Gli occhi del diavolo, ma ne avevamo davvero bisogno?
Non si fa in tempo a gioire di un Hatching-La forma del male o di un Speak No Evil, che il cinema horror ci propina nuovamente qualcosa che pensavamo non avremmo più visto. O magari che avremmo visto in modo più “diluito”, di certo non servito così, come in Gli occhi del diavolo di Daniel Stamm. Questo film horror, uscito nelle sale italiane a novembre 2022, si presenta come il classico film sulle possessioni con il villain per eccellenza: il Diavolo, o meglio La Voce, come viene chiamata lungo tutto il film. Il luogo in cui è ambientata la storia è perfetto, perché si tratta di un ospedale gestito dalla Chiesa, ma un ospedale in cui i ricoverati sono dei casi un po’ “particolari”. Anche la protagonista è perfetta, una suora molto giovane con un trauma infantile mai superato che raccoglierà energie e coraggio per diventare l’eroina di cui avevamo bisogno. Quindi, se tutto è perfetto nel film Gli occhi del diavolo, cosa c’è che non va? Il problema di film come questo è la capacità di ricalcare pedissequamente le opere cinematografiche di genere. Il risultato finale di questa operazione copia-incolla è un film privo di personalità, insipido come pochi. Il tema della possessione demoniaca è stato trattato così tanto nel genere horror che riprenderlo è veramente un salto nel buio, perché il rischio di un risultato visto e rivisto è (quasi) certo. Purtroppo Gli occhi del diavolo è destinato al dimenticatoio, perché non ha assolutamente nulla che valga la pena di essere ricordato.
Gli occhi del diavolo, la trama
Ann è una giovane suora che presta servizio come infermiera in un ospedale gestito dalla Chiesa. Dolce, amorevole e comprensiva, nel suo passato nasconde un trauma mai del tutto superato. Sua madre era schizofrenica e violenta sia con sé stessa che con lei. L’ospedale dentro cui Ann lavora non presta soltanto cure ai malati. Infatti, è anche una scuola in cui professionisti educano i giovani presti all’antica arte dell’esorcismo. Ann, essendo una donna, non può parteciparvi, tuttavia sente di avere un ruolo fondamentale nella battaglia contro il Diavolo. Ne prenderà consapevolezza quando si affezionerà ad una bambina, Natalie, ricoverata all’interno dell’ospedale e uno dei casi più difficili. Ann sembra essere l’unica in grado di tenerla a bada, ma dietro questo canale di comunicazione instaurato con la bambina si nasconde un altro segreto a cui Ann non stava più pensando…
Un film che crolla su sé stesso
Daniel Stamm non è un nome nuovo nel genere horror. Nella sua filmografia non troviamo chissà quali capolavori, ma in un modo o nell’altro i suoi lavori avevano già suscitano un po’ di chiacchiericcio nell’ambiente. Stiamo parlando di film come L’ultimo esorcismo e I 13 peccati. Inoltre, ha partecipato in veste di regista alle serie tv Into the Dark e Them. Un po’ di esperienza quindi ce l’ha, eppure con Gli occhi del diavolo commette l’errore di non innovare il filone delle possessioni demoniache. Non vi è nessuna nuova intuizione, nessuna nuova idea che rinnovi il genere. Niente che non abbiamo già visto ne L’esorcista di William Friedkin, rimasto ancora il solo e unico punto di riferimento in materia. E che dire della protagonista? Jacqueline Byers, l’interprete di Suor Ann, di per sé offre una performance gradevole da vedere, ma è proprio il suo personaggio che poggia su basi sbagliate, o per meglio dire, prevedibili anche a chi è un novello appassionato di film horror. Quante volte nei film horror abbiamo assistito a protagonisti che nel proprio passato hanno un trauma infantile che non hanno mai superato? E quante volte lo “switch” caratteriale che porta il protagonista ad agire deriva dall’averlo finalmente affrontato? Un tentativo di dare profondità a suor Ann si intravede nell’averle voluto affibbiare il colpo di scena, ma anche lì, si resta un po’ confusi. La confusione deriva dal fatto che il “segreto” di Ann sembra esser stato tirato fuori dalla trama all’improvviso, come un coniglio dal cilindro. Gli occhi del diavolo è un film che crolla su sé stesso, perché non poggia su basi proprie, ma riutilizza quelle già consolidate in anni e anni di cinema horror.
E quando un film horror non fa paura?
Questo è un grande problema, un problema in cui incappano molti horror moderni. La paura è sempre soggettiva e ciò che fa più paura ad una persona, potrebbe far ridere un’altra. Tuttavia, nel film Gli occhi del diavolo manca anche l’impegno nel creare un’atmosfera inquietante, una tensione che possa quantomeno dimostrare che ha provato a raggiungere l’obiettivo di essere un film horror degno d’essere chiamato tale. Gli occhi del diavolo è un film molto freddo, ma nel senso peggiore del termine. C’è poca cura dell’aspetto visivo, forse visibile solo nei flashback che riguardano l’infanzia di suor Ann e che tentato di dare un po’ di ritmo narrativo alla storia, altrimenti totalmente piatta. Quando ritorna a narrare nel presente, Gli occhi del diavolo lascia tutto un po’ andare, sia a livello fotografico che registico.
Un film tra tanti
Gli occhi del diavolo finirà per essere ricordato come uno dei tanti film horror usciti nelle sale cinematografiche. Un film la cui presenza è irrilevante tra le fila del genere. Ci sono ben altri film che trattano la tematica delle possessioni demoniache che meritano d’essere guardati e molti sono dei classici intramontabili. Oltre al già citato capolavoro di Friedkin, vi consigliamo il sempre eterno Amityville Horror del 1979 e il recente Liberaci dal male di Scott Derrickson.