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Mai raramente a volte sempre – la recensione del film di Eliza Hittman

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«Ti farò qualche domanda, possono essere molto personali. Tutto quello che devi fare è rispondere “mai, raramente, a volte o sempre”. Come un questionario a scelta multipla, ma non è un test. Nell’ultimo anno il tuo partner si è rifiutato di mettere il preservativo? Mai, raramente, a volte, sempre? […] Il tuo partner ti ha minacciata o spaventata? Mai, raramente, a volte, sempre?»

Mai raramente a volte sempre è il titolo del terzo lungometraggio della regista indipendente Eliza Hittman, che per l’occasione si è dedicata sia alla regia che alla sceneggiatura. La pellicola è stata ideata e realizzata nel 2019 ma, destino comune a molti altri film sorti nello stesso periodo, a causa del contesto pandemico ha subíto alcune peripezie in fase di distribuzione che ne hanno ritardato l’uscita in sala. Il lungometraggio, di stampo drammatico e della durata di 101 minuti, è stato presentato in anteprima nel gennaio del 2020 al Sundance Film Festival, storicamente tempio della filmografia indipendente, per poi giungere nelle sale cinematografiche internazionali alcuni mesi più tardi.

La trama del film

La poco più che adolescente Autumn (Sidney Flanigan), nata nel 2002, vive una monotona routine nel più avvilente degli scenari della Pennsylvania rurale. Le sue giornate scorrono inesorabili tra la scuola, punteggiata dal più demenziale dei maschilismi ostentato dai i suoi compagni, lo scialbo lavoro al supermercato, dove a chiusura della giornata manifesta la propria nauseante presenza l’amorale gestore della struttura, e la confusionaria famiglia, in cui la figura materna pare suo malgrado ritrovarsi sovrastata da quella di un patrigno assertivo e irrispettoso. La quotidianità segue il suo corso, piatta e indisturbata, sino a che Autumn scopre di essere incinta. Sono molte le scelte di importanza capitale che la giovane sente di dover prendere a tal proposito, e tutte devono essere necessariamente ponderate.

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Ma nella semplicistica e conservatrice cittadina in cui vive, nessuno pare offrirle le risposte che in cuor suo la ragazza sente di desiderare. Non meno importante, Autumn sceglie di non confidare il gravoso segreto della sua gravidanza a nessuno, fuorché alla cugina Skylar (Talia Ryder) e alla sconfortante dottoressa che la segue, manifestamente anti-abortista e dalla sconcertante inettitudine. Ben salda nella sua posizione Autumn sa con assoluta chiarezza cosa vuole fare, e per realizzare i suoi intenti si rivolge allo scenario della grande città. Così, in segreto e nella pressoché totale disorganizzazione, la ragazza accompagnata dalla cugina muove alla volta di New York per confrontarsi con una clinica specializzata circa un’interruzione di gravidanza.

Mai raramente a volte sempre, tra coming of age movie e maternità

Mai raramente a volte sempre traccia il percorso di una protagonista adolescente che per la prima volta, presumibilmente suo malgrado, si ritrova costretta ad affacciarsi al mondo che la circonda; un mondo grezzo, contraddittorio, a tratti beffardo quando non crudele, al quale Autumn fatica ad adattarsi. In questo profilarsi della narrazione, il film si colloca sul terreno fertile del macro-genere noto ai più come coming of age movie, ossia quella deriva della filmografia che, sullo spunto dei romanzi di formazione, segue i suoi protagonisti nella transizione dall’infanzia/giovinezza all’età adulta. Inevitabilmente, data la natura particolarmente florida del genere, la pellicola di Hittman appare direttamente citazionista di un foltissimo ensemble di produzioni cinematografiche che l’hanno preceduta.

Senza necessariamente dover ricercare troppo indietro nel tempo, sul personaggio di Autumn agisce in modo tangibile e diretto l’ascendente della Lady bird di gerwighiana natura: seppur con implicazioni radicalmente differenti, entrambi le giovani protagoniste si sentono sistematicamente fuori posto, schiacciate, soffocate dalla narrow-mindedness del luogo in cui vivono, troppo ottuso per comprendere la loro posizione. In quanto a temi e situazioni, nella sua trattazione del tema delle teen pregnancies altro riferimento immediato è certamente quello all’efficacissimo Juno (J. Reitman, 2007). Tuttavia, nonostante l’aderenza tematica, i due film scelgono di approcciare l’argomento con modalità e toni drasticamente opposti tra loro: se nel precedente spicca un’ingegnosa chiave ironica, qua ampio spazio viene concesso all’assertiva drammaticità situazionale.

Contemporaneamente, in quanto a macro-generi d’appartenenza, Mai raramente a volte sempre attinge a piene mani dal filone narrativo della gravidanza e della maternità. Per quanto il tema, cinematograficamente inteso, sia sempre esistito e risulti singolarmente longevo, paradossalmente il film di Hittman pare precorrere un rilancio del topic particolarmente evidente nello scorso paio d’anni, durante i quali i film a tema gravidanza sembrano essere tornati marcatamente in voga e con singolare vigore, tanto da essere proposti nelle più svariate chiavi di lettura, dalla più audacemente narrativa (L’évenément), alla più drammatica (Pieces of a woman) passando per l’ardito e provocatorio sperimentalismo (Titane). Curioso – se non, forse, denotando un appiattimento tematico, vagamente offensivo? – che in concomitanza con la recente centralizzazione del femminile al cinema si assista ad una così insistente proposta di pellicole a focus materno.

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Mai raramente a volte sempre, metafore e regia di un manifesto del cinema indipendente

La sfera di realizzazione del film è indubbiamente quella del cinema di matrice più marcatamente indipendente. Anziché vivere questo statuto produttivo come una condizione deficitaria (come talvolta ingenuamente accade), la pellicola se ne fa forte e lo erge a manifesto della sua interezza, sia nei toni che nelle ambientazioni, ma anche nella qualità fotografica e registica. Tutti gli aspetti del film sembrano infatti sbandierare la matrice indipendente da cui l’opera è pervasa, a partire dalla singolare regia di Hittman. In mano sua, la macchina da presa non concede spazio a convenzionalismi rinunciando alla canonica alternanza di campi e piani in favore di un’imperante predominio di primi e primissimi piani. Laddove questi non fossero presenti, nella maggior parte dei casi è per lasciare spazio a dettagli e particolari, tentando un ulteriore avvicinamento ai protagonisti.

In Mai raramente a volte sempre l’introspezione nei confronti della protagonista è messa in atto in modo meccanico, concreto. La macchina da presa poggia sistematicamente e insistentemente addosso alla sua persona, cogliendone in modo ravvicinato a fasi alterne principalmente il volto, le mani e il ventre. Così, l’approcciarsi al personaggio per quanto forzato si rivela efficace: Hittman fa sì che lo spettatore si avvicini fisicamente ad Autumn, per mezzo delle inquadrature che sceglie lo posiziona letteralmente addosso a lei, annullando vertiginosamente il suo spazio vitale e lasciando che così traspaia anche la sua portata emotiva debordante, celata dietro una cortina di fermo pragmatismo. Oltre che nelle scelte registiche, lo stampo indipendente del film emerge con decisione anche nella qualità fotografica.

Quella di Mai raramente a volte sempre è una fotografia, curata da Hélène Louvart (Lazzaro felice, The lost daughter), deliberatamente ruvida, ma non per questo non curata. La grana stessa dell’immagine, infatti, è espressione concreta della brutale onestà dell’istanza narrante. Proprio in ragione della qualità fotografica, congiuntamente ai toni e alle ambientazioni, in più occasioni a questa pellicola è stata associata la rischiosa espressione di “moderno neorealismo”. Senza dover necessariamente scomodare l’âge d’or della teoria storico-filmografica nostrana, è pur vero che Hittman pare volerne riproporre gli intenti e i toni. La tecnica cinematografica si fa specchio volto a riflettere in forma di stilema l’avvilente realtà che circonda la protagonista che, a sua volta, non assurge a catalizzante eroina della narrazione ma risulta un comunissimo soggetto umano, un mero campione tra i tanti possibili che compongono il desolante parterre esistenziale in cui la stessa Autumn agisce.

L’esperienza della protagonista, e con lei di tutti coloro la circondino, è immersa nel più buio squallore, nella più sconfortante desolazione. Sistematicamente Hittman (con la scrittura prima e con la regia poi) pone l’accento sul mortificante malessere che permea in modo sibillino ma decisivo l’esperienza personale della protagonista. E, affinché sia impossibile che allo spettatore sfugga, la mente creativa dell’opera sceglie di tradurre il concetto per immagini anziché tramite il dialogo, come sarebbe buona prassi fare in ambito filmico. Nelle scene delle notti che Autumn trascorre a New York, vagabondando nella più totale disorganizzazione, emergono in modo lampante il degrado, la sporcizia, il disagio, gli stessi che percepiamo la protagonista avvertire sulla sua stessa pelle (anche in seguito a esperienze che il pubblico può solo intuire). E, allo stesso modo, il caos della metropoli e la sua frenesia sono riflesso del frastuono psico-emotivo e mentale del personaggio principale.

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Anche a visione ultimata, è impossibile per il pubblico conoscere integralmente il vissuto di Autumn. Ma è strettamente necessario esserne a conoscenza? Mai raramente a volte sempre ci suggerisce che non lo è, poiché anche se la trama tace alcuni nodi narrativi pregressi gli sviluppi della pellicola permettono comunque allo spettatore di entrare in contatto con la protagonista a livelli inaspettatamente profondi. Nella possibilità di veicolare questo tipo di sensazione e dunque di messaggio, è strettamente necessario che il lungometraggio sia deliberatamente essenziale, volutamente scarno e brutale. Forse, in questo, la natura indipendente del film è fermamente imprescindibile, e permette a Hittman di consegnare allo spettatore un’opera sussurrata ma densa, silenziosa e al contempo potente, che è quanto di più lontano esista dal prodotto filmico standardizzato e industriale in senso stretto.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Prima ancora di essere un coming of age movie, o un film a tema gravidanza, Mai raramente a volte sempre è un manifesto di cinema indipendente. La qualità della regia di Hittman, unita a quella della granulosa fotografia, traducono con brutale onestà su pellicola la desolante e complessa esperienza di vita della protagonista.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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