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Il grande silenzio di Sergio Corbucci

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Il grande silenzio è un film western drammatico del 1968, diretto da Sergio Corbucci.

In un periodo in cui a dominare la scena di questo genere, già in leggero declino,  è senza dubbio Sergio Leone, Sergio Corbucci realizza un’opera unica, per ambientazioni, trama ed atmosfere. Il grande silenzio infatti è un dramma che si consuma sulla neve, “il vecchio West è finito” viene detto all’inizio della pellicola: non ci sono i luoghi polverosi a cui Leone o John Ford avevano abituato il pubblico, ma solo immense distese di bianco.

Trama

1888, anno del “grande freddo”, tra i boschi nevosi dello Utah si nascondono banditi, molti dei quali innocenti, in attesa di un’amnistia del nuovo governatore. Costretti a vivere ingiustamente tra freddo e stenti questi sono impossibilitati a tornare a casa poiché sulle loro teste ci sono delle ingenti taglie ed una sorta di “esercito” di bounty killer li attende per ucciderli ed incassare più soldi possibili, anche grazie ad un accordo con il cinico Henry Pollycut, commerciante e giudice di pace, nonché usuraio, del paese.

Tra i cacciatori di taglie si distingue Tigrero, Klaus Kinski, “col cappello da prete e la pelliccia da donna” il pistolero dagli occhi di ghiaccio uccide per il gusto di farlo, anche tutte le volte in cui potrebbe consegnare vivo il bandito catturato.

Tra i malcapitati sotto la pistola di Tigrero c’è James Middelton, marito di Pauline, un uomo di colore fautore di alcuni furti conseguenti agli  atteggiamenti del crudele Pollycut, che spinge alla criminalità dei poveri disgraziati così da guadagnare.

Pauline ingaggia allora Silenzio, Jean-Louis Trintignant, per uccidere Tigrero e vendicare il familiare defunto.

il grande silenzio

Silenzio, così chiamato per il mutismo dovuto alla recisione delle corde vocali da bambino e perché dopo il suo passaggio rimane solo il silenzio della morte, è un mercenario che, mettendosi d’accordo con i banditi, uccide i bounty killer, sparando però sempre con la  scusa di legittima difesa e quindi rispettando la legge.

Nonostante un nuovo sceriffo, realmente interessato ad un miglioramento della situazione, tanto da arrestare Tigrero, è il male a trionfare in questo film di Corbucci, in un finale tragico che vede la morte dei buoni.

Recensione- il finale

Il grande silenzio è una pellicola del tutto estranea a gran parte della filmografia del genere spaghetti western, come già detto per le ambientazioni, ma soprattutto per il finale.

Nella conclusione infatti viene dapprima ucciso lo sceriffo, per via di un tranello dello spietato Tigrero: la sua morte è velocissima, non viene neppure mostrata visivamente allo spettatore ma il senso di angoscia da quel momento in poi non fa che accrescere minuto dopo minuto.

Lo sguardo di Kinski, monumentale  la sua interpretazione, è sempre più soddisfatto, come se il sangue versato lo rendesse felice, il suo sorriso beffardo e la sua ironia sempre presente lo rendono forse perfino più cattivo di Lee Van Cleef ne Il buono, il brutto, il cattivo dell’anno precedente.

A rendere ulteriormente Tigrero così cattivo è il suo trionfo, che è la vittoria del male, della violenza, dell’ingiustizia, della legge scorretta: proprio per questo, nonostante la scritta finale del film, che rende Silenzio un martire e che indica il cambiamento della norma sulle taglie dopo il massacro del 1888, rimane un senso di estremo sconforto e tragicità in chi guarda.

L’ultima scena è ancora più fredda di quella appena descritta, in quanto muoiono oltre al protagonista ed alla sua complice, divenuta amante, Pauline, anche tutti i banditi: Silenzio muore con le mani ferite, grondanti sangue, per via di un primo sparo che arriva lateralmente da un bounty killer amico di Tigrero.

Nelle ultime immagini vediamo ancora una volta lo sguardo impassibile e soddisfatto del cruento Tigrero, che trascura completamente l’aver agito con codardia, in quanto per lui conta solo lucrare e non importa che qualcuno perda la vita, anzi è proprio la somma di questi due eventi l’obiettivo.

L’alternativa

Considerato l’estremo pessimismo la produzione chiese a Sergio Corbucci un finale alternativo, poiché questo finale non avrebbe soddisfatto il pubblico: Corbucci, per ovvi motivi lo realizzò, ma con una voluta inverosimiglianza narrativa e delle pessime riprese.

Aggiunse dal nulla alla sceneggiatura un guanto di acciaio, che avrebbe permesso a Silenzio di sparare e difendersi, ma l’alternativa fu talmente di bassa qualità che la scena non arrivò neppure al montaggio.

È infatti il finale a rendere il film di Sergio Corbucci unico nel panorama western.

il grande silenzio

Un’opera di pregio ma imperfetta

Nonostante la peculiarità e la profondità del discorso di fondo, grande riflessione sulla storia e sul mondo contemporaneo, Il grande silenzio non è un film perfetto.

È infatti inspiegabile l’innamoramento tra Silenzio e Pauline, che sembra più un elemento di distrazione fatto per conquistare la benevolenza del pubblico che si sarebbe poi persa nella conclusione.

Inoltre il cattivo interpretato da Klaus Kinski è fin troppo fortunato, e sembra quasi che senza volerlo anche i buoni si comportino in modo tale da favorirlo nei suoi terribili intenti.

Il film piacque poco al pubblico italiano del 1968, complice l’uscita in sala a ridosso delle  festività natalizie ed il divieto di visione ai minori di 18 anni per l’esagerata violenza; andò meglio in Francia e Germania Ovest grazie alla presenza dei due celebri e ottimi protagonisti.

Il grande silenzio, una lezione di cinema

Il grande silenzio è però un film impresso senza dubbio nella memoria collettiva degli appassionati del genere, ma non solo.

Sia la critica sia i fan di Jean-Louis Trintignant e di Klaus Kinski avranno potuto e possono constatare due grandi prove recitative, se di Kinski si è già detto molto e poco c’è da aggiungere vista la maestosità, è doveroso sottolineare che l’attore che veste i panni di Silenzio si mette in gioco eliminando uno dei punti cardine della recitazione, ossia la voce, ne consegue un protagonista potenziato in altri aspetti quali sguardo e gestualità.

L’eleganza formale della pellicola è evidente ed innegabile, e la bravura di Sergio Corbucci porta lo spettatore quasi a star male negli ultimi quindici minuti del film.

Sono inoltre moltissimi i riferimenti possibili con la storia dell’arte, proprio perché molte inquadrature, in primis quelle all’aperto, sono concepite come quadri: Arkàdij Plàstov, Ivàn Shìshkin, Konstantìn Juòn sono i tre pittori russi a cui sembra si faccia costantemente omaggio.

Tra tutti i registi successivi a Corbucci ce n’è uno che sembra quasi ossessionato dal film: si tratta ovviamente di Quentin Tarantino.

L’amatissimo regista statunitense cita Il grande silenzio in almeno quattro delle sue opere.

Partendo dalle più evidenti, Django Unchained e ancor più The hateful eight– già dalla prima scena, che si potrebbe definire quasi un remake, l’ambientazione appare identica- passando per dei riferimenti verbali in C’era una volta… ad Hollywood, arrivando ad una meno palese citazione in Kill Bill vol.1.

Nel duello tra O-Ren Ishii e la sposa infatti c’è un elemento sconnesso dal resto del film: la neve… ancora una volta Tarantino guarda all’opera di Sergio Corbucci?

Che la pellicola gli abbia dato tanto, così come ogni film di questo genere, è un dato certo.

il grande silenzio

Conclusioni: perché guardare Il grande silenzio?

Il grande silenzio appare dunque un film da recuperare assolutamente, anche se non si ama il genere western, in quanto la collocazione e le atmosfere lo allontanano e lo rendono più un’opera di riflessione su grandi temi sempre attuali.

La pellicola, disponibile in streaming su Amazon Prime Video, potrebbe essere vista inoltre anche solo per la bellezza dei fotogrammi e l’eccezionale presenza di Kinski nelle vesti del cattivo.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Il grande silenzio appare dunque un film da recuperare assolutamente, anche se non si ama il genere western, in quanto la collocazione e le atmosfere lo allontanano e lo rendono più un’opera di riflessione su grandi temi sempre attuali.
Redazione
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