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Room – una camera senza vista

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Una stanza senza finestre in una qualche realtà provinciale di una sconfinata America. Un letto, un armadio, un piccolo tavolo, due sedie. Room è tutta qui: è la cella in cui è rinchiusa Joy da sette anni, è il mondo in cui Jack è nato, il suo unico mondo. Una stanza dalla quale è impossibile uscire, una porta blindata di cui solo Old Nick (uno dei nomi del Diavolo) conosce il codice di accesso. Room: nove metri quadrati di inferno, in cui si sopravvive nutrendosi di rabbia e dissetandosi di immaginazione.

Il regista irlandese Lenny Abrahamson, dopo aver nascosto l’intrigante Michael Fassbender dietro ad una maschera di cartone in “Frank” (2014) ci riserva un altro scherzo. Questa volta trasformerà un escape thriller in un dramma psicologico capace di far luccicare anche gli occhi dello spettatore più imperturbabile. Perdoneremo a questa pellicola di averci tenuto emotivamente sotto scacco?

Room

Questo piccolo capolavoro, uscito nelle sale nel 2015, è costruito sulle interpretazioni personali dei due protagonisti: Brie Larson, premiata con l’Oscar, e Jacob Tremblay, straordinario e commuovente. “Room” è l’adattamento cinematografico del romanzo “Stanza, letto, armadio, specchio” di Emma Donoghue, anche sceneggiatrice della pellicola. Il romanzo è ispirato dal “caso Fritzl” avvenuto nella cittadina austriaca di Amstetten: una donna è stata imprigionata in un bunker sotterraneo dal padre per 24 anni. Dai numerosi abusi sessuali da parte dell’uomo nei confronti della ragazza sono nati sette figli.

Room
Brie Larson, premiata con il premio Oscar come miglior attrice protagonista, è Joy.

Una storia intensa, che a tratti sembra voler maneggiare i nostri sentimenti con una presa decisamente troppo stretta, ma che riesce ad imprimersi nei nostri ricordi cinefili grazie al carattere violentemente tenero di tutto il racconto. La macchina da presa fluida e suggestiva di Abrahamson, gli occhi colmi di meraviglia del piccolo protagonista, la tenacia nel volto della giovane madre: questa è l’anima incarcerata nelle quattro mura di Room.

Joy è stata raggirata e sottratta al mondo. Rapita all’età di diciassette anni, è rinchiusa in una stanza dove alimenta il suo rancore con ricordi e sconforto. Il Diavolo che l’ha condannata alla buia reclusione le fa visita di notte, abusa la sua mente e schiaccia il suo corpo contro il suo. Nessun rapporto è più distante dall’amore di quello fra Joy e il suo carnefice, eppure da questa sopraffazione nasce Jack. Un bambino dagli occhi sognanti e una forza così prodigiosa da far sperare in una rivoluzione.  Jack conosce solo Stanza. La chiama proprio così, come se quella loro cella avesse uno spirito meritevole di un nome. Il mondo continua a muoversi velocemente là fuori, mentre lì dentro Jack continua a crescere senza averne mai assaporato l’aria. Joy e Jack sono due alieni, estranei ad un mondo di cui conservano solo un ricordo o di cui non hanno mai avuto alcuna esperienza. Due extraterrestri che proveranno a riemergere dall’inferno e far ritorno nel pianeta a cui appartengono.

Room

La lotta di una madre per proteggere il figlio da una verità terrificante, quella stregata connessione che lega madre e figlio, quell’amorevole fiducia che il piccolo Jack nutre per Joy, capace di convincerlo a fingersi morto pur di uscire da quella cella per tentare di salvare entrambi. Abrahamson si sarebbe potuto fermare qui.

Se si esce da quella stanza l’incantesimo rischia di spezzarsi: una volta saziata la morbosa curiosità di scorgere la vita ingabbiata e annientata, potremmo ritrovarci a scrutare il mondo esterno senza interesse. Perché noi quel mondo lo conosciamo molto bene, lo abitiamo ogni giorno, ogni ora, indifferenti e disillusi.

Ma vi siete mai chiesti che sapore ha il mondo? Che colori vi abbaglierebbero e quali suoni vi travolgerebbero se il mondo fosse la meta sconosciuta di un viaggio? Room riesce nell’impossibile: far rifiorire la curiosità per tutto ciò che già conosciamo.

Room

Attraverso gli occhi innocenti di Jack gli angoli più bui di Stanza non fanno paura, perché per lui quella prigione è casa. Così anche il frastuono del mondo, al quale noi siamo abituati da sempre, ora sorprende e stravolge, perché fin a quel momento Jack non sapeva che odore pungente avesse la libertà. La macchina da presa invita l’occhio dello spettatore ad assumere lo spaesato punto di vista del giovane protagonista. Il pubblico indaga ogni dettaglio, assaggia ogni oggetto presente nell’inquadratura con un inedito desiderio di conoscere. Abrahamson costruisce un’atmosfera delicata e indefinita, regalando sostanza ad un miracolo, il miracolo della (ri)scoperta.

Jacob Tremblay interpreta Jack

Non si può far altro che ringraziare il giovane Jack per averci prestato i suoi occhi, per averci concesso di tornare ad osservare il mondo: “Ho visto tantissime persone con facce diverse, forme e odori diversi, che parlavano tutte insieme. Il mondo è come tutti i pianeti della tv, accesi contemporaneamente, quindi non so da che parte guardare e ascoltare. Ci sono porte e poi altre porte, e dietro tutte le porte c’è un altro dentro, e un altro fuori, e le cose succedono, succedono succedendo, non si fermano mai. E poi, il mondo cambia continuamente di luminosità e di calore, e ci sono dei germi invisibili che galleggiano dappertutto. Quando ero piccolo, conoscevo soltanto piccole cose, ma adesso ho cinque anni e conosco tutto quanto”.

Voto Autore: [usr 3,5]

Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.
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