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Ingmar Bergman, lezioni d’amore d’autore

Ingmar Bergman nasce a Uppsala in Svezia, il 14 luglio 1918. Figlio di un pastore luterano Erik, e di una donna di origine olandese, Karin Akerblom, durante l’infanzia fu vittima di un’educazione particolarmente oppressiva.
Laureatosi in letteratura con una tesi su Strindberg, negli anni ’40 inizia a lavorare come sceneggiatore per la “Svensk Filmindustri”, debuttando nella regia, nel 1946 con “Kris”.

Ingmar Bergman
Come in uno specchio (’61)

Ingiustamente ritenuto autore “difficile”, è stato invece regista scarno e austero, limpido e asciutto. Sempre dedito a indagare con luminosità e intelligenza il mistero dello spirito e del vivere.

Come uomo è stato doppiamente prigioniero, prima di un’infanzia cupa e difficile, segnata dalla presenza del padre pastore luterano, poi da un’isola remota e inaccessibile, quella di Faro, dove ha girato alcuni dei suoi capolavori, a partire da “Come in uno specchio” (1961) e in cui poi ha scelto di vivere, lontano dal mondo e dagli uomini.
Eppure come artista, Ingmar Bergman è stato, all’opposto, uno dei più universali e dei più umanisti registi della storia del cinema, capace, come pochi altri, di parlare dell’intimità dell’uomo, affrontando in maniera diretta il tema più arduo e più urgente, quello del senso della vita.

Ingmar Bergman
Il settimo sigillo (’56)

Maestro nel giocare con la luce e coi primi piani (non a caso uno dei suoi primi film, del 1958, s’intitola “Il volto”), teorico di una messa in scena rigorosa ed essenziale, Bergman fu autore dal percorso quantomai lineare e coerente. Da “Sorrisi di una notte d’estate” (’55), il film che, grazie a un premio tecnico al festival di Cannes, lo fece conoscere al pubblico europeo, fino a “Fanny e Alexander” (’82), opera di congedo di straordinaria bellezza ed armonia.


Il suo cinema rappresenta un unico grande romanzo in cui s’intrecciano tematiche religiose, ansie esistenziali e apologhi sul rapporto fra arte e vita.
Due opere lo hanno innalzato allo status d’autore, “Il settimo sigillo” (’56), austero e doloroso film capolavoro sul silenzio di Dio, e “Il posto delle fragole (’57), amara riflessione sul rimpianto e l’aridità del cuore, favorendo l’immagine fissa di un Bergman pessimista al limite del nichilismo.

Ingmar Bergman
Sussurri e grida (’72)

Molti dei suoi film nascondono un gusto per il racconto geometrico e per i giochi matematici. Quattro sono le donne in “Donne in attesa” e “Sussurri e grida”. In “Una lezione d’amore” c’è una coppia in crisi, che diventano due in “Sogni di donna” e tre in “Sorrisi di una notte d’estate”. Tre: “Come in uno specchio”, “Luci d’inverno” e “Il silenzio”, sono i film che compongono “la trilogia religiosa”.

Il posto delle fragole (’57)

Bergman, dopo aver inanellato capolavori su capolavori, diventa il modello di molti suoi colleghi, che non nascondono l’ammirazione per le sue opere.
Diventa così il modello di un’arte trasformata in patrimonio universale e celebrata come tale ovunque nel mondo.
Oscar come miglior film straniero con “La fontana delle vergini” (che vide la luce dopo essere stato ispirato da “Rashomom” di Akira Kurosawa), “Come in uno specchio” e “Fanny e Alexander”.


Tra i tanti cineasti che celebrarono l’arte di Bergman, Dreyer che spese parole di elogio per il film “Il silenzio”; Federico Fellini che vedeva Bergman come un fratello maggiore; e poi ancora Orson Welles e Jean Luc Godard che paragonava lo svedese a Marcel Proust. Stanley Kubrick che, senza troppi fronzoli, dichiarò di aver visto tutte le pellicole di Bergman e di amare, in particolar modo, “Sorrisi di una notte d’estate”. Non per ultimo Woody Allen che, a un certo punto della sua carriera, gli rese omaggio con il film “Interiors” (1978).

Fanny e Alexander (’82)

Ingmar Bergman ha continuato a predicare l’amore come unica salvezza esistenziale.
Tutto il suo cinema, esattamente come una delle non rare commedie della sua filmografia, è solo una lunga accorata lezione d’amore.
Un autore geniale che con il suo cinema ci ha insegnato, con il piglio dell’autorefenzialità, il significato della vita, dell’amore e i suoi intrecci emotivi. Scavando dapprima nella sua anima tormentata, per regalarci un viaggio, pregno dei dettami sui sentimenti universali dell’esistenza, che rappresenta la vita di tutti noi.

Alessandro Marangio
Alessandro Marangio
Critico cinematografico per la RCS, ho collaborato per anni con le più importarti testate giornalistiche, da Il Messaggero a La Stampa, come giornalista di cronaca, passando poi per Ciak, Nocturno, I Duellanti (Duel) di Gianni Canova, Cineforum e Segnocinema, come critico cinematografico.
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