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Transfert – La recensione

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Transfert è un film del 2018 diretto da Massimiliano Russo al suo esordio alla regia. È un film di genere thriller/drammatico, o forse meglio dire thriller psicologico.

È stato presentato in concorso alla 64° edizione del Taormina Film Festival, dove ha ottenuto il premio per il Migliore attore protagonista conferito ad Alberto Mica. In seguito, Transfert ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura al 21° Lenola International Film Festival. Il premio è stato conferito allo stesso regista che è anche sceneggiatore del film.

È attualmente disponibile in streaming su Amazon Prime Video.

Transfert – Il cast

Nel cast troviamo il già citato Alberto Mica nel ruolo di Stefano Belfiore, Massimiliano Russo (lo stesso regista) nel ruolo di Stefano Sofia, Clio Scira Saccà nel ruolo di Chiara. E ancora Paola Rocuzzo nel ruolo di Letizia (sorella di Chiara), Rosario Pizzuto nel ruolo di Giovanni, Enrico Sortino nel ruolo di Claudio e infine Rossella Cardaci nel ruolo di Alice.

Trama

Stefano Belfiore è uno psicoterapeuta empatico e molto giovane rispetto ai colleghi. L’uomo si trova fin da subito a fare i conti con pazienti con problematiche molto difficili, ma questo non sembra spaventarlo. Questo almeno fino a che, le persone che sono in terapia con lui, non iniziano ad interferire con la sua vita e con quella degli altri pazienti.

Transfert

Questa situazione spinge Stefano a chiedere supporto e aiuto al suo supervisore, Giovanni, uno psicoterapeuta più adulto che vede regolarmente. Ad un certo punto arrivano due sorelle che si recano nello studio convinte, ognuna per la sua parte, che sia l’altra ad aver bisogno della terapia. Da qui si innescano una serie di meccanismi tra i vari pazienti che portano lo psicoterapeuta a dubitare anche di se stesso fino a avere dei risvolti inaspettati.

Transfert – La recensione

Partiamo da quelli che possono essere considerati come aspetti positivi del film: sceneggiatura e musiche.

Per quanto riguarda le musiche, il film ci introduce fin da subito in un mondo in cui “c’è qualcosa che non quadra”. La colonna sonora, composta da Ray Hermanni Lewis, all’esordio come compositore cinematografico, risulta essere estremamente adatta e ricercata. Le musiche aiutano il pubblico ad immergersi nel mondo oscuro della psicoterapia da entrambi i lati: paziente e dottore.

Anche la sceneggiatura, che abbiamo classificato tra “i punti forti” del film, è originale e nuova, soprattutto per il panorama italiano. L’elemento che in particolare risulta essere singolare è legato al modo in cui viene impiegato il contesto terapeutico all’interno del film. Le sedute di psicoterapia vengono utilizzate per caratterizzare i personaggi e le loro vite, fino a farle mescolare con quelle dell’uomo che li segue in terapia, Stefano.

Cos’è andato storto?

Partendo da questi presupposti il film sembrerebbe essere un buon film, ma così non è. A rompere queste dinamiche e far scendere di livello la pellicola sono proprio le interpretazioni e la direzione attori. Considerando che viene utilizzata una cadenza insolita all’interno dei film italiani (siamo abituati a sentire la cadenza siciliana in stereotipi diversi da questo, non è così diffusa all’interno di pellicole di questo genere), già in partenza diventa straniante/diverso dal solito. Logicamente questo non è e non può essere considerato un aspetto negativo. Il coinvolgimento non dipende da questo ma dall’interpretazione, ed è proprio qui che cade tutto. Attori e recitazione, nel film in questione, risultano essere meccanici e macchinosi e lo spettatore fa fatica a provare emozioni.

Molto spesso i tempi dei dialoghi e di domanda-risposta sono lunghissimi, sembra quasi che l’attore aspetti la battuta dell’altro per rispondere. In molte situazione, inoltre, gli attori sembrano essere addirittura over acting. A causa di questo quindi, il film non riesce a trovare una sua dimensione e perde di credibilità scena per scena.

A tutto ciò si aggiunge anche il fatto che, ad un certo punto, è molto prevedibile come andrà a finire e nulla ci tiene in bilico nel pensare che ci possa essere una risoluzione diversa. Un minimo di empatia rispetto al protagonista arriva sul finale: non riguarda, però, l’interpretazione ma solo un sentimento di rabbia nei confronti di quello che gli è successo e potrebbe succedere ad ognuno di noi nella realtà.

Transfert

Il regista si dedica inoltre a numerose inquadrature con “cornici” di diverso tipo. A queste si aggiungono punti macchina nascosti che sembrano voler spiare le sedute e la vita di Stefano. Molto spesso questo però non ha un vero e proprio significato, almeno per quello che si può intuire, e risulta essere ripetitivo.

È opportuno dire però, dopo l’analisi, che il film è pur sempre un’opera prima e se considerata come tale non è per niente male. Resta comunque il fatto che se considerata come film a prescindere dall’esperienza del regista, il tutto non regge per niente.

Transfert – Significato del titolo

Il concetto di Transfert fu introdotto da Sigmund Freud nel 1985. Prendendo come riferimento la definizione dell’Enciclopedia Treccani, la definizione è la seguente:

“In psicanalisi, è il processo di trasposizione inconsapevole, durante l’analisi e sulla persona dell’analista, di sentimenti e di emozioni che il soggetto ha avvertito in passato nei riguardi di persone importanti della sua infanzia. Il Transfert può essere positivo, negativo o ambivalente”.

Stabilita quella che è la definizione del termine, è palese quale sia il suo collegamento con il film in questione.

Il trailer

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