Raghu, un cucciolo di elefante trionfa ai Premi Oscar 2023
Ogni anno, da tanto tempo (forse da sempre in realtà), alcune categorie alla cerimonia di premiazione dei Premi Oscar vengono snobbate o trattate con sufficienza. Ci sono o non ci sono, cambia poco a chi sta aspettando i premi al Miglior Film o quelli attoriali. Perché questo? Forse i cortometraggi non hanno pari dignità dei lungometraggi? Ci starebbe indagare a fondo su questa questione. Eppure, tra quelle che lo star system ritiene pecore nere dell’industria cinematografica, si celano dei bellissimi lavori, documentari o animati. Raghu il piccolo elefante (in originale The Elephant Whisperers) è il corto documentario che ha vinto la statuetta di categoria ai Premi Oscar 2023. Di provenienza indiana, è il secondo premio che il paese asiatico ha portato a casa quest’anno, dopo la vittoria della canzone Naatu Naatu dal film RRR. Disponibile su Netflix, Raghu è diretto da Kartiki Gonsalves. La sfida della maggior parte dei cortometraggi è riuscire a condensare in un tempo breve tante tematiche e questo corto indiano ci riesce in poco più di 40 minuti. Si parla del rapporto uomo-natura, delle conseguenze climatiche e l’impatto che hanno sull’ambiente, ma anche di tradizioni trasmesse di generazione in generazione e di sacralità. Sembra un po’ di vedere una realtà fuori dal tempo e dallo spazio. E’ un mondo che vive e cresce nel cuore della foresta, considerata dai suoi abitanti come un essere vivente a tutti gli effetti.
Raghu, la trama
Raghu è il nome di un piccolo esemplare di elefante asiatico che una coppia di custodi, Bomman e Bellie, allevano come se fosse un loro figlio. L’uomo e la donna fanno parte della tribù Kuttanayakar, difensori e devoti della foresta (per capirci, sono come le nostre guardie forestali). Il loro lavoro è prendersi cura dei cuccioli di elefante nell’India meridionale, rimasti orfani o lasciati indietro dal branco per via della migrazione da un luogo ostile verso uno con migliori condizioni di vita. Raghu cresce con Bomman e Bellie come se fosse un bambino. Viene nutrito, lavato, gioca da solo e con i suoi simili. La coppia racconta cosa significa essere custodi degli elefanti che, ricordiamo, in India è considerato un animale sacro legato al culto del dio Ganesh, rappresentato metà uomo e metà elefante.
Una storia vera d’amore e devozione
Oggi Raghu ha sette anni, come sottolinea il finale del cortometraggio. Un miracolo che sia sopravvissuto, poiché ne ha passate tante e quando Bomman e Bellie lo hanno trovato era in condizioni critiche. La coppia decide di prendersene cura e allevarlo come un figlio. Per Bomman significa continuare una tradizione iniziata da suo nonno e proseguita da suo padre, mentre per Bellie è il primo incarico ufficiale. Ciò che colpisce è l’amore e la devozione nei confronti della natura, il rispetto che questa coppia ha per qualsiasi essere vivente, sia esso appartenente alla fauna o alla flora. Non possiamo che guardarli con ammirazione ed essere riconoscenti che, da qualche parte nel mondo, ci siano persone come loro che salvaguardano con fatica un’ecosistema in pericolo. Raghu è l’esempio, così come i suoi simili, di un mondo minacciato costantemente dai cambiamenti climatici e che rischia di scomparire. Siccità, incendi, disboscamento sono tutte tragedie a cui l’uomo dà, purtroppo, un enorme contributo. Le persone come Bomman e Bellie fanno da contraltare a questa triste realtà. Chiunque si approcci a questo corto dovrebbe sentirsi orgoglioso della loro esistenza. Il piccolo elefante ha cibo in abbondanza, acqua per bere e lavarsi, e gioca e interagisce come se fosse un bambino alla scoperta delle meraviglie del mondo.
La ricerca del dettaglio e la conservazione
La regista Kartiki Gonsalves compie una ricerca del dettaglio incredibile. Infatti, sono i particolari a fare la differenza in un documentario e la volontà di conservare nel tempo ciò che si sta filmando. Gonsalves cattura gli sguardi riconoscenti degli animali, soprattutto di Raghu e la sua “sorellina” Ammu (giunta poco dopo di lui nell’allevamento), con la stessa attenzione per quelli degli uomini. Non c’è differenza infatti, perché l’animale è riconoscente all’uomo e viceversa. Bomman è anche un sacerdote e nel consacrare Raghu al dio Ganesh, mostra anche la sacralità di un’antica tradizione da preservare. Bellie invece, riversa in Raghu e Ammu l’istinto materno rimasto insoluto, poiché sua figlia è morta da poco. Il loro è un rapporto di scambio con la natura e non prendono e pretendono niente di più del necessario. L’uomo e la donna inoltre, trovano l’amore l’uno nell’altro, rendendo ancora più speciale e simbiontico il loro legame e quello con gli elefanti. Quando Raghu viene allontanato per farlo crescere in una riserva (perché Bomman in passato ha avuto un incidente con un esemplare adulto), il distacco è doloroso, quasi insopportabile. Anche in questo caso, alla regista preme filmare e catturare l’affetto verso l’animale e l’intelligenza di Raghu nel vedersi separato da quella che era a tutti gli effetti diventata la sua famiglia adottiva.
Che insegnamento trarre da questo corto?
Raghu il piccolo elefante potrebbe essere soggetto ad una lettura fuorviante. Lo scopo non è quello di mettere in testa l’idea che si possano addomesticare gli animali selvatici a proprio piacimento e renderli “giocattoli” dell’uomo. Bomman e Bellie, in un certo senso, sono esempi da seguire. Mettono loro in quanto uomini al pari degli animali, considerandoli esseri intelligenti ed emotivi come loro. A prescindere dal rapporto con i due elefantini, è proprio il loro atteggiamento verso la natura che dovremmo fare nostro. Tanta tenerezza, ma anche maturità degli argomenti, fa di questo corto una piccola perla assolutamente da vedere.