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Yesterday

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“Tu chiedi chi erano i Beatles?” cantavano nel lontano 1984 gli Stadio in una delle loro canzoni più conosciute. Sembrava, allora come oggi, impossibile immaginare che i giovani potessero non conoscere quello che i Fab Four hanno rappresentato, prima che cantato. Ma il compito del cinema non è sempre rappresentare la realtà fattuale, ma anche quello di immaginare mondi paralleli e possibilità alternative a quelle con cui abbiamo a che fare ogni giorno. E’ così che dalla mente di Richard Curtis, a.k.a. il creatore di un certo Mr. Bean e dalla macchina da presa di Danny Boyle, è nato Yesterday. Proprio così, perché questo è uno di quei film dove conta di più lo sviluppo del soggetto, già particolarmente originale, che il puro e semplice lavoro del regista, per quanto la mano di un Premio Oscar come Boyle si senta eccome.

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Tuttavia non si può definire Yesterday come un semplice esercizio di prodotto “What If?”, come si potrebbe pensare leggendo la sinossi. Curtis ricama una storia molto più strutturata, decorandola con un’interessante sottotrama amorosa (di cui è un vero specialista) e arricchendo il tutto con una punta, sottile ma assolutamente percepibile, di malinconia e persino di critica nei confronti del mondo di squali che è oggi lo show business musicale. Se non fosse che quest’ultimo aspetto prevale fino a rendere il finale un’irritante trionfo del moralismo, la commedia sarebbe forse una gemma perfetta.

Il protagonista di Yesterday è Jack Malik, squattrinato musicista di origine indiana che trova solamente l’appoggio della sua “manager”, l’amica di vecchia data Ellie. Proprio quando Jack si decide a mollare tutto e a rassegnarsi a una vita normale, un blackout mondiale di dodici secondi fa sì che un autobus lo investa. Dopo essersi riabilitato Jack si rende conto che nessuno conosce più le canzoni dei Magnifici Quattro di Liverpool. All’incredulità iniziale subentra la prepotente ricomparsa delle ambizioni musicali e Jack decide di spacciare per sue le hit dei Beatles, indimenticabili ma solo per lui ormai. Diventa così in poco tempo il più grande musicista del mondo, ma la fama non sempre va di pari passo con la felicità e la soddisfazione dei propri affetti. E di questa cosa Jack se ne renderà conto ben presto.

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Detto della sceneggiatura, affidata forse al miglior scrittore di commedie (persino musicali come I love Radio Rock) del Regno Unito, un po’ meno scontata era la scelta del regista. Ma Boyle, da sempre interessato a storie che travalichino i confini dello schermo cinematografico, non ha voluto lasciarsi sfuggire la possibilità di dirigere un film come questo. D’altra parte, se i toni della commedia un po’ naïf sembrano non corrispondere alla poetica che abitualmente il maestro di Manchester porta in sala, il personaggio di Jack è sviluppato in maniera molto “boyleiana”. I suoi protagonisti, infatti, sono quasi sempre personaggi che potrebbero vivere delle esistenze piene, se non persino di successo, ma che, per un motivo o per l’altro, si ritrovano sempre ad essere fuori luogo nel contesto in cui si sono ritrovati o (peggio) che si sono guadagnati. Era così il suo Jamal Malik (stesso cognome di Jack) in The Millionaire, all’apice della notorietà per le sue risposte brillanti eppure accusato di barare per un pregiudizio, date le sue umili origini. Era così il suo Steve Jobs, unico personaggio realmente esistito che ha portato al cinema, diviso tra la nomea di genio rivoluzionario e la fin troppo reale condizione di uomo oscuro e infelice, che cerca una redenzione prima di tutto con sé stesso. Era così anche il Mark Renton di Trainspotting, giovane potenzialmente con tutta la vita davanti ma alle prese con l’eroina, dal cui uso cerca di uscire a più riprese nel corso della pellicola.

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Jack Malik non è troppo diverso da questi grandi personaggi. All’inizio sogna di diventare musicista, senza però mai riuscirci. Quando il caso gli tende la mano, lui coglie al volo l’opportunità e realizza il suo sogno. Ma non può dirsi del tutto soddisfatto dato che il merito della tanto agognata posizione non è davvero suo e, come in molti film di Boyle, la soluzione al suo travaglio viene dal passato, dalla sua vecchia condizione. La salvezza della propria integrità sta nel saper fare un passo indietro, con tutto ciò che quest’azione comporta.

Ancora una volta a salvare il protagonista è una figura femminile, come già accadeva in The Millionaire e, anche se bambina, in Steve Jobs. Solo che Latika nel film del 2008 in qualche modo dava la risposta da un milione di rupie a Jamal, permettendogli al contempo di poter finalmente vivere con lei, mentre la Ellie di Yesterday, interpretata da un’ottima Lily James, è lei stessa la risposta ai dilemmi di Jack. Da sempre innamorata del suo amico, non viene mai corrisposta. O meglio, Jack si rende conto di ricambiare il sentimento quando ormai gli impegni come star mondiale non gli permettono di soddisfare appieno il rapporto con lei. E’ proprio in questo senso che l’ultimo atto del film si fa insufficiente e, per così dire, quasi rovina un altrimenti buonissimo lavoro. Sembra un finale da teenage movie, che stona non poco con il registro generale della pellicola e che fa pensare a una svista clamorosa del duo Curtis-Boyle. Sicuramente due menti così raffinate potevano tirare fuori dal cilindro un finale più adeguato.

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Non sono invece niente male alcune scelte narrative. In primis l’idea di far vedere allo spettatore un John Lennon settantottenne (Robert Carlyle), semplice uomo di mare che Jack va a trovare e che si rivela un perfetto maestro di vita per il protagonista. O ancora l’introduzione degli ultimi due fan dei Beatles oltre al musicista, che girano con un sottomarino giallo in mano e che da minaccia si trasformano in fondamentali sostenitori di Jack. Anche la presenza abbastanza costante di Ed Sheeran come amico e mentore del protagonista contribuisce ad accrescere l’humour di questa commedia.

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E’ eccezionale, poi, la capacità del regista di far notare il proprio tocco anche in un film di per sé fuori dal suo range di competenza tradizionale. Lo si vede, ad esempio, nella scena del blackout, che ricorda le atmosfere iniziali di 127 Ore, dove il montaggio si fa frenetico per far comprendere la risonanza di tale episodio nello sviluppo della trama e, più in generale, in una società come la nostra. Anche la scelta di far vedere a tutto schermo le continue ricerche su Google di Jack, data la sua incredulità nel constatare che certe cose non esistano più, fa veramente effetto e rende al meglio il messaggio. Dopo i fatidici dodici secondi di blackout scompaiono dal mondo non solo i Beatles, ma anche la Coca-Cola, Harry Potter e (logicamente, come sostiene ironicamente Jack) gli Oasis.

La colonna sonora di “Yesterday”, ovviamente, vale da sola il prezzo del biglietto. I pezzi dei Baronetti sono stati tutti riarrangiati e il protagonista Himesh Patel ha saputo reinterpretarli in un modo davvero molto fresco. Il dato che emerge è che la musica di allora non invecchia mai e riesce ancora oggi, a distanza di sessant’anni e più, a fare colpo sull’ascoltatore come pochissime altre. I soldi spesi per acquisire i diritti delle canzoni di Paul McCartney & Co. (circa dieci milioni di sterline) sono stati assolutamente ben spesi.

Ma ciò che colpisce di più dell’aspetto musicale di Yesterday è soprattutto la risonanza e l’influenza che le canzoni dei Beatles hanno avuto non solo sui fan dell’epoca, ma sulla società tutta. In un certo senso “Yesterday”, “Strawberry Fields forever”, “Hey Jude”, “Penny Lane”, “I wanna hold your hand” e tutti gli altri successi dei Fab Four, hanno contribuito (non da soli, per carità) davvero a cambiare il mondo, a renderlo quantomeno un tantino migliore per milioni di persone. La dimostrazione di ciò nel film la danno i due ultimi fan della band, che non accusano Jack per aver fatto sue canzoni di altri, ma che lo incoraggiano a continuare la sua professione, quasi fosse diventata una missione non procrastinabile. L’umanità deve conoscerli perché un mondo senza i Beatles, senza quella musica e lo spirito che rappresenta, sarebbe davvero il mondo peggiore possibile. Finalmente quindi gli Stadio hanno ottenuto una risposta alla loro domanda. I Beatles sono tutto questo. E molto di più.

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