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Vertigo: analisi del capolavoro di Hitchcock

Non è mai facile parlare di quei film che hanno dato così tanto all’arte cinematografica, da assurgere all’unanimità ai più grandi capolavori della storia di quest’arte. C’è sempre il rischio di dire qualcosa che già si è detto, di non rendere realmente giustizia all’altissimo valore di cui l’opera è portatrice. A prescindere dai gusti personali, è innegabile che Vertigo (La donna che visse due volte in italiano) di Alfred Hitchcock rientri a pieno titolo in questa categoria di film. Si tratta non solo di uno dei film più amati e ricordati del regista britannico, ma anche uno dei film più apprezzati nella storia del cinema, di cui si continua a studiare la forza espressiva, l’ispirazione visiva, la potenza narrativa.

Ed ecco che quindi, ora che la Cineteca di Bologna ha distribuito un nuovo restauro in 4K di Psyco, si ha l’occasione per celebrare ancora una volta il genio di Hitchcock e, nel farlo, è impossibile non tenere a mente ciò che rappresenta Vertigo.

Vertigo

Vertigo: la trama

John “Scottie” Ferguson (James Stewart) è un ex detective che soffre di vertigini. Dopo mesi di inattività gli viene chiesto da un suo vecchio amico, Gavin Elster (Tom Helmore) di indagare sui strani comportamenti di sua moglie Madeleine (Kim Novak). Scottie scopre così che Madeleine è posseduta dallo spirito di Carlotta Valdes, giovane donna suicidatasi molti anni prima. Le cose però non sono realmente come appaiono.

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Vertigo

Vertigo: analisi

Vertigo è, in qualche modo, una summa del cinema di Hitchcock. In questo film si concentrano tanti temi altrimenti affrontati singolarmente nel resto della filmografia dell’autore. Ma soprattutto in Vertigo si celebra una delle comunioni più fortunate tra la sua precisione registica e il perfezionismo ossessivo per la sceneggiatura.

I film di Hitchcock sono a tutti gli effetti lezioni di narrativa, le storie che mette in scena sono sempre calibrate con grande precisione ed ogni svolta è calcolata per sposarsi perfettamente con la messa in scena. Vertigo, essendo una delle vette della sua filmografia, non fa eccezione. La sceneggiatura di Vertigo (scritta da Alec Coppel e Samuel Taylor) si articola principalmente in una struttura a due atti, che in definitiva dà vita a due differenti film. Mentre la prima parte si presenta come una detective story, con sfumature quasi sovrannaturali, la seconda film diventa una storia di ossessione, di follia, d’amore e di disperazione.

Vertigo

Dall’inizio alla fine seguiamo la discesa di un uomo verso una follia, alimentata e allo stesso tempo alleviata dall’amore. Il film arriva a porre lo spettatore in una posizione scomoda, impossibilitato a parteggiare né per Scottie né per Madeleine. E Hitchcock evidenzia questa ambiguità, tramite la regia, la composizione delle inquadrature, la fotografia e il resto.

Le numerose intuizioni tecniche – dall’effetto vertigo all’uso dei colori nella fotografia, per citarne solo due – fanno di Vertigo un vero e proprio manuale di narrazione cinematografica. Tanto è vasta la ricchezza registica e narrativa di questo film – di cui tantissimo si è scritto nel corso dei decenni – quanto è affascinante la molteplicità di interpretazioni che vi si possono trarre.

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La dimensione dello sguardo

Vertigo è, in primo luogo, un film sullo sguardo, sull’atto del guardare e sull’essere guardati. La principale tecnica che questo film ha introdotto nel linguaggio cinematografico, l’effetto vertigo, si basa proprio su una deformazione della percezione visiva, perché è proprio la dimensione dello sguardo a regolare i rapporti e le svolte all’interno del film.

Vertigo

Si pensi alla prima volta in cui Scottie vede Madeleine, un momento che diventa un’epifania, enfatizzato anche dalla musica di Bernard Herrmann, che diventa anche chiave di lettura per il resto del film. Ogni volta che Scottie vedrà Madeleine, si tornerà a quella dimensione epifanica.

Quello di Scottie è anche uno sguardo che controlla, che esercita un potere sul proprio oggetto, ovvero su Madeleine. E così come lo sguardo regola tutte le dinamiche narrative del film, diventa anche il mezzo attraverso cui si giunge alla risoluzione finale nell’ultima parte del film: Scottie vede al collo di Judy la stessa collana che indossava Madeleine e basta la vista di quell’oggetto a fargli comprendere la verità.

L’atto della creazione

Vertigo è anche un film sull’atto del creare, in cui lo stesso Scottie si eleva a demiurgo nel momento in cui crea con le sue mani la donna che vorrebbe. Qui sta il legame tra Scottie e il personaggio che veste i panni di antagonista del film, ovvero Gavin Elster. Entrambi, gli unici due personaggi maschili, plasmano Madeleine a proprio piacimento, la trasformano secondo la propria volontà, per i propri scopi. Madeleine diventa l’oggetto del controllo dei due uomini al centro del film, in questo modo si trasforma nella reale vittima dell’intreccio narrativo, resa oggetto manipolabile e privo di una propria individualità.

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Vertigo è, da questo punto di vista, anche un film sul cinema, dove il regista diventa colui che plasma il mondo davanti a sé per soddisfare il proprio bisogno di controllo su ciò che lo circonda. Scottie diventa il regista, l’autore che dà forma al suo mondo, rappresentato da Madeleine.

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Madeleine: vittima e carnefice

Spogliata di ogni individualità dai due uomini del film, Madeleine è in realtà il personaggio centrale della vicenda. Figura tutt’altro che positiva, si ritrova a giocare un ruolo fondamentale nella vita di Scottie, un burattino nelle sue mani, di cui alla fine si innamora. E se quindi inizialmente è Scotti ad essere guidato dai fili mossi da Madeleine, alla fine sarà proprio lei ad accettare di farsi manovrare da Scottie.

Un ribaltamento che non rappresenta una redenzione per Madeleine, semmai un inasprimento delle proprie colpe. Mossa solo dal proprio egoismo, vestito d’amore, Judy finisce per imprigionare Scottie e alimentare quella che è la sua follia.

Vertigo

Ecco che quindi in Vertigo i ruoli di vittima e carnefice non sono poi così netti. I ribaltamenti in questo film sono costanti, frequenti e nessun personaggio è del tutto positivo o negativo. Proprio in questa zona d’ombra si gioca questa tensione tra forze diverse, ognuna protagonista e antagonista.

A distanza di tanti anni, Vertigo continua quindi ad avere qualcosa da dire. Forse la ragione della sua immortalità sta proprio in questa molteplicità di prospettive attraverso cui leggerlo, in questa ambiguità interpretativa che diventa stimolo per chiunque vi si avvicina. Finendo così per innamorarsene.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Uno dei più grandi film della storia del cinema, in cui la molteplicità di interpretazioni è la maggiore ricchezza.
Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.

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