Dopo più di un decennio di consolidata carriera attoriale soprattutto rivolta al panorama cinematografico britannico, e a seguito di un exploit in sede di sceneggiatura risalente al 2004 (per la realizzazione di Dead Man’s Shoes – Cinque giorni di vendetta, diretto da Shane Meadows), nel 2011 l’ormai noto interprete Paddy Considine si colloca per la prima volta dietro la macchina da presa, in cabina di regia. Dal suo proficuo sforzo nasce così Tirannosauro (Tyrannosaur, in lingua originale), una piccola perla di linguaggio drammatico della durata di 91 minuti. Prodotto da Warp Films in collaborazione con Inflammable Films e presentato in anteprima lo stesso anno al Sundance Film Festival, il film dal marcato stampo British ha per protagonista un trio di volti dal sensazionale stampo UK: Peter Mullan e Olivia Colman, affiancati da Eddie Marsan.
La trama del film
In un sobborgo popolare inglese, il disoccupato Joseph (Peter Mullan) trascorre le sue giornate in balia di potenti attacchi d’ira. Le sue difficoltà nella gestione della rabbia, infatti, unite alla scarsamente latente tendenza all’alcolismo, lo portano ad eccessi di furia in occasione dei quali compie gesti sconsiderati. Il suo comportamento nel tempo lo ha portato così a logorare il legame con la moglie – ormai però defunta -, ad avere pessimi rapporti con il vicinato e a poter vantare una limitatissima cerchia di amicizie. Intimamente esasperato dalla sua stessa condizione, l’uomo cerca di frenare i suoi istinti ma nel farlo incontra molteplici difficoltà. Un giorno, nel tentare di trattenere un’ultima ennesima ondata di collera, Joseph trova rifugio nel negozio gestito dalla cordiale Hannah (Olivia Colman). La donna, estremamente caritatevole e fortemente religiosa, offre lui conforto e lo incita a sfogarsi con lei.
La confessione del suo malessere è per Joseph ancora un gradino troppo lontano da raggiungere, ma nell’attesa si avvicina sempre più ad Hannah. L’avvicinamento non manca però di scossoni e turbolenze, e in alcuni episodi rabbiosi l’uomo mette in luce con vena di critica il quotidiano di lei, fra l’inclinazione religiosa e lo stile di vita borghese a fianco dell’apparentemente amorevole consorte James (Eddie Marsan). Quello che però l’uomo non sa, è che la stessa Hannah dietro ad una facciata di dimessa rispettabilità cela un’intimità di potente sofferenza. Nell’avvicinarsi dei due personaggi, curiosamente e con una dinamica inversamente proporzionale, al farraginoso acquietarsi delle pulsioni di Joseph corrisponderà un’emersione del turbamento di Hannah, che con il passare dei giorni rischia di esplodere raggiungendo un punto di non ritorno.
Tirannosauro – La resa coerente e immersiva di un buio esistenziale
Nel suo collocarsi più in ombra rispetto ad un panorama cinematografico tendenzialmente glamour e brillante come quello attuale, Tirannosauro non manca di rivelarsi a conti fatti (e in ciascuna delle sue porzioni) un manufatto accurato e ammirevole, vero e proprio gioiello di drammaturgia audiovisiva. La crudezza e l’onestà che lo compongono, e che segnano l’interezza del suo minutaggio, riescono nell’operazione quasi paradossale di farlo sprofondare nei meandri più dubbi e tormentati della psiche umana elevando così esponenzialmente il prodotto filmico, e rendendolo dunque un oggetto puro nella sua totalità, insieme concettuale e concretissimo. L’atmosfera urla, grida malessere, e in questo senso la primissima scena del film, tanto inaspettatamente cruda quanto traumatica, imposta subito in modo ferreo il tono dell’intero lungometraggio, concedendo solo spazio a rare parentesi di ritrovata speranza che si troveranno comunque in breve disattese.
