È il 2006 e alla 63esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia viene presentato un ambizioso film d’animazione intitolato Paprika – Sognando un sogno diretto da Satoshi Kon, già autore di Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers e della serie Paranoia Agent. Il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui, che appare anche in un cameo proprio assieme a Kon.
Paprika, la trama
In un futuro molto vicino a noi, un brillante scienziato sovrappeso e un po’ bamboccione di nome Tokita (Tōru Furuya) ha inventato il DC mini, una tecnologia capace di permettere all’utente di entrare nei sogni di qualcun altro. Tale strumento è stato pensato dal suo creatore per permettere agli psicoanalisti di aiutare chi soffre di problemi legati all’Io, esplorando i sogni del paziente e cercando una soluzione. La bella dottoressa Chiba Atsuko (Megumi Hayashibara), nonostante il DC mini non sia ancora completo al 100%, sfrutta questa tecnologia per aiutare illegalmente i suoi pazienti. Tra questi c’è anche il detective Konawaka (Akio Ōtsuka) afflitto da un disturbo legato a un sogno ricorrente. Chiba, quando si cala nel subconscio dei suoi assistiti, lo fa tramite il suo alter-ego Paprika, una ragazzina affascinante e misteriosa dai capelli castani.
Chiba, Tokita e il direttore della loro sezione di ricerca, il dottor Shima (Katsunosuke Hori), devono far fronte al furto di alcuni DC mini, da parte di un terrorista. Tali dispositivi potrebbero rivelarsi molto pericolosi se utilizzati con un fine malvagio. Quindi vengono incaricati dal Presidente della compagnia di ritrovare la tecnologia trafugata in quanto potrebbe mettere a repentaglio la vita di molte persone.
Una piega sorprendente
Da qua in avanti succede di tutto: il sospettato principale è l’assistente di Tokita, Himuro e per questo è la prima persona che il team va a cercare. Chiba, essendo la persona maggiormente esposta al mondo dei sogni, inizia a subire la manipolazione del terrorista che la porta quasi alla morte. A questo punto sogni e realtà iniziano a mischiarsi portando a un mondo ibrido in cui anche la stessa Paprika può coesistere con Chiba. Infine scoprono che a tirare le fila degli strani eventi che si stanno verificando è proprio il Presidente della compagnia. Allora Chiba e il suo team, aiutati anche dal detective Konawaka riescono a salvare l’umanità in una delirante quanto splendida sequenza finale.
Questa è soltanto una sintesi di quello che racconta Paprika in circa 90 minuti, in quanto sarebbe riduttivo provare a raccontare una trama così profonda e articolata, ma allo stesso tempo estremamente semplice per lo spettatore.
Paprika, tra sogni e tecnologia
Paprika, tratta una tematica cara all’uomo da secoli: i sogni. E decide di farlo in una maniera inedita, che prova a cimentarsi nella difficilissima impresa di rappresentare il subconscio umano, riuscendo però fin da subito nel tentativo. L’incredibile sequenza iniziale in cui Konawaka si muove tra il pubblico di uno spettacolo circense, gli alberi di una giungla, il vagone di un treno in corsa, il palco di una festa di paese e la moquette di un hotel di lusso è paradigmatica di quello che secondo Satoshi Kon è il subconscio umano. E risulta tutto perfettamente credibile.
Ma Paprika accetta anche di parlare per simboli e citazioni, offrendo allo spettatore tutti gli elementi necessari alla comprensione della storia, ma stimolandolo anche alla ricerca di tutti quei particolari che permettono di approfondirla. Ad esempio viene mostrato più volte il numero 17 che serve a spaventare e inquietare Konawaka che ne è ossessionato. Oppure sono spesso presenti bambole matrioska che rimandano alla complessa stratificazione dei sogni.
Paprika è quindi un viaggio nei sogni, e di conseguenza nel subconscio umano, ma è anche una riflessione del rapporto tra uomo e tecnologia, domandandoci quanto sia legittimo sfruttarla per entrare nella mente delle persone. Il film non dà una risposta precisa, ma lascia un certo spazio all’interpretazione che lo spettatore può dare a tale domanda.
Paprika, una marea di citazioni
Se in parte si possono trovare delle analogie superficiali con Apri gli occhi (1997) di Alejandro Amenábar, almeno per quanto riguarda la tematica onirica, il film che più di tutti si avvicina all’opera di Kon sarebbe arrivato diversi anni dopo, più precisamente nel 2010: si tratta di quell’Inception di Christopher Nolan, ancora oggi annoverato tra i suoi lavori più riusciti. È evidente come il regista londinese abbia tratto ispirazione da Paprika, addirittura arrivando a omaggiarlo in almeno un paio di scene. Il corridoio dell’hotel le cui pareti diventano molli e malleabili ricorda quello del film di Nolan che inizia a girare, ma anche la città che collassa su sé stessa, mutando addirittura forma e struttura è molto simile a quella mostrata in Inception.
Ma sé Nolan si è ispirato a Paprika, il film di Satoshi Kon cita e omaggia un’infinità di altre opere (tra cui i tre precedenti film dello stesso regista). Troviamo i trattini tipici del rettangolo di Tarantino in Pulp Fiction, un hotel molto simile all’Overlook di Shining, la scena citazione a Tarzan, quella a Vacanze Romane, le bambole alla Blade Runner e tanto altro ancora.
Un grande amore per il cinema
L’amore di Kon per il cinema è palese in ogni inquadratura ed è reso ancora più evidente dalla natura meta-cinematografica di alcune scene. Ad esempio i sogni possono essere registrati e vengono mostrati tramite uno schermo, proprio come se fosse un film. La stessa Paprika afferma che durante la prima fase di sonno i sogni sono come cortometraggi, ma per assistere ai grandi blockbuster bisogna aspettare la fase REM. Ma addirittura Paprika e Konawaka si mettono a parlare in una sala cinematografica, seduti al posto del pubblico. Il detective a questo punto è improvvisamente vestito da regista e racconta della sua passione per il cinema (che invece inizialmente nega). L’ennesima dimostrazione della natura “meta” di Paprika.
Tra citazioni, autoreferenzialità e meta-cinema, Paprika è, tra le altre cose, una dichiarazione d’amore alla settima arte.
Paprika, un personaggio iconico
I personaggi di Paprika sono tutti ben caratterizzati e capaci di veicolare tematiche ben precise. Tokita è irresponsabile e infantile, ma l’amore per Chiba lo porterà a maturare. Il Presidente, determinato a raggiungere il suo obiettivo di un “sogno collettivo”, rappresenta anche un baluardo anti-tecnologico, come se volesse preservare la sacralità dei sogni. Konawaka è una persona semplice, da subito affascinato dal carisma di Paprika, ma portatore di un rimosso che lo fa sentire in colpa da anni. La stessa Chiba, fredda e algida, si apre soltanto alla fine, quando ammette a sé stessa di amare Tokita nonostante tutti i suoi difetti.
Ma il personaggio che più di tutti riesce a spiccare è chiaramente Paprika, l’alter-ego di Chiba nel mondo dei sogni. Paprika è in qualche modo una doppia personalità di Chiba, come se il lato più umano della dottoressa fosse relegato a questo mondo parallelo. Ma col passare del tempo la ragazzina assume un suo peso all’interno del film, arrivando addirittura a coesistere col suo doppio. Paradossalmente il personaggio di Paprika è anche quello che serve a Kon per mostrare gli aspetti più “maturi” del film, caricandola di un forte charme che sfocia più volte nell’erotico. Questo potrebbe rappresentare il fascino misterioso che i sogni hanno su chi li fa, rendendo praticamente Paprika una personificazione dei sogni.
Conclusioni
Paprika è una piccola perla d’animazione degli anni 2000, capace di raccontare una storia adulta e intensa, con dei personaggi ben caratterizzati e una cura per le inquadrature clamorosa. Un’opera consigliata a tutti coloro che hanno amato Inception, agli appassionati di anime maturi o semplicemente a chiunque ami il cinema tanto quanto Satoshi Kon.