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It follows

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Potremmo tradurre con ‘ti  segue’ senza specificare il genere, e fortunati gli inglesi che hanno il neutro ‘it’ nella loro lingua. E’ un horror, dichiaratamente, fin dalla prima inquadratura. E’ sempre problematico recensire un horror, genere che nella sua declinazione più vicina al thriller sfrutta il fattore sorpresa, quindi il risultato finale è più apprezzabile se della storia lo spettatore sa poco o nulla.

It follows
Jay, la terrorizzata protagonista

Nel caso di It follows, la storia è classica, esile e snocciolata fin dal primo momento. Qualcosa segue le persone, qualcosa di lento e inarrestabile. Cos’è? Un alieno, uno spettro, un rimorso di coscienza? L’inquietudine è il sentimento più concreto che si prova nel seguire la pellicola del 2014 diretta da David Robert Mitchell, costruitosi una fama proprio grazie a questo lavoro. Girato con un budget relativamente basso e come film indipendente (attenzione però, negli USA significa soltanto ‘fuori dal giro delle major’) si è conquistato i favori della critica e del pubblico.

It follows
una delle bellissime inquadrature del film

I protagonisti della pellicola sono i classici stereotipi del genere horror. L’ensemble di adolescenti che affronta l’arcana minaccia richiama immediatamente alla mente la truppa del cartone ‘Scooby-doo’: c’è il belloccio, la secchiona con gli occhiali, la bella bionda (con l’aggiunta di una sorella) e il timido nerd. Peccato manchino un grosso cane e un furgone colorato, ma quello di cui si sente davvero la mancanza è la caratterizzazione dei personaggi secondari. La secchiona fa solo la secchiona, non è Velma e non introduce soluzioni brillanti (e nemmeno banali) all’intreccio. Greg è il Fred della situazione, ma non progetta trappole acchiappafantasmi, e tutto quello che sappiamo di lui è che i genitori si accorgono a malapena della sua esistenza, oltre all’ovvia cotta per Jaime/Daphne. Jay(Jaime) e Paul sono quindi gli unici personaggi con una storia e qualche dettaglio, gli altri vengono utilizzati come puro ornamento.

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It follows
La nostra Velma

Il pregio di It follows non è nella storia, che ricalca quello che è ormai un classico degli horror per teenager: sei stato maledetto, se non fai qualcosa per ‘passare’ la maledizione, morirai. Il regista, tramite movimenti di macchina lenti e studiati, un montaggio calibratissimo e una fotografia a dir poco impeccabile, immerge lo spettatore in uno stato d’ansia che continua fino all’ultima scena. ‘It’ segue davvero lo spettatore, il punto di vista è sempre quello della vittima, e chi guarda sa esattamente cosa accadrà se verrà raggiunto dall’apparizione.

Lo scoglio difficile da superare per immergersi nel film è proprio la premessa: stavolta non si tratta di fare la copia di un film come in ‘The Ring’, perché per passare la sfortuna a qualcun altro, bisogna andarci a letto, o almeno così sembra. In questo senso il regista compie dei veri e propri miracoli per tenere in piedi il film, con un occhio a Shining e l’altro al primo Carpenter, riuscendo ad alzare il volume della tensione a sufficienza per coinvolgere lo spettatore. Diversamente dagli horror citati però, che, pur basandosi anch’essi su premesse esili, quantomeno chiudevano il cerchio alla fine del film, It follows si comporta come uno dei tanti horror della nuova generazione, dove non serve alcuna spiegazione, né si riscontra un minimo di logica negli eventi. Non c’è una narrazione convenzionale, una catarsi, una vittoria finale contro il Male, dove la ‘final girl’ è l’unica superstite della vicenda.

L’orrore manifesto

Il nuovo corso prevede che il film sia l’oggetto  stesso della storia, totalmente autoreferenziale (‘the medium is the message’, analizzava McLuhan) ma il risultato, come in questo caso, è sufficiente per generare l’intrattenimento che negli intenti si voleva produrre.

Voto Autore: [usr 3,5]

Redazione
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