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Shining: il significato del finale, trama e recensione

Il 23 maggio maggio del 1980, usciva nelle sale di tutto il mondo Shining (The Shining) film diretto dal maestro Stanley Kubrick. Film che, con il passare del tempo, diventerà un classico dell’horror moderno, assunto a Capolavoro.

Shining film
Una famiglia tranquilla

Shining: trama

Jack Torrance, uno straordinario ed iconico Jack Nicholson, è un ex-insegnante disoccupato, con problemi di alcool e scrittore in cerca di ispirazione. Insieme alla moglie Wendy (interpretata da Shelley Duvall) e al figlioletto Danny (interpretato da Danny Lloyd), accetta di fare da guardiano invernale in un hotel deserto, l’Overlook, dove tempo prima un uomo era impazzito e aveva sterminato la sua famiglia, per poi suicidarsi. Arrivati all’Overlook Hotel, la famiglia cerca di abituarsi alla nuova “casa”.

Il piccolo Danny gioca tra i corridoi dell’hotel con il suo triciclo, Wendy da brava moglie fa i lavori domestici. Jack invece passa intere giornate isolato in cerca dell’ispirazione per il suo nuovo romanzo.

Shining film

In un crescendo di tensione emotiva, il film sprofonda nell’incubo e nella follia dei personaggi.
Jack incomincia a dare segni di instabilità mentale (famosa la scena in cui, alienato, scrive in successione sulla macchina da scrivere: “Il mattino ha l’oro in bocca”).

Wendy, in un vortice da incubo, diventa la maschera della paura, letteralmente terrorizzata dall’ambiente e dal cambiamento del marito. Il tutto mentre il piccolo Danny incomincia ad avere strane visioni ed incontri.

film Shining

Shining: recensione

I richiami ai classici dell’horror sono molti, sparsi nella trama del film: la classica casa stregata”, il tema del soprannaturale e la reincarnazione.
Il piccolo Danny, figlio di Jack e Wendy, ha il dono della luccicanza (Shining), un potere che gli permette di vedere eventi passati e prevedere quelli futuri. Una sorta di telepatia che condivide con il cuoco afro-americano Dick Hallorann.
Una splendida donna esce dalla vasca da bagno e si avvicina a Jack per baciarlo. Pochi istanti dopo si trasforma in una vecchia in decomposizione, dalle chiare sembianze di uno zombie.

La scena finale, dove il corpo di Jack congelato non viene più trovato, per poi ricomparire in una foto in bianco e nero (targata 1921), a testimonianza che Jack è sempre stato il guardiano dell’Overlook Hotel.
I tre temi sopracitati: casa stregata, soprannaturale e reincarnazione sono il canovaccio su cui si fonda il film. I personaggi, non fanno da sfondo alle inquietanti vicende, non assistono passivi agli strani eventi, ma ne sono parte integrante a tutti gli effetti. Sono gli artefici dell’incubo che li separa dalla follia.

film Shining

The Shining

Shining: il significato e la spiegazione del finale

Shining (The Shining) è un film pregno di scene simbolo: la visione di Danny delle gemelline, mentre gira nei labirintici corridoi dell’hotel. Per poi vederle istantaneamente morte, distese e massacrate.
L’ascensore che esplode in un’onda di sangue, come a presagire che qualcosa di sinistro sta per accadere.

Jack che fa a pezzi con un’accetta la porta del bagno. Wendy che, nel frattempo, vi si è rifugiata in una maschera di palpabile terrore.
La scena finale nel labirinto di siepi, dove Jack insegue il piccolo Danny in una spirale da incubo, che non concede spazio. Come un vortice senza fine che si annulla in sè stesso, frastornando lo spettatore.

Shining trama
L’onda di sangua premonitrice

Shining (The Shining) è un film che si presenta, non da subito (all’uscita fu un mezzo flop), come Capolavoro non solo per la trama, la splendida prova attoriale dei protagonisti, ma anche per la complessità. In primis dal modo in cui la messinscena filmica viene girata. Grazie anche allo straordinario esempio dei virtuosismi tecnici della fluida Steadicam, nonché per le geniali innovazioni apportate da Kubrick all’horror: i potenti flashback che deragliano lo spettatore, insinuando sempre l’ombra del dubbio su cosa stia accadendo.

L’evoluzione dell’horror: dalle tenebre alla luce

Così come Alien di Ridley Scott ha gettato la fantascienza dalla luce ai luoghi oscuri e tetri di un cargo spaziale, così Kubrick, con Shining, ha tolto il buio all’horror portandolo alla luce.
Ora i mostri non sono più nascosti nelle ombre di una casa, ma sono illuminati davanti ai nostri occhi. Senza trucchi nè inganni. E l’orrore non è più il classico jump scares, ma è intriso e visibile in ogni fotogramma della pellicola.

Travolgente saggio di virtuosismi tecnici su un canovaccio da cinema di genere o angosciosa rappresentazione della crisi della famiglia contemporanea?
Sicuramente, nel realizzare Shining, Kubrick è stato spinto da entrambe le motivazioni. Anche se, non c’è dubbio, che la prima ipotesi, da goloso e analitico sperimentatore di ogni novità quale l’autore era, sia stata la vera causa prima.

Shining film

La steadicam: l’innovazione del movimento

Affascinato dai temi gotici, personalmente scettico ma anche convinto che ogni storia sull’aldilà fosse intrinsecamente positiva (“Se i fantasmi esistono vuol dire che c’è una vita dopo la morte, che non siamo condannati all’oblio”), il cineasta divorò decine e decine di romanzi e romanzetti, prima d’imbattersi nel testo dell’allora emergente Stephen King.

In effetti si appassiono a Shining più per l’intelligenza e l’inventiva della trama che non per lo stile narrativo e, assicuratisi i diritti (che l’emozionato King si affrettò a concedergli), lo smontò e rimontò assieme alla scrittrice Diane Johnson.

Alla fine del lavoro preparatorio, aveva costruito una potente storia al servizio tanto degli attori che della Steadicam, un’apparecchiatura di stabilizzatori messa punto qualche anno prima da Garrett Brown e che permetteva, indossata da un operatore, vertiginose e fluide riprese ad altezza d’uomo.

Fu studiata una complessa scenografia per permettere alla nuova tecnica di ripresa di servire coscienziosamente le atmosfere e il senso della storia.

L’Overlook Hotel che si vede in Shining (The Shining) è frutto di una spericolata combinazione: la facciata anteriore fu ripresa al Timberline Lodge, un albergo dell’Oregon, mentre gli interni e tutto il retro furono invece ricostruiti negli studi in Inghilterra (dove è stata girata la quasi totalità del film).

A causa delle preoccupazioni dell’albergo, Kubrick cambiò il numero della stanza dell’orrore dal numero 217 al numero 237. In effetti la 217 esisteva veramente, e i proprietari del Timberline Lodge temevano che mai più nessuno avrebbe voluto dormirvi.

Shining

L’anteprima del film a New York

Fu così che, dopo tre anni di lavoro, la prima del film Shining (The Shining) si tenne a New York il 23 maggio del 1980. Cinque giorni più tardi Kubrick fece modificare parzialmente l’epilogo, tagliando la scena in cui il direttore dell’albergo (Barry Nelson) va a trovare Wendy (Shelley Duvall) in ospedale.

Tutti ricordano gli inseguimenti affannati sul piccolo Danny Loyd mentre gira con l’automobilina a pedali nei corridoi deserti dell’Overlook Hotel o i pedinamenti nel terrificante labirinto nel giardino. Gran parte del film, ed in particolare queste scene, fu girato usando la Steadicam e gli spettatori si trovarono così per due ore, immersi in un’atmosfera sempre più claustrofobica e spaventosa.

Shining significato

Shining: un capolavoro sulla sontuosa parabola della follia

Per Kubrick Jack Nicholson era il più grande attore della sua generazione. Meditava di lavoraci assieme dal 1969 ed era convinto che solo lui avrebbe potuto far scivolare progressivamente il suo personaggio di scrittore in crisi nella follia più totale e maligna. E solo una moglie dall’aria fragile e delicata, praticamente una predestinata allo stress, come l’altmaniana Shelley Duvall avrebbe potuto fagli da contraltare psicologico. E così che quella che in altre mani sarebbe stata una semplice storia horror, si trasformò in una sontuosa fantasia, felicemente in bilico sugli abissi dell’inconscio e dell’incubo.

Shining, ancora oggi, a distanza di 43 anni, porta l’orrore alla luce del giorno, impendendo ai mostri di nascondersi, terrorizzando lo spettatore con incastri perfetti e sequenze da brivido, senza lasciare spazio ai rifugi. Tutti sono costretti a guardare senza stacchi l’incubo e la follia.
Un Capolavoro senza tempo, che fotografa il ghigno di Jack Torrance/Nicholson, come il segno di quel male che nessuno riuscirà più a replicare, nè ad egualiare.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni
Alessandro Marangio
Alessandro Marangio
Critico cinematografico per la RCS, ho collaborato per anni con le più importarti testate giornalistiche, da Il Messaggero a La Stampa, come giornalista di cronaca, passando poi per Ciak, Nocturno, I Duellanti (Duel) di Gianni Canova, Cineforum e Segnocinema, come critico cinematografico.

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