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Run – la recensione del film di Aneesh Chaganty con Sarah Paulson

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Il carattere dell’indoamericano Aneesh Chaganty ci aveva già sorpreso con Searching, thriller poliziesco, suo precedente lungometraggio del 2018, totalmente girato in screencast, ossia registrando gli output di differenti mezzi elettronici, così da costruire una narrazione solo tramite la prospettiva di chi si trova realmente davanti o meglio dietro un computer; in Run, sua ultima creatura accolta con successo dal pubblico americano benché uscita solo su piattaforma (da noi fortunatamente ha conosciuto la sala estiva), si abbandona certo border line tecnologico per immergersi in un humus tradizionale, tragico ed inquietante.

Run è infatti un dramma familiare che apre all’horror, bascula tra psicologia ed azione, si nutre di un cast solido, a tratti stupefacente e di una tensione ostinata e meritoria nonostante lo sfruttamento e lo svolgimento fin troppo rapido di topoi classici.

Run
RUN — They say you can never escape a mother’s love… but for Chloe, that’s not a comfort — it’s a threat. There’s something unnatural, even sinister about the relationship between Chloe (newcomer Kiera Allen) and her mom, Diane (Sarah Paulson). Diane has raised her daughter in total isolation, controlling every move she’s made since birth, and there are secrets that Chloe’s only beginning to grasp. From the visionary writers, producers and director of the breakout film Searching, comes a suspense thriller that shows that when mom gets a little too close, you need to RUN. Chloe (Kiera Allen), shown. (Photo by: Allen Fraser/Hulu)

Rapporto intossicato tra madre e figlia, binomio che trascolora lividamente in lotta per la sopravvivenza, un’agonia distillata, fragorosa e rovinante proprio in un territorio in cui dovrebbe sprizzare amore, sicurezza e reciproca fiducia.

Chaganty con mano ferma ed una certa ambizione di genere, parte da una tradizionale casa isolata, apparentemente serena, da una figlia ammalata e da una madre iper-protettiva, e disegna un delirio a due senza esclusione di colpi, una palude insana, pericolosissima, dove il bisogno reciproco diventa arma a doppio taglio.

Run – Trama

Il binomio protagonista colma tutta la scena: da una parte Diane (Sarah Paulson), mamma premurosissima ed attenta, che dedica la propria vita alla speranza di veder guarita la figlia, dall’altra Chloe (Kiera Allen), brillante adolescente, appassionata di ingegneria, con il sogno di entrare all’università di Washington, costretta su una sedia a rotelle da una lunga convivenza con una serie di disturbi di diversa gravità, diabete, emocromatosi, aritmia, asma e paralisi, patologie elencate e definite ad inizio film come fossero capi d’accusa.

Contro ogni suo male si batte la madre, onnipresente, dolce, sicura, insegnante e mentore, guida quotidiana, tutela e confidente, colei che nutre fisicamente, spiritualmente ed, in questo caso, farmacologicamente, la propria bambina da quando è venuta al mondo.

Run

Questo patto profondo e viscerale di solidarietà, viene messo in crisi quando la giovane Chloe scopre delle nuove medicine acquistate da Diane a suo nome, ma destinate a lei: così si innesca una spirale frenetica di rivelazioni dolorose e totalmente spiazzanti che metteranno i due esseri, che per natura dovrebbero sempre darsi reciproca spalla nella vita, una contro l’altra, in una battaglia senza esclusioni di colpi, di cui fino all’ultimo frame non si conosce la parola fine.

Run – Recensione

Chaganty si cimenta in linea teorica con lo scontro tra consanguinei, fulcro epico di tanta mitologia, qui declinato e ridotto a guerra di funzioni, ad opposizione di necessità individuali, naturali ed innaturali, incompatibili insieme. Si corrode e si corrompe senza alcun sconto di pena il legame madre-figlia, lo si devia su rive di sconfinata opposizione, di perversa interdipendenza, soffocando l’osmosi virtuosa che gli sarebbe spontanea, a favore di una contaminazione in primo luogo fisica, poi, per deduzione indotta, anche psicologica.