La scrittura dell’atmosfera è dunque coerente, compatta e personalissima; la buia crudezza che segna Tirannosauro viene esplorata in tutti i sensi, e in ognuno dei suoi illusori sali-scendi che conferiscono intelligente fluidità al ritmo filmico. Ma, nella pellicola, anche i dialoghi sono sintomatici di una sapiente scrittura: l’apparato dialogico infatti alterna sagaci back-and-forth di battute taglienti che trasudano incomunicabilità a scambi sorprendentemente profondi nonostante la brevità, che in tempistiche spaventosamente ridotte riescono magistralmente ad offrire uno sguardo consapevole e immersivo nei meandri delle sofferenti entità rappresentate.
L’esordio alla regia di Paddy Considine
Per Paddy Considine, globalmente noto nelle vesti di interprete, la regia di Tirannosauro è un esordio piacevolmente inatteso in ambito di lungometraggio – nel 2007, infatti, lo stesso aveva diretto un cortometraggio dal titolo Dog Altogether, sua effettiva prima prova in cabina di regia ma che già contiene il seme della trama del film e con esso condivide i volti dei protagonisti. Il compito, inedito per Considine, può dirsi a conti fatti svolto con maestria e attenzione. Nel film, il lavoro della macchina da presa è attento, costante e valorizzante. Forse in ragione della sua stessa carriera attoriale (come in effetti accade nel caso di molti performer prestati alla regia), la tecnica nel suo caso si focalizza in effetti sui suoi interpreti, cucendosi addosso a loro e dando il meglio di sé nel modo in cui rende le loro atmosfere emotive sul grande schermo.
La regia si concentra molto infatti sugli interpreti, magistrali, insistendo su primi piani (o qualsivoglia piano ravvicinato, decisamente prevalente rispetto alle totalità di campo) che tallonano il suo protagonista permettendo allo spettatore di registrare in modo visivamente concreto e quindi di esaminare istante dopo istante ogni evoluzione nel montare della cieca rabbia di Joseph, di analizzare il nervosismo privo di ragione che cellula dopo cellula lo pervade fino ad inondarlo completamente. In questo senso, lodevole anche – se non ancor di più, trattandosi di un esordio alla regia – l’attenzione nell’inserimento di dettagli (come il soffermarsi sui pugni stretti del protagonista) che rendono in modo intuitivo, rapido e mai didascalico la tensione del suo essere fisico come riflesso della sua tensione esistenziale.
Tirannosauro – Interpreti magistrali a servizio di un intreccio drammaturgico sapientemente orchestrato
Ovvia ma non superflua è la nota di merito opportuna relativamente al compartimento attoriale di un film come Tirannosauro. Con la pellicola di Considine, Peter Mullan celebra virtualmente un ventennio di carriera restituendo sullo schermo i tratti distintivi delle sue performance: così, nel suo personalissimo Joseph, la collera più irrazionale si unisce a parentesi di inaspettata tenerezza – sempre atipica e in linea con il personaggio, s’intende – in un agire che è sì sconsiderato ma anche sintomo di rivalsa sociale. Olivia Colman, oggi vera e propria diva di fama mondiale ma allora solo al suo sesto incarico, porta sul volto con sbalorditiva efficacia i segni (letteralmente) di un personaggio vulnerabile, stratificato, caritatevole e sofferente, tanto ferito e deciso quanto complesso. Eddie Marsan, che nel 2011 sfiorava il suo quarantesimo ruolo, si cimenta invece in una sorprendente interpretazione against the type che mette in luce aspetti inediti della sua propensione attoriale.
In definitiva però, la grande dote di Tirannosauro risiede nel suo essere un film “di pancia”, deciso, viscerale – dietro cui comunque si cela, come evidenziato nei paragrafi di cui sopra, un comparto tecnico pressoché ineccepibile. La crudezza insita nella sua vicenda certo non lo rende un prodotto facilmente dirigibile (e, in questo senso, saggia la scelta del minutaggio limitato). Ma, volendo ridurlo ai minimi termini, il lungometraggio altro non è che la storia di due dolori simili che si riconoscono, sebbene non con poche difficoltà, poiché l’abitudine al malessere li ha resi coriacei a discapito della sensibilità e dell’empatia. Dunque, a conti fatti, ciò che lo differenzia da svariati altri prodotti è proprio il suo stampo impietosamente onesto, squisitamente puro nella sua durezza e dunque universale.