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Mulholland Drive di David Lynch

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Dal silenzio note di jazz, più precisamente di swing, dal buio assoluto uno schermo viola con personaggi sfocati che ballano: dapprima solo ombre, poi quest’ultime si slegano e continuano a danzare in maniera scoordinata  rispetto alle coppie di ballerini. Poi tre figure- spicca una donna (Naomi Watts)- volutamente sovraesposte. Niente logica, niente legami apparenti, è la porta di un universo che si apre e ci invita ad entrare, è il benvenuto di David Lynch nel suo Mulholland Drive.

mulholland drive

Un viaggio onirico senza destinazione

Mulholland Drive è un viaggio, non dal punto di vista narrativo bensì sensoriale.

Non è infatti tanto importante concentrasi sulla trama e capire esattamente dettagli della storia come il finale, o il significato della chiave blu, quanto comprendere che non vi è una spiegazione logica, e cercarla con troppa serietà ed in maniera troppo ostinata sarebbe un errore.

È forse invece molto più interessante soffermarsi sul genere del film, che di certo non è un univoco: si può infatti parlare di noir, di thriller psicologico, in parte di una sorta di gangster-movie,  così come di dramma, intriso però di un profondo surrealismo e di una componente onirica che lascia lo spettatore sconvolto, soprattutto alla prima visione.

Chiaro è che la curiosità per l’intreccio nasca spontaneamente, soprattutto sulla base della componente noir del film, che per buona parte della messinscena regge bene: ma poi tutto perde ogni significato logico ed è lì che si palesa il genio di Lynch, uno dei pochi registi viventi in grado di portare ai minimi termini il cinema rivelandone l’essenza più pura, più vicina all’arte in senso assoluto.

Mulholland Drive necessita di più visioni proprio per questo, la prima volta non è altro che un inganno: è il fulcro del film, tanto forte da  trapassare lo schermo.

È una scatola cinese, una matrioska di bugie reali e false verità, un’illusione continua ed accattivante, un raffinato doppio sogno, o meglio, sogno elevato ad infinito, e che quindi diventa sempre nullo o infinito.

Tra sogno e realtà

La trama è tutto sommato semplice, anche se potrebbe sembrare il contrario; David Lynch l’ha definita “una semplice storia d’amore ambientata nella città dei sogni”.

mulholland drive

Le parole del regista sono ovviamente, volutamente ed intelligentemente fin troppo riassuntive: partendo dal presupposto che tutta la storia non è altro che finzione (che sia sogno, incubo, ricordo poco importa, così come di quale dei personaggi possa essere il punto di vista) si potrebbe però dire che tutto gira intorno a Betty, giovane aspirante attrice da poco trasferitasi a L.A., e Rita (nome di fantasia che trae ispirazione da un poster di Gilda), interpretata da Laura Harring, affascinante donna che in seguito ad un incidente stradale ha perso la memoria.

Tra le due inizia una storia d’amore ed al contempo si intrecciano le storie di vari personaggi, il più importante è senza dubbio il regista Adam (Justin Theroux).

Tutto questo si rivela alla fine pura falsità, sembra infatti che Betty si chiami in realtà Diane, e che si sia suicidata dopo aver fatto uccidere Camille (vero nome di Rita), in procinto di sposarsi con Adam, per gelosia.

Ma, come è stato già detto, ciò che importa non è la spiegazione- Lynch si è sempre rifiutato di rispondere ad ogni tipo di quesito sul finale e sulle ipotesi di significato- ma l’esperienza.

Mulholland Drive

“No hay banda!”- Mulholland drive: la musica che si fa immagine

Per comprendere il senso di un film enigmatico e magnetico come Mulholland Drive è bene fare riferimento all’arte che meno di tutte si presta alle spiegazioni logiche: la musica.

Mulholland Drive potrebbe benissimo essere una sinfonia, in grado di emozionare, sconvolgere, impaurire e disorientare senza alcuna spiegazione logica.