Diana ha creato la prigione perfetta per la figlia, da cui la piccola non uscirà mai, non crescerà mai, non guarirà mai; non le permette un cellulare, né un telefono in stanza, le controlla internet, non le fa incontrare nessuno, le prepara cibo quasi tutto coltivato nel proprio orto con sospetto amore, la guarda ogni giorno ingoiare pillole, iniettarsi siringhe, scendere le scale con un montacarichi, trascinare le gambe morte su e giù dalla sedia a rotelle, inalare cortisone, privarsi dei dolci, trafficare con i suoi circuiti elettrici in camera e studiare con autodisciplina, sola e praticamente sempre sorridente, con occhi riconoscenti verso il suo angelo custode.

Ma la verità non ha niente di angelico, semmai scuce i confini dell’inferno di cui è complice; la verità agghiaccia, atterra e disturba, celando un’incolpevole, inconsapevole sindrome di Stoccolma, presto smascherata, smantellata e restituita con pervicace odio, uguale e contrario.

Run

In questo magma si muove Run, con intelligenza ed eccessiva sveltezza, sorvolando su parecchi moventi individuali pur interessanti, soprattutto quelli materni, i cui contorni si preferisce lasciare all’immaginario abituato dello spettatore, anche se avrebbero potuto fornire uno spessore congruo alle motivazioni dell’antagonista.

Dunque più che personaggi, i caratteri di Run sono anime, spiriti esemplificativi, modelli archetipici, la madre che auto fagocita e distrugge il proprio bene, la figlia che annienta la genitrice-catena; quella inscenata è una farsa mitica, con i crismi eleganti del thriller psicologico, che cede a lampi di horror popolari ed indovinabili, tra torture spaziali, lande autunnali, luci e temperature di una freddezza risalente, in cui lo sguardo esterno, misteriosamente attratto dal tipo di rapporto, si lascia calamitare senza dare spiegazioni.

In questo svolgimento accelerato, in cui la verosimiglianza è spesso sfidata, non c’è nulla di inessenziale, l’attenzione tende a non abbandonare il duo “familiare” in subbuglio, mentre la mano del regista punta dritta al capovolgimento definitivo di ogni certezza, rapporto o dato di fatto, minando via via l’immagine di madre rassicurante che in questa circostanza di partenza ci si aspetterebbe.

Si cita l’altezza del male infliggibile all’oggetto adorato (Misery non deve morire, da cui Run attinge vari particolari), si sfata la leggenda della cattività (come in Room, altro dramma familiare, dal carattere horror-psicologico del 2015), si ripercorrono geometrie fisiche ed ambientali che fanno da eco quasi hitchcockiana alla dimensione psicologica della vicenda.

Run

Run – Cast

A guidare le complesse interpretazioni una scelta vincente: Sarah Paulson, pluripremiata star di saghe criminali(American Gothic, American Horror Story, Ratched), incrollabile presenza magnetica, sottile, fredda e mai scomposta, affiancata dall’esordiente Kiera Allen, vitale ed instancabile forza motrice dell’azione, attrice con la sfortunata/fortunata caratteristica di essere divenuta disabile in tempi abbastanza recenti, dunque in grado di leggere e trasmettere autenticamente lo stato d’animo di Chloe.

Il loro agire è un dialogo continuo, la loro abitazione il ring della contesa, le rispettive offensive mosse di scacchi su un tavolo da gioco teatrale e letale.

Chaganty, dalla sua, ha la qualità di non rinunciare mai, di cimentarsi con il grande e l’estremo, di personalizzare e mantenere la rotta, pur con le correnti forti e la frequentissima navigazione della tratta da lui scelta.

Sullo sfondo di Run, anche privi di corpo completo, si percepiscono richiami al tempo che passa, inglorioso, ed ingeneroso, ai non resi della vita, al sacrificio della carne come mezzo per estirpare condanne inflitte non si sa bene da chi, alla sofferenza come filosofia d’ amore, alla condizione del cordone ombelicale impossibile da dimenticare e, soprattutto, da rinunciare.

Run – Trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Diane si prende cura della figlia Chloe, costretta su una sedia a rotelle e affetta da varie patologie. Ma cela un segreto. Chloe lo scopre: la fuga per la salvezza ha inizio. Dramma familiare e thriller psicologico sulla tossicità dell'amore materno, il mito ancestrale di una relazione tra le più misteriose, potenti e pericolose che esistano. Ottime interpreti, sviluppo anche troppo accelerato, diretto al punto, elidendo parzialmente la verosimiglianza, Run mantiene la promessa della tensione fino all'ultimo frame. Non brilla per originalità, ma possiede carattere.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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