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My son – recensione del thriller con James McAvoy su Prime Video

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Il regista Christian Carion ha realizzato nel 2017 il film Mon garcon dirigendo interpreti francesi e a distanza di quattro anni ne organizza un remake affidando l’identico plot ad attori inglesi celebri e di gran carico intitolandolo My son.

Il perché dell’operazione non è particolarmente evidente, né strettamente necessario: l’identicità del progetto riguarda anche un aspetto che possiamo definire insolito in un film, ossia la circostanza per cui il protagonista, Guillame Canet nell’originale e James McAvoy in questo rifacimento, non sia stato provvisto di copione.

La scelta di Cairon è quella di puntare tutto sul carisma interpretativo dell’attore e sulle sue capacità improvvisative, psicologiche ed entro certi limiti fisiche, nel sostenere una vicenda tutt’altro che facile e, in nuce, profondamente angosciante.

My son

My son – trama

My son è la storia di un padre, Edmund (McAvoy), separato dalla moglie Joan (Claire Foy) e distante per lavoro dalla sua famiglia, il quale, venuto a sapere della scomparsa improvvisa del figlio Ethan di sette anni nella cui vita non è stato presente quanto avrebbe dovuto, si getta alla sua frenetica ricerca. Dapprima al fianco della polizia, poi, in solitaria, poiché il caso, evidentemente, deve aver smosso acque implicitamente intoccabili, di cui non si approfondiscono ulteriori spiegazioni.

Se dapprima i sospetti sono abbastanza irrimediabili e le forze si concentrano nel dragare il lago vicino al campus degli scout cui il bambino aveva, pur controvoglia, partecipato, pian piano le attenzioni passano al nuovo compagno della madre, con il quale Joan ha intenzione di sposarsi e costruire una famiglia, accusato di non provare reale affetto per Ethan.

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Ma nemmeno lui sembra essere la chiave del mistero: in breve tempo Edmund, confrontando alcune fotografie sul cellulare, giunge all’informazione che il figlio sia stato rapito e dietro quella sparizione ci sia un piano criminale tanto pericoloso quanto misterioso.

My son – recensione

My son, disponibile ad oggi su Prime video, è un thriller di trama totale, in cui tutto rientra nel filone di base, unico ed univoco, ossia, un padre che deve risolvere il terribile rompicapo sul sequestro del figlio: lo deve fare per riprendere il ruolo di papà che ha svolto male e distrattamente fino a quel momento, lo deve fare per dimostrare alla moglie, cui ancora tiene e che considera sinceramente una buona madre, che ancora può fidarsi di lui. Dunque un movente psicologico, cui si fornisce molto poco respiro oggettivo, dandolo, al contrario, come bagaglio personale in sospeso, in parte sottinteso.

Il film ha una prima parte in cui si guarda intorno con circospezione obliqua, preferendo al poliziesco stretto, il dramma familiare ed il mistero, elementi che ammantano di enigma la situazione rendendola altro da quella che è: gli alleati potrebbero non essere tali, come ad esempio la polizia intransigente del posto o il compagno reticente di Joan, mentre dai comportamenti inanellati si lascia intravedere un noir più inquieto ed insidioso di quanto non appaia inizialmente.

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My son

Ma nella seconda parte, acclarata l’esistenza di un disegno criminale dietro il rapimento, l’intero racconto si omogeneizza in un tour de force d’azione che trasforma McAvoy in super-eroe, capace di stanare e neutralizzare una non meglio specificata banda di sequestratori, rispetto ai quali meno si dice e più ci si suggestiona.

Per cui, a fronte della scelta di lasciare con poche istruzioni l’attore principale, ignaro della reale sceneggiatura, per coglierne spontaneità e fierezza reattiva sulla scena, nei momenti di contrasto e potenza fisica o nei dialoghi (di fatto radi) con i propri colleghi, questa stessa qualità si allenta nella resa complessiva, rintracciabile, al limite, nei momenti iniziali.