È invece una sequenza di immagini, tra l’altro visivamente stupende, per varietà, diversità, composizione, luce e colore: ci sono pause, dinamiche di forte e piano, crescendo e diminuendo, è musica fatta immagine e di conseguenza l’ultima parola del film è proprio “Silencio”.

Esecutori perfetti gli attori, le cui interpretazioni sono lodevoli, in particolare quella di Naomi Watts, che forse, data la professionalità, è un po’ sottolavutata dal mondo di Hollywood.

Come per tutti i film di David Lynch dal 1985, compreso Velluto Blu, il compianto Angelo Badalamenti ha lavorato alla colonna sonora.

Oltre al brano swing, composto da Badalamenti per la scena iniziale, spiccano il tema principale, estremamente noir, misterioso ed elegante in maniera quasi disturbante, e poi due brani non originali: “I’ve told every little star” e “Llorando”.

Tra le due canzoni una notevole caratteristica comune: entrambe vengono eseguite nel film in playback.

Il legame con l’opera lynchiana

Altra particolarità è certamente il fatto che mentre la canzone di Linda Scott si distingue per la gioia che trasmette, a dispetto della scena, cupa ed inquietante, “Llorando”, versione spagnola di “Crying” di Roy Orbinson- autore amato da Lynch, ricordiamo la sua “In dreams”, sempre in una memorabile cover, in Velluto blu– è toccante, profonda.

Mulholland Drive

La scena nel “club del Silencio” è forse la più emozionante di tutto il film, se lo spettatore abbandona la razionalità, immergendosi a pieno nelle atmosfere lynchiane “Llorando” emoziona, nonostante sia una doppia finzione, la prima filmica poiché si tratta di una pellicola, la seconda metafilmica dato che all’interno dell’opera stessa viene preannunciato che tra le pareti del club nulla esiste.

Questa sorta di nichilismo, limitato ad un unico luogo, è emblematico, metaforico, il club ha l’aspetto di un teatro, nulla è più vero ed al contempo falso del palcoscenico: in quest’ottica Mulholland Drive appare quasi pirandelliano. È un rovesciamento della vita vera nella finzione teatrale, e della realtà teatrale in una falsa esistenza, talmente irreale che sapere se sia sogno, ricordo o creazione immaginaria, dunque voluta, è superfluo.

David Lynch, maestro del caos

Ma semplificare il cuore del film al contrasto realtà/ apparenza o menzogna/ verità sarebbe vergognosamente riduttivo: gli ossimori e le opposizioni continue sono solo mezzi.

Strade (perdute) per disorientare e trovarsi, o meglio trovare il proprio personale “impero della mente”.

Mulholland Drive

Mulholland Drive può essere infatti interpretato come un preludio di Inland Empire, oltre ad avere evidenti legami con Strade Perdute.

È interessante l’inserimento di elementi totalmente privi di correlazione razionale nei film di Lynch: sicuramente non è un caso che nell’ultimo lungometraggio del regista, risalente all’ormai lontano 2006, nella scena finale- anche lì la musica, in questo caso “Sinnerman” di Nina Simone, riveste un ruolo primario- appaia dal nulla Laura Harring, che sembra quasi ricalcare l’atteggiamento di Camille negli ultimi minuti di Mulholland Drive.

Un viaggio distopico nella mente umana

È come se la mente, che alla fine di Inland Empire non è certamente uguale a com’era prima della visione del film, in un momento di caos, riuscisse a mettere in ordine i pezzi e recuperare parte dell’opera precedente, o forse è più semplicemente Lynch che si prende gioco di colleghi, critici, cinefili e spettatori.

Anche il finale di Mulholland Drive, così come quello di Inland Empire, è caotico e disordinato ma l’atmosfera è opposta, la sensazione di chi guarda invece può risultare in fondo simile.

Mulholland Drive

Come in Inland Empire, anche qui lo spettatore comprende che tutto è stato una messinscena, in più viene normalizzata  la presenza di uno dei personaggi più inquietanti di tutto il film (limitatamente ad una prima visione): il misterioso “mostro” che appare da dietro un angolo, probabilmente un incubo, che però spaventare chi guarda ignaro.

Non si spiegano bene invece gli anziani, dal viso particolarmente inquietante- ulteriore connessione con Inland Empire– che nel finale amplificano con una risata folle la loro stranezza.

Per certi aspetti ricordano, senza ovviamente un legame razionale, l’uomo misterioso di Strade Perdute.

L’importanza delle cover

La presenza delle cover, cara a Lynch, crea una forte concatenazione non solo per quanto riguarda la già citata scena di Velluto Blu, ma anche quella in cui la protagonista Dorothy, interpretata da Isabella Rossellini, canta proprio “Blue Velvet”. Nel club del Silencio le similitudini con il nightclub sono molteplici: dal tessuto delle tende di scena, al colore, ma soprattutto la reazione dello spettatore e l’importanza della sequenza nel film: sono veri e propri disvelamenti.

Discorso diverso invece vale per le cover dei brani di Elvis ad opera di Sailor (Nicholas Cage) in Cuore Selvaggio: l’ambientazione è differente, così come il legame tra musica- in particolare testo- e narrazione filmica- è Sailor che semplicemente esprime i suoi sentimenti- quello che resta invariato è però il legame musica/ emozioni, che nel caso di Mulholland Drive e Velluto Blu possono essere definite più propriamente sensazioni.

Le colte citazioni

Poichè Mulholland Drive è un film che tratta anche dell’industria del cinema e delle sue dinamiche, verrebbe naturale paragonare Mulholland Drive a 8½ di Fellini ed altri film simili ispirati alla pellicola del 1963, ma anche questo è qualcosa di solo apparente.

Nonostante il legame narrativo con Hollywood e l’onirico gli unici film con cui è possibile creare un legame essenziale (senza considerare ovviamente tutta la filmografia di David Lynch) sono Persona di Ingmar Bergman e L’avventura di Michelangelo Antonioni.

Oltre ad esserci dei veri e propri remake di scene e quindi fotogrammi di fatto sovrapponibili e sostituibili è  il rapporto tra le donne a collegare con un lungo filo rosso le pellicole.

Nell’opera di Bergman, così come in quella di Lynch, si può fare riferimento facilmente alle teorie freudiane, in particolare alla seconda topica (Io, Es, Super-io).

Nel film di Antonioni invece la somiglianza riguarda più un fatto squisitamente comportamentale, ovvero la trasformazione di una persona in un’altra: ne L’avventura questo avviene però in seguito ad una sparizione, cosa che in Mulholland Drive non potrebbe accadere perché nulla esiste realmente, e di conseguenza non può svanire.

Non per questo però il film di Lynch è nichilista, anzi: è sempre ben chiaro al regista che quello che sta facendo è cinema, e quindi esiste e, in questo caso, per 147 minuti in qualche modo “influenza” lo spettatore.

In Bergman si cerca l’anima, tanto che Alma è il nome di una delle due protagoniste- buffo che si ricorra a delle traduzioni in spagnolo in entrambi i film- in Mulholland Drive si ritrova, senza volerlo, la mente.

Mulholland Drive: le conclusioni

È la prerogativa di David Lynch, maestro non del surrealismo ma della non-razionalità, che certamente irrazionalità non è: si spera che presto possa tornare a scuotere la psiche dei cinefili, a cui manca tanto.

Nel frattempo però il viaggio (senza meta) può continuare tornando ai suoi capolavori passati, e Mulholland Drive è certamente una tappa di primaria importanza.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

In Mulholland Drive si ritrova, senza volerlo, la mente. È la prerogativa di David Lynch, maestro non del surrealismo ma della non-razionalità, che certamente irrazionalità non è: si spera che presto possa tornare a scuotere la psiche dei cinefili, a cui manca tanto. Nel frattempo però il viaggio (senza meta) può continuare tornando ai suoi capolavori passati, e Mulholland Drive è certamente una tappa di primaria importanza.
Redazione
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