HomeBiograficoThe Drug King – 마약왕

The Drug King – 마약왕

Era un onesto cittadino di giorno e un re della criminalità di notte. Amato e odiato. Viveva due vite diverse. Lee Doo-sam. L’uomo che negli anni ’70 costruì l’impero d’Oriente della droga.

Siede sul trono e guarda intensamente davanti a sé. Il mondo gli appartiene. Lo ha costruito lui quell’universo. Sono in molti a trarne profitto, intascando denaro e benevolenza, mentre a lui è toccato fare il lavoro sporco, rischiare la pelle, compromettere la propria morale. Ha consacrato la vita all’avidità e sul suo volto non resta che un infausto sorriso, quello di chi sa di avere ottenuto tutto senza aver mai potuto stringere nulla fra le mani.

Il Tony Montana d’Oriente ha un carisma magnetico e sa dosare ironia e dramma come accade troppo di rado voltando lo sguardo verso Ovest. Il suo fascino ci attrae come una calamita: la sua etica zoppicante ci farà sorridere, e nel frattempo la sua ingordigia ci farà assaporare la squisitezza della conquista e il disperato gusto della fine.

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The Drug King

 A dirigere gloria e rovina del famigerato re della droga coreano c’è Woo Min-ho. Il regista aveva ottenuto un enorme successo con il thriller politico “Inside Men” (2015) mettendo a nudo i torvi giochi di potere e corruzione del suo paese, e qualche anno dopo ci riprova, con un pellicola dalla confezione hollywoodiana ma dal contenuto che mira dritto al cuore della Corea. Le torture perpetrate dalla KCIA, la corruzione dei politici, le rivolte di studenti e lavoratori represse nel sangue: “The Drug King” intende andare ben oltre la narrazione della cupidigia di un solo uomo.

Busan. Lee Doo-sam (Song Kang-ho) sopravvive a fatica. Ha una famiglia numerosa a cui pensare e i guadagni da piccolo criminale non possono bastare. Sgomita, arraffa, incassa colpi e tracanna umiliazioni. Con irragionevole ostinazione tiene viva la speranza di arricchirsi, di affrancarsi dall’anonimato, di afferrare un po’ di quella torta che vede inesorabilmente finire fra i denti di qualcun altro.

La sua testardaggine è implacabile e presto si troverà fra le mani l’occasione che stava aspettando. Lee Dom-sam è pronto a scommettere, sebbene non conosca con esattezza l’entità della posta in gioco, e il narcotraffico è indubbiamente il giocattolo più redditizio che gli sia capitato fra le mani. “Esportare droga in Giappone sarebbe un atto di patriottismo” pensa incautamente lo sfacciato di Busan. Tuttavia l’illecito commercio progredirà ben oltre le sue sfrontate aspettative, tanto da trasformare l’anarchico suddito del crimine in maestà in persona.

The Drug King

Il potere è inebriante e la smania di vittoria insaziabile. Si sa, se si ha il fiato corto sarebbe meglio rallentare, ma non si può chieder di smettere di correre a chi non sa più fare a meno del vento fra i capelli. E così la consueta storia si ripete e la caduta agli inferi non tarda ad arrivare.

“The Drug King” è tutto nel volto di Song Kang-ho (“Memories of a Murder“, “Snowpiercer“, “Parasite“) sorridente e inaccessibile un attimo dopo, nei suoi muscoli, rilassati e subito irrigiditi, nei suoi occhi, ingenui e nello stesso tempo brutali. La sua interpretazione rivela il prezzo dei compromessi morali che il suo personaggio è chiamato a pagare molto meglio dell’intera sceneggiatura, che malauguratamente risulta affrettata. E quando accanto a lui entra in scena Bae Doona (“Sympathy for Mr. Vengeance”, “The Host”), nei panni dell’affascinante amante, il film si fa pura delizia.

Song Kang-ho e Bae Doona

“The Drug King” è avidità, dipendenza, follia. L’imperatore della droga da dietro quella scrivania, che richiama servilmente alla memoria quella che Brian De Palma aveva concesso ad Al Pacino in “Scarface”, è mostruosamente indomabile e pateticamente umano.

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 “The Drug King” è un film ambizioso, non perfetto. Un film che sa intrattenere, che vi chiede di soprassedere alla condanna di una sceneggiatura a tratti sconclusionata per concedervi il tempo di ri-innamorarvi del suo attore principale. Song Kang-ho ci regala l’ennesima interpretazione dalla grazia divina e noi capitoliamo nuovamente ai suoi piedi. Il re della droga non poteva avere faccia più intrigante della sua.

Voto Autore: [usr 3,0]

Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.