C’era chi si aspettava una possibile quanto fuori tempo rinascita del peplum e chi invece attendeva la risposta del cinema nostrano alla furia fantasy post-Game of Thrones, impressione questa per altro sottolineata da alcune scelte di marketing e promozione (trailer annessi) che strizzavano furbescamente l’occhio proprio alla saga televisiva tratta dai libri di George R.R. Martin. La scelta poi di un proto-latino antecedente a quello arcaico come lingua in cui far recitare l’italianissimo cast per raccontare la vicenda di Romolo e Remo riportava alla mente opere gibsoniane come La passione di Cristo (2004) e Apocalypto (2006) che proprio dell’oltranzismo idiomatico facevano il loro cavallo di battaglia. A dispetto di tutte queste suggerite influenze Il primo re si dimostra invece un’opera ricca di personalità, tanto fallibile quanto affascinante e pregna di un coraggio assai raro nelle logiche produttive del BelPaese: la notizia che SKY e Cattleya ne realizzeranno una stagione “sequel” per il piccolo schermo, contante dieci episodi, è l’ennesima dimostrazione di come le novità e il coraggio di tentare strade inedite possano dare i loro frutti anche in un mercato classicamente chiuso come quello tricolore.
Ma dove sono i suddetti meriti nelle due ore e rotti di visione di questa riproposizione aspra ed essenziale del rapporto tra Romolo e Remo che precedette la nascita della Città Eterna? Ad uno sguardo anestetizzato dagli effetti speciali dei moderni cinecomic o delle incursioni hollywoodiane a tema, inizialmente Il primo re potrà apparire come una rappresentazione troppo scarnificata nella sua secca e scattante messa in scena, ma già dal prologo in realtà si intravede quel senso di cercata grandezza che il regista Matteo Rovere intende trasporre nelle fasi cruciali della storia. L’autore romano (non a caso visto il tema trattato e sentito particolarmente al quale si approccia con notevole spirito d’iniziativa) sa gestire con la massima risolutezza i mezzi a propria disposizione e non si perde in inutili gratuitismi visivi atti solo a celebrare una vacua estetica di fondo. Questo però non deve far pensare all’assenza del puro spettacolo di genere, esplodente tramite un digitale utilizzato con parsimonia e intelligenza e di concreto accompagnamento alle vicende umane che hanno luogo nel corso sempre più tumultuoso degli eventi.
La storia ha inizio nel 793 a.C. nei pressi del fiume Tevere, dove i rinomati fratelli pastori vengono trascinati via dalla corrente di un’improvvisa esondazione. Sopravvissuti per miracolo alla furia dell’acqua in piena, i due vengono catturati dalla tribù degli albani e rinchiusi come schiavi da usare nei combattimenti sacrificali. Proprio durante una notte dedita a questi barbari rituali, Romolo e Remo riescono con l’inganno a sopraffare gli aguzzini e a liberare gli altri prigionieri, latini e sabini. Con loro decidono di sequestrare come ostaggio la vestale Satnei, portatrice del fuoco sacro che mai si spegne, e si dirigono nell’attigua foresta per nascondersi dagli imminenti rinforzi nemici. Romolo però è gravemente ferito e solo l’ostinazione del consanguineo, pronto a tutto (anche a duelli mortali) pur di salvarlo, riesce a impedirne la morte. Nel frattempo proprio Remo acquisisce un ruolo di leader di quell’inedito gruppo di fuggiaschi e, dopo aver sconfitto il temuto clan Testa di Lupo, si stabilisce nel villaggio dei perdenti iniziando una sorta di piccolo regno. Una profezia della sacerdotessa rimasta al loro fianco rischia però di incrinare il rapporto, che sembrava intaccabile, tra i due fratelli.
Il primo re non è un film perfetto ma ha dalla sua delle peculiarità che lo distinguono da molti titoli a tema: il fatto di guardare senza plagiare ai modelli citati ad inizio articolo, senza limitarsi ad una mera operazione di copia / incolla (che sarebbe stata persa in partenza) ma con la voglia di offrire un nuovo sguardo, rende l’insieme appassionante e avvincente al punto giusto. La crudezza dei dialoghi, merito anche del particolare linguaggio (arma a doppio taglio rivelatasi vincente grazie anche alla notevole duttilità dell’ottimo cast capitanato da Alessandro Borghi e Alessio Lapice) va di pari passo con la componente action, fatta di coreografie brutali e sanguigne il cui pathos viene ulteriormente amplificato dalla piacevolmente pomposa colonna sonora ad opera di Andrea Farri. La sceneggiatura, pur prendendosi certe libertà storiche (non a caso doverosamente criticate dai puristi), segue una precisa linea guida che si ammanta nella seconda metà di affascinanti echi shakespeariani, con un confronto fratricida tra Romolo e Remo quale perfetta chiusura di un cerchio ora destinato a nuove avventure.
Voto Autore: [usr 3,5]