In essi Edmund è di fatto impegnato a riprendere in mano le redini della sua famiglia, tralasciando il lavoro e i nuovi affetti trovati, mettendo a rischio beni, sicurezza e libertà, confrontandosi con chi gli chiede il conto della sua assenza, infrangendo la legge e spingendosi fin dove sente necessario per portare a termine la sua missione e riscattarsi dalle responsabilità insolute, dagli sbagli mai veramente ammessi.

Ma la naturalezza che My son con il suo progetto tende a preservare, annega negli stenti di uno script manchevole, in cui di fatto non succedono eventi, escluso il dispiegarsi di un’atmosfera sinistra e livida che la fotografia curatissima ben incornicia: a che serve voler unire insieme spettatore ed attore nell’unica emozione di scoprire insieme e nello stesso momento cosa accade, se, in sostanza, accade poco o nulla? Ritmo incostante e poco animo nelle svolte oscurano il coraggio di affidare all’improvvisazione recitativa processo e risultato del film, poiché quella stessa improvvisazione non trova spazi apprezzabili per brillare adeguatamente.

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My son

Si salva l’ambiguità dell’inizio, preso in medias res, in cui si stenta a focalizzare amici e nemici, e a capire la natura del problema, ma tutto il resto si riduce ad una caccia al cattivo tesa sì, ma non originale, che non approfondisce stati d’animo, né lancia barlumi sulle circostanze passate o sui desideri futuri: qualcosa tra Edmund e Joan non è andato bene, qualcosa ha tenuto lontano il padre dal figlio, qualcosa ora lo spinge a cercarlo come una furia, una qualche barbarità umana si annida tra i boschi ventosi attorno al lago.

Ma appunto qualcosa, un quid generico, impersonale, un dato di fatto che non raccoglie curiosità logica o emotiva, escluso il momento della visione dei video privati della sua famiglia che commuove e motiva l’uomo-padre, quasi avesse scoperto solo allora di possedere una ricchezza che ora rischia di perdere.

My son – cast

Nonostante la buona volontà di McAvoy, la sua energia scenica, i denti digrignati, il respiro in affanno ritmico per calmare i nervi prima di un assalto, e un finale che lo porta via alla neo-ritrovata serenità familiare come estraneo in pasto alla burocrazia giudiziaria da cui nessuno è – non sia mai – esente, lo sviluppo di My son ha fiato corto, autorecintandosi più in un esercizio di immedesimazione attoriale che non in una vera e propria storia per immagini.

Con l’espediente di lasciare libero l’attore-personaggio, si sacrifica l’unica cosa che oggettivamente può salvare lo stesso attore-personaggio dalle lacune di se stesso: la sceneggiatura. E si sente. La stessa Clare Foy, brava in altri celebri ruoli (The Crown, Unsane, Millennium-quello che non uccide), è relegata a presenza ansiogena sotto tranquillanti, che lamenta gli errori propri e del padre, addossandosi la colpa dell’accaduto.

My son

Partendo a fatto già iniziato, quindi pienamente dentro il problema ci si poteva aspettare un emergere anche parziale del tipo di rapporto intercorso tra i protagonisti, lacune e pregi dei loro legami così da comprendere meglio lo “sfoggio” delle loro azioni. Ma questo manca, ci si accontenta di poco e si conclude con irreale facilità un compitino sostanzialmente insipido.

Unica nota interamente positiva il paesaggio maestosamente autunnale, che sembra celare tra i suoi ocra, rossi e verdi sottoboschi, la spiegazione di tutto, ma tace o parla come parla il vento, lasciando a scorrazzarvi dentro da soli, i protagonisti, privi di munizioni sufficienti per far ingranare questo mondo-teca di indifendibili segreti.

My son – trailer

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PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Edmund, padre separato ed assente dalla famiglia, si getta alla frenetica ricerca del figlio Ethan di sette anni, scomparso misteriosamente durante un campo scout. Spaccato nettamente tra noir ed azione, thriller remake di un omonimo francese, con lo stessa idea di base: lasciar improvvisare il personaggio principale del padre, lasciandolo all'oscuro della sceneggiatura. Ma lo script manchevole e poco dinamico, non rende apprezzabile la pur alta energia di McAvoy. Deludente.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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