Tutti parlano di Jamie è una teen comedy musicale, diretta da Jonathan Butterell, visibile su Prime Video, ripresa dall’omonimo musical di successo del 2017, a sua volta ispirato ad un documentario del 2011 sulla vera storia di Jamie Campbell, ragazzo sedicenne di contea, in quel della provincia inglese, con il sogno di diventare drag queen. In comune film e spettacolo hanno gli stessi sceneggiatori/drammaturghi, Tom MacRae (testo) e Dan Gillespie Sells (musiche).
Tutti parlano di Jamie – trama
Il protagonista (Max Harwood, prima volta sul grande schermo) è un ragazzo longilineo, magnetico e luminoso, alle soglie del diploma: da un parte il mondo adulto gli impone scelte di vita, dall’altra scalpita la sua volontà di vivere la propria identità in modo stupefacente, aperto, gioioso, senza più alcuna paura.
Al suo fianco la madre Margaret (Sarah Lancshire) e l’amica musulmana, futura medico, Pritti (Lauren Patel); contro di lui il padre che ha lasciato la famiglia formandosene un’altra, proprio a causa dell’omosessualità del figlio, espressamente rifiutata, i bulli della scuola, sintomo della miopia di un piccolo centro, capitanati da Dean (Samuel Bottomley), ragazzetto capace di sfogarsi sui più deboli e sui diversi per fuggire allo sconforto di appartenervi o di fallire come il proprio stesso padre e Miss Hedge, un’insegnante che preferisce la disillusione costruttiva a alle possibilità inaspettate ed inaspettabili. Ma Jamie è l’inaspettato: dentro di sé possiede e coltiva stile, voce e presenza da star, capace di stregare ogni tipo di pubblico, indipendentemente dal sesso di appartenenza; deve solo dare un nome al suo personaggio ed uscire dall’ombra.
Ad istradarlo in questo percorso, dandogli sani e flokloristici spintoni Hugo (Richard E. Grant), alias Loco Chanelle, proprietario di un negozio di abiti da drag, a sua volta regina di notti e serate da diva, nei sensazionali, irresponsabili e malati anni ottanta, in cui ha sepolto pezzi di cuore. Costui diventa il mentore di Jamie ed il ragazzo, tra confusioni, incertezze, muri in faccia, caparbietà e colpi di testa, ottiene il suo goal: partecipare al ballo di fine anno, in cui si chiude un’importante epoca umana per gli adolescenti, con la sua vera identità, non da vamp, non da ragazzo, “simply as Jamie”.
Tutti parlano di Jamie – Recensione
Candidato ai Bafta 2022 come miglior film britannico, Tutti parlano di Jamie è un’opera sufficientemente fresca e cadenzata, in confezione precisa e dettagliata, che unisce, per esplicita ammissione ad inizio film, la storia vera a musiche e balletti, concludendo con titoli di coda in cui appaiono le foto del vero Jamie, con il suo vestito rosso e la madre commossa al seguito. Quasi vent’anni di lotta e fantasia per uscire allo scoperto con la propria indole e fare di se stessi il capolavoro che si sognava.
Prodotto di quest’epoca gender fluid, attentissima all’identità sessuale e non solo all’identità di genere, Tutti parlano di Jamie, parla della modernità di uno stare al mondo su cui si discute, si dà battaglia e si fà scandalo da anni ormai, ma le cui implicazioni e debolezze sembrano rimanere sempre le stesse.
Qui non c’è un adolescente insicuro, che non sa se fare coming out oppure no: il turbolento rapporto con se stesso è già pacificato alla terza battuta del film, perché Jamie dice apertamente di essere gay; il suo problema è tradurre questo all’interno della società che ti ha prodotto e che ti chiede di diventare prodotto, di guadagnare e far guadagnare, di essere altro da te, sopprimendo aspirazioni e presagi, anche quando rientri nei canoni di una supposta “normo-identità”.
Così si scoperchiano gli sberleffi dei coetanei tanto velenosi quanto volubili alla prima alzata di capo vittoriosa della vittima, che osa rispondere per le rime, ignorare chi vorrebbe produrre tragico rumore, diventare ciò che altri si limitano ad ammirare, ad applaudire, finanche ad insultare, perché grandi si è da soli, non in branco.
Tutti parlano di Jamie sorvola leggero il dolore e le ferite di cui spesso storie simili alla sua fanno congenito sfoggio e si porta dietro il fascino della rivincita, della fenice mutaforma che vuole essere emblema e migliore versione di sé, riscatto implicito rispetto a se stesso, al rapporto troncato con il padre, all’affetto condiviso con la madre, ai confini di una cittadina stretta, indifferente o ostile, divenuta attraverso i suoi occhi e la sua esperienza calda ed entusiasta. Jamie, tra favola e performance, è testimone di un fenomeno che ancora è lotta per accettazione, ma è anche qualcosa di diverso, di più maturo, più calmo, come dimostra il suo finale, un’happy – assoluzione da una parte fiabesca, dall’altra, fortunatamente, molto poco sensazional-spettacolare.
Tutti parlano di Jamie è esattamente il titolo di una delle canzoni presenti nel film, musicate con cura vincente ed attenzione all’orecchiabilità non indifferente, in cui molto è incentrato sulla meta da realizzare, sulla necessità di scansare paure, di smettere di dipingersi a parole ed iniziare a farlo con i fatti, comprovando l’antico adagio per cui, rivoluzionando se stessi, si rivoluziona il mondo intero.
Pregiato nella messa in scena, studiato nei balletti, Tutti parlano di Jamie commenta con le melodie ed i testi delle canzoni i “come sto” dei vari personaggi a seconda delle diverse fasi che attraversano: l’esaltazione, la sconfitta, il ricordo, la promessa e lo scioglimento finale.
Tutti parlano di Jamie – Cast
La potenza del cast è sicuramente uno degli aspetti migliori: l’esordiente Harwood incarna fisicamente e psicologicamente la contemporaneità del suo genere senza strafare, con un’ironia che permette al sogno di non piegarsi al dramma del rifiuto, di non spegnere la propria luce, trascinando nella positività chi gli è vicino. Totalmente credibile la Lancashire, solida ed emozionante, nell’ equilibrio segreto e faticoso di madre sola, orgogliosa, che mai ha chiesto al figlio di fare un passo indietro.
Ottimo nella sua chiusura il padre di Ineson, uomo di altra pasta, forse vecchia, sicuramente miope, dannato ad una segreta sconfitta proprio per quel non riconoscere la formidabilità extra-ordinaria del figlio. Maestro della scena, esplosione di colori, pose, gesti e lacrime malinconiche, Grant, inaspettata drag-queen, ex-regina dei riflettori e delle scene, bellissimo fantasma nelle sue amarcord vhs a ricordarci chi sono stati i pionieri della causa, sconfitti prima dall’aids che dalla morale, con il cuore spezzato e la speranza di vedere in un sedicenne un nuovo e più fortunato se stesso, devoto al successo, non più al martirio.
Al suono di “niente è impossibile per una drag” Jamie cammina sulle sue decolletè rosso brillante con plateaux e tacco a spillo come se fosse nulla, in equilibrio impossibile sul muretto di casa, nei corridoio del supermarket o di scuola, nel cuore delle sue decisioni, aggrappato ad una fotografia che possa dare forma alla sua anima inquieta, fino a prenderne quanto basta per fare un passo verso la maturità.
Tutti parlano di Jamie non possiede una qualità copernicana, il dramma musicale di formazione non è riscritto da questo film, semmai è tradizionalmente rappresentato, entrando agilmente nelle simpatie della platea teen, con una dose di compostezza ed ironia british interiore che male non fa rispetto allo sbraccio comune subito spesso e volentieri dalle stesse identiche tematiche.