L’uomo del labirinto l’horror di Donato Carrisi con Dustin Hoffman e Toni Servillo
Secondo lungometraggio per lo scrittore e sceneggiatore Donato Carrisi, L’uomo del labirinto segue le vicende narrate dal libro omonimo pubblicato dal neo regista nel 2017. Il labirinto rappresenta sia un luogo che uno stato mentale.
Carrisi infatti realizza una storia binaria in cui due racconti, all’apparenza collegati, coesistono, pur non appartenendosi del tutto, senza alcun collegamento spaziale o temporale ma solamente legati dalla cronologia applicata nella realtà filmica e letteraria.
L’uomo del labirinto trama
L’uomo del labirinto è un racconto di sopravvissuti. Tagliente e a tratti ipnotico, per la scelta che Carrisi fa dei colori, il film omaggia il periodo più florido del cinema italiano degli anni 70. Non a caso anche la trama sembrerebbe appartenere a quell’epoca passata.
La narrazione tipica del giallo si macchia di altri generi come l’horror e il thriller psicologico, rendendo L’uomo del labirinto una storia che abbraccia una varietà di generi e a sua volta caratterizzato da diverse sfaccettature.
Carrisi parla non solo dei personaggi ma esprime le sue emozioni attraverso l’uso delle luci. Si passa da un’asettica lampadina bianca, per le scene in ospedale, all’esplosione di colori che invece rivestono le pareti, uniche testimoni, del famigerato omicidio.
L’eccessiva presenza di tonalità forti non può che richiamare alla mente i più famosi film del maestro dell’orrore italiano, Dario Argento, nello specifico il gioco degli specchi e delle armi affilate ricorda l’insanguinato Suspiria del 1977.
Il rosso viene anche scelto per colorare dei piccoli dettagli che a posteri si scopriranno essere piccoli indizi rivelatori.
Uno di questi è la pallina maneggiata dal dottor Green, interpretato da Dustin Hoffman, che ruotandola e passandola da una mano all’altra imita, o forse ricorda, le movenze con il cucchiaino da thé della suocera psicologa nel film di Jordan Peele, Get Out. Consacrando quel movimento costante come la messa in atto della suspance, che portata avanti per molto tempo tende a perdere l’effetto ansiogeno generato all’inizio.
L’uomo del labirinto recensione
La pecca de L’uomo nel labirinto sta proprio nell’eccessiva lunghezza della narrazione, in alcune parti ridondante – come per i ricordi della protagonista che non essendo lucidi tendono a manifestarsi in diversi momenti e sotto aspetti altrettanto diversi.
Pur essendo una storia avvincente intrisa di numerosi colpi di scena (fino agli ultimi frame), lo spettatore non viene trascinato pienamente nel vivo delle vicenda, piuttosto riceve un lieve invito da parte dei protagonisti di scoprire chi possa essere il killer.
Nemico della buona riuscita è anche il tempo, che si scompone e si rimescola cambiando radicalmente le sorti dei protagonisti, generando confusione anche nella mente dello spettatore che sembra essere chiamato a risolvere un gioco labirintico come avviene per la protagonista.
Alcuni passaggi subiscono anche un’eccessiva dilatazione temporale tanto da far perdere il filo logico della narrazione.
Ma come non ci si può fare affidamento sul luogo e il tempo, messi volutamente fuorigioco dal regista, non è possibile fidarsi nemmeno della mente – labile – della protagonista, ancora sotto effetti di droghe pesanti somministratele dal suo rapinatore. A questo punto lo spettatore non sa a quale gancio appoggiarsi.
Le certezze si sfaldano, il castello di carte vacilla fino a crollare sul pavimento. Quel che resta è un insieme di figure difficili da assemblare.
L’unica ancora di salvezza viene risposta nell’antagonista, celato dietro una maschera da coniglio, che rivendica il Donnie Darko di Richard Kelly o il Bianconiglio di Alice nel paese della meraviglie (poiché una vittima riporta proprio il nome della ragazzina bionda).
Come veniva anticipato nella parte iniziale L’uomo del labirinto può essere definito la storia dei sopravvissuti, si pensi alla prima scena in cui compare Toni Servillo – che tenta il suicidio puntandosi una pistola alla gola.
É la storia di personaggi deviati che sono riusciti a sopravvivere al buio, forse, e alla malvagità dell’uomo, pur essendo cambiati nella loro indole.
L’uomo del labirinto rappresenta sicuramente un approccio innovativo per il cinema, ma forse sarebbe stato meglio leggerlo solo sulla carta.