, tipica di molte donne quando si trovano ad un passo da una situazione incerta o da un pericolo.
Watcher – Trama
Juliet (Maika Monroe) segue il marito Francis (Karl Glusman) dall’America in Romania, a Bucarest, patria d’origine dell’uomo: lui è stato promosso nell’azienda in cui lavora, lei ha rinunciato per sempre alla sua aspirazione di diventare attrice. Ma nel nuovo appartamento le cui camere sono piene di vetrate a vista sulla strada, Juliet scorge la sagoma di un uomo (Burn Gorman) che dal palazzo di fronte sembra fissare proprio lei.
Prova a dirlo al marito, ma l’uomo non sembra darle troppo credito, propendendo per l’ipotesi che il suo sia stress da trasloco. Unica sua confidente una vicina di casa, spogliarellista, disinibita, che parla inglese ed ha una vita movimentata, ma onesta.
Il marito costantemente assente per i nuovi impegni lavorativi, la lingua rumena sconosciuta, il suo girovagare senza scopo per la nuova città non propriamente solare, i pedinamenti incrociati con il watcher, l’osservatore, che la turbano tanto, rendono la nuova vita di Juliet un piccolo, crescente, inferno.
A questo si aggiunge la notizia che un serial killer si aggira quasi indisturbato nel quartiere, decapitando donne: Juliet pensa che questa minaccia in qualche modo la riguardi da vicino. Osservatore ed osservato è un binomio che crea da sempre conflitto e apre dinamiche, rivelazioni ed equivoci, di gravità variabile.
Watcher – Recensione
Si gioca su cosa si vede e cosa non si vede, sulla distanza di visuale che crea fraintendimenti, sul ruolo di chi guarda e di chi riceve lo sguardo, sulle conseguenze implicite o non implicite dell’occhio indiscreto. Watcher riflette i film mentali, le convinzioni personali, le realtà intuitivamente intercettate già solo guardando fuori, guardando l’altro.
L’altro in questo caso è una donna, sola, straniera, per antonomasia differente, con l’animo meditabondo di chi ha abbandonato il mestiere dei suoi sogni perché non faceva per lei, una creatura che sembra fragile, ma nasconde una determinazione invidiabile ed una consapevolezza quasi sovrannaturale delle proprie percezioni (come ogni attrice è allenata a fare).
Chiasmo scenico Osservato – Osservatore
Osservato, però, è anche l’uomo del disturbo, la presenza-assenza ingombrante, la minaccia che alimenta il filo tensivo, più introiettato che rappresentato. Inseguimenti metropolitani, telecamere che riprendono scene, cinema traditori in cui guarda caso si proiettano film tematici (Sciarada con la Hepburn e Grant), night club in cui si guardano spogliarelliste sotto vetro, finestre gigantesche che espongono la presenza e l’intimità dei protagonisti, sguardi innocenti di condomini che presagiscono o sanciscono la vendetta finale.
La disanima dello sguardo e delle sua capacità di stordire è fortemente collegata ad un certo immaginario cinematografico, da La finestra sul cortile alle presenze fantasmatiche di tanti horror orientali, importati in occidente.
La solitudine: premessa di chi osserva e di chi è osservato
Condizione comune è la solitudine da cui parte la necessità di guardare fuori, di osservare altro o altri. Watcher lascia interagire in modo conflittuale due esseri soli, entrambi diversamente ammalati, diversamente sofferenti, uno maniacale, l’altro vicino alla depressione, uno maschile, l’altro femminile, entrambi tarpati nella vita e nella rispettiva capacità di esprimersi, in cerca consapevole o inconsapevole di uno sfogo.
Significativa è l’assenza di comprensione che circonda Juliet, il giudizio del marito e dei suoi colleghi, un fronte comune, di un’altra lingua, che non la segue, anzi arriva a schernire la sua fondata inquietudine; così come determinante è la confessione del vicino, un uomo dall’umilissimo impiego, costretto a vivere quasi sempre in casa per assistere l’anziano padre malato.
Regia femminile attenta alla fragilità e alla determinazione della protagonista
Si sente la nota femminile nella regia, l’occhio attento alla finta debolezza muliebre, alla mistificazione della verità della donna, al suo ruolo servente rispetto alla figura maschile, alla solidarietà tra compagne di sensazioni, tradimenti e violenze.
Lento a caricare, di una lentezza in parte voluta sì, ma che non aiuta la fruizione in quanto attraversa tutta una serie di tòpoi usati ed abusati dallo specifico del genere, Watcher possiede una prima parte estatica, contemplativa, in cui la gradualità della tensione cresce poco e stanzia in un’attesa elegante, ma un po’ fiacca, e poi recupera azione nella parte finale, nella rivoluzione hitckokiana che condensa tra gli ultimi minuti il più pauroso degli atti, il terzo.
Ritmo iniziale affaticato, eleganza impressiva della location
Eccellente il setting scenografico, la capitale rumena, con le sue architetture storiche e i suoi palazzi decadenti, in cui geometrie nordiche si alternano a colori di una povertà da altro secolo, a creare una dimensione che ingabbia perfettamente il respiro della protagonista, aiutandone la discesa nella salvifica esasperazione.
Colori spesso freddi, disposizioni di interni quasi nordica, per un ambiente non amico, una lingua non capita, un marito distratto alleato, un vicino che può essere il mostro da cronaca nera televisiva.
Watcher confeziona un’atmosfera quasi sottovuoto per la nuova arrivata, che tutti guardano sempre troppo a lungo, sempre con un punto interrogativo, più o meno esplicito disegnato in faccia, perché naturalmente sarà qualcosa che lei non ha compreso, che lei non conosce, a cui lei non è abituata, ad aver creato il problema, che altrimenti, probabilmente, non esisterebbe.
Watcher – Cast
Monroe e Glusman sono particolarmente inabili a creare una chimica convincente: non c’è niente di empatico tra di loro, non sono complici credibili,e se lo sono, poi lo dimenticano, per cui diciamo che non è raggiunto l’obiettivo.
Mentre invece se la loro “non combaciabilità” in qualche modo rientra nei piani del film, allora è accettabile. Anche se non a fondo godibile.
Forte mancanza di chimica tra gli interpreti
Manca un attaccamento a ciò che veramente ha perso la protagonista, una mancanza umana tale da renderla da una parte così passiva e solitaria, dall’altra così determinata ad andare a fondo alla propria percezione. Altrimenti si potrebbe pensare ad una tesi spaccona e cerebrale su certo femminismo.
Gorman invece, perfettamente in parte, fisicamente specchio di un’irrequietudine inquietante e, verosimilmente, aggressiva.
Di Watcher non resta impresso il quid tematico, né il significare dei dialoghi, ma la costruzione elegante di un’atmosfera essenziale, a volte asettica, palcoscenici semivuoti in cui lo sguardo di chiunque, della vittima, del carnefice, dell’amico, del nemico, dell’indifferente, del pubblico, possa catturare agilmente la sagoma di cui ha interesse ad intravedere l’esatto momento del suo frangersi. Peccato qui ci sia tutto il movimento preparatorio, ma manchi il crollo.