HomeRecensioni FilmSpaccapietre - Recensione del film dei fratelli De Serio

Spaccapietre – Recensione del film dei fratelli De Serio

-

Spaccapietre – Trama

Spaccapietre, come suo nonno, era il mestiere e la vocazione di Giuseppe (Salvatore Esposito), sposato e con un bimbo di otto anni di nome Antò (Samuele Carrino): poi una scheggia gli è saltata in un occhio e da allora ha perso il lavoro.

Per tirare su la famiglia, la moglie Angela (Antonella Carone) si autorecluta come bracciante tra le campagne pugliesi dove vivono, ma l’estremo lavoro e la fatica accumulata la stroncano all’improvviso. A questo lutto devastante Giuseppe deve reagire cercando un nuovo impiego e la necessità lo spinge a chiederlo proprio ai padroni responsabili dei campi in cui la moglie è morta.

Spaccapietre

Così l’uomo e suo figlio si trasferiscono nelle misere baracche che gravitano attorno alle tenute e qui si ritrovano a gettare sangue e sudore con ritmi estenuanti sotto caporali senza pietà: sfruttati quotidianamente per un misero guadagno, cercano di resistere, facendosi forza uno con l’altro.

Il piccolo Antò fa amicizia con Rosa (Licia Lanera), una donna amica di Angela e le rivela che suo padre gli ha fatto una promessa ossia che la madre sarebbe tornata. Così, tra degrado e dolcezza, vive lo schianto dei destini dei più deboli nel rapporto tra un padre ed un figlio, condannati dalla criminalità del caporalato.

Spaccapietre

Spