Nel 2009 usciva nei cinema Watchmen, l’adattamento “impossibile” di Zack Snyder del fumetto di supereroi che metteva fine ai fumetti di supereroi. Nel 2019 si aggiunge un nuovo capitolo, e lo showrunner (la mente dietro la serie) è Damon Lindelof, già sodale di J.J. Abrams nella produzione di LOST.
Il film di Snyder di dieci anni prima era stato concepito secondo l’ottica del regista del Wisconsin: una grande opera di estetica, dove il testo è stato in apparenza rispettato, ma in realtà sacrificato sull’altare della pura spettacolarità delle immagini. Un lavoro che fece storcere il naso ai fan di Alan Moore (autore dei testi di Watchmen e uno dei più grandi scrittori di graphic novel in assoluto) e agli addetti ai lavori, meno ai neofiti che apprezzarono il taglio registico, l’epicità della messinscena, i grafismi dai colori brillanti e le assurde tute in spandex.
In questa serie, invece, Lindelof agisce in modo diametralmente opposto. Ogni episodio si prende i suoi tempi, racconta una storia, inframmezzata da flashback che ne rendono all’inizio più ardua la comprensione, per poi risolversi in un puzzle che mostra finalmente il quadro generale. E il risultato è più che soddisfacente.
Watchmen: la serie, che chiameremo così per distinguerla da fumetto e film, si svolge in una ucronìa (ovvero una dimensione immaginaria dove la storia ha preso una piega diversa rispetto al nostro mondo) nel 2019, quindi 34 anni dopo i fatti narrati nel film (e nel fumetto).
La storia si svolge quindi ai nostri giorni, in un mondo diverso, dove il Presidente USA è Robert Redford, aiutato nella sua scalata da un personaggio leggendario, Adrian Veidt, alias l’ex supereroe Ozymandias, il burattinaio che governa il mondo dal suo rifugio nell’Antartide. Ma negli ultimi anni, scopriamo, è accaduto qualcosa. Veidt è stato dichiarato morto, e le politiche antirazziste di Redford hanno esasperato gli animi dei repubblicani duri e puri, dando luogo ad una rinascita del Ku Klux Klan. Questo nuovo gruppo razzista indossa, in luogo dei cappucci, delle maschere di Rorschach, un altro supereroe scomparso, di idee di estrema destra.
I poliziotti subiscono le ritorsioni maggiori, così viene approvato un atto che permette alla polizia di agire come ‘vigilanti’, col volto coperto, per prevenire ritorsioni dei razzisti sulle famiglie dei poliziotti.
La premessa è forse debole, ma lo scenario è potente. Scontri razziali, tradimenti, il Settimo Cavalleria (i suprematisti bianchi vestiti da Rorschach), un mondo alieno, eroi dal passato misterioso, cloni, e su tutto, l’ombra gigantesca del dottor Manhattan.
Il luogo dove si snodano le vicende principali è Tulsa, Oklahoma, teatro di tensioni razziali e di scontri etnici, se così si possono definire le macabre attività del Ku Klux Klan. Numerosi flashback ricostruiscono la storia della città, fondata dai nativi americani (ovvero gli ‘indiani’), arrivando ai giorni nostri, dove una donna afroamericana di nome Angela Abar, è una poliziotta mascherata nota con il nome di Sorella Notte, ed è particolarmente attiva nei confronti dei feroci gruppi razzisti di Tulsa.
Molto legata al suo mentore Judd Crawford, alla morte di quest’ultimo per mano di un misterioso personaggio, Will (afroamericano anche lui, e interpretato da Lou Gosset Jr. ) indagherà ossessivamente sull’omicidio e sull’identità di Will, giungendo a conclusioni sorprendenti.
Ogni episodio è un coacervo di colpi di scena, ed un pezzo in più per completare il puzzle della storia. I personaggi e le situazioni più improbabili rivelano ciascuno una collocazione e un motivo di essere, e le parentele più improbabili verranno alla luce, spiegando le ragioni che spingono ogni personaggio ad agire perseguendo un proprio fine. E ancora una volta, come nel film, qualcuno dovrà letteralmente salvare il mondo.
Watchmen: la serie è un prodotto profondamente calato nel suo contesto: intelligente l’idea di non intaccare le premesse della serie originale, utilizzando parte dei personaggi (bellissimo l’uso fatto del personaggio di Laurie, alias ‘Silk Spectre’ ) e integrandoli con altri, e in nuovi scenari.
Certo, non è tutto oro quello che luccica: alcune parti sono deboli, come il contesto iniziale nel quale si muove Veidt, e il modo in cui cerca di sfuggirgli, sembrano citazioni ancor più surreali delle situazioni già surreali della serie ‘Preacher’ (tratta anch’essa da un fumetto di culto). Ma c’è grande rispetto per la materia trattata, un ottimo lavoro di scrittura (finalmente) e di confezione, con una regia più che all’altezza e la fotografia di qualità.
Watchmen: la serie è un prodotto che è difficile consigliare a chi non sa davvero nulla della vicenda (l’ovvio consiglio è di guardare prima almeno il film del 2009 di Snyder) , mentre “diventa” un capolavoro, fino all’adulazione, per chi ha amato il fumetto originale e ha apprezzato, con entusiasmo, la sua versione filmata. La squadra di attori, da Regina King a Jeremy Irons, da Lou Gossett Jr. a Tim Blake Nelson, fino alla splendidamente ironica Jean Smart, compiono un formidabile lavoro di squadra per confezionare una serie TV che difficilmente verrà dimenticata e sarà ricordata come una delle migliori serie TV del decennio passato.