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Freaks Out: recensione del film di Gabriele Mainetti

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Freaks Out: trama

Freaks Out di Gabriele Mainetti, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, ha per protagonisti quattro freaks e il loro padre Israel. Il loro piccolo circo è la loro casa. Quando però Israel sparisce misteriosamente, i quattro protagonisti si ritrovano allo sbando nella Roma occupata dai nazisti.

Freaks Out

Freaks Out: recensione

Si sapeva che Freaks Out fosse un film dalle dimensioni enormi e dalle ambizioni eccezionali. Perlomeno per il panorama italiano.

In effetti Freaks Out è l’apice di quel processo iniziato nel 2015 con Lo chiamavano Jeeg Robot dello stesso Mainetti – prima già Smetto quando voglio aveva aperto la strada – proseguito poi con prodotti quali Il primo re di Matteo Rovere, ma anche i due fantasy di un autore affermato come Matteo Garrone. Si tratta del processo che ha visto l’emergere di un’attenzione maggiore verso un cinema più complesso, per generi e stile, rispetto ai tradizionali canoni del cinema italiano.

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Freaks Out fa un passo in avanti e alza l’asticella in modo irreversibile: al di là delle qualità artistiche del film, Freaks Out rappresenta ad oggi il film più ambizioso, produttivamente parlando, del cinema italiano contemporaneo, a tutti gli effetti paragonabile per complessità e grandezza ad un blockbuster.

Se Lo chiamavano Jeeg Robot era un film piccolo, incentrato su un unico individuo e in cui il supereroismo era raccontato andando al ribasso, costretto com’era a frenare le proprie ambizioni, Freaks Out è l’opposto. Una pellicola “immensa“, con quattro protagonisti e moltissimi altri personaggi, che fa della spettacolarità il suo punto di forza e che non si frena mai, ma anzi dà libero sfogo alla fantasia. È un film che dura tanto – due ore e venti – ma in cui succede di tutto, con un ritmo intenso che trasporta la storia attraverso momenti di altissimo cinema, sequenze di pura meraviglia e grandi scene d’azione.

Freaks Out

La sequenza d’apertura è già una dichiarazione d’intenti. Una manciata di minuti senza dialoghi in cui i personaggi ci vengono presentati tramite le pure immagini, per poi passare alla prima grande scena che mette in evidenza le ambizioni di Mainetti. Si vede che questo regista è maturato dalla sua prima esperienza con il lungometraggio: sa gestire meglio ciò che ha a disposizione, e padroneggia con maggior consapevolezza la macchina da presa.

Rispetto alla sua opera prima, con questo film Mainetti racconta anche una storia più complessa, ambientata in un’epoca di grande rilevanza storica – l’Italia del 1943, occupata dai nazisti – ma che abbraccia anche altri momenti della Storia e del tempo (meglio non dire altro per non fare spoiler). E anche i modelli a cui si rifà Mainetti sono di più e più vari: da Sergio Leone al Tarantino di Bastardi senza gloria. Ma c’è anche L’armata Brancaleone di Monicelli e addirittura Roma città aperta di Rossellini, non solo per il contesto in cui si sviluppa la vicenda, ma anche per una scena che sembra citare proprio la scena più nota del film di Rossellini.

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Tanti elementi derivativi che però non impediscono a Freaks Out di avere una propria identità, merito di una storia complessa, ricca di sottotrame in cui si muovono i personaggi inusuali interpretati da Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto e Giancarlo Martini. Insieme a loro il villain Franz interpretato da Franz Rogowski. Forse lo Zingaro di Luca Marinelli è un personaggio di maggiore impatto (merito anche dell’ottima performance dell’attore), ma Franz è senza dubbio una figura più tragica e per certi aspetti più affascinante. Franz è a tutti gli effetti un protagonista alla pari dei quattro freaks, tanto che il film potrebbe essere letto dal suo punto di vista, a partire dal titolo stesso: freak out in inglese significa impazzire.

Non tutto, però, è perfetto. Il finale, ad esempio, finisce per essere un po’ prevedibile e poco originale, pur senza perdere mai il suo alto livello tecnico. Inoltre non tutti i personaggi convincono allo stesso modo. Se Aurora Giovinazzo si rivela una piacevolissima sorpresa e regala una delle interpretazioni migliori di tutto il film (il film è in gran parte sulle sue spalle), lo stesso non si può dire per Pietro Castellitto. Rispetto a quando è stato girato il film, ormai tre anni fa, questo giovane attore e autore ha avuto modo di maturare, ma in questo film purtroppo non riesce a convincere. La colpa è anche della scrittura del suo personaggio: è una figura comica, ma che rischia di diventare irritante nel corso del film a causa del suo reiterare di continuo il proprio lato ironico.

Per questi motivi e per la gran quantità di elementi messi in gioco, Freaks Out è un film che potrà facilmente dividere il pubblico, molto più di quanto fece Lo chiamavano Jeeg Robot. Di certo i due film non sono sovrapponibili: Lo chiamavano Jeeg Robot conquistò il pubblico per essere un film introspettivo, fortemente realista, che raccontava una storia umana in cui la violenza abbracciava un lato più dolce e sentimentale. Il basso budget a disposizione costrinse a lavorare su una storia che si reggesse sui personaggi più che sullo spettacolo, mentre Freaks Out, che può invece contare su uno spettacolo eccezionale, sacrifica un po’ la poesia.

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Si potrebbe addirittura dire che Freaks Out sia un film meno originale di Lo chiamavano Jeeg Robot, addirittura più in linea con i prodotti che siamo abituati a vedere provenire da oltreoceano. Era proprio questo che voleva Gabriele Mainetti, insieme al co-sceneggiatore Nicola Guaglianone: fare qualcosa che in Italia non si era mai fatto e aprire la porta alla possibilità che sul lungo termine questo tipo di produzioni siano normalità anche da noi.

Per sapere se questa speranza darà i suoi frutti, bisognerà intanto vedere come andrà Freaks Out al botteghino, scoprire se il pubblico premierà l’ambizione o si ritroverà spiazzato difronte a un’opera che in Italia è ancora un’outsider.

Freaks Out: trailer

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Freaks Out alza le ambizioni rispetto al primo lungometraggio di Gabriele Mainetti. Un film non perfetto, ma che si rivela un'opera inedita nel cinema italiano, per spettacolarità e posta in gioco.
Redazione
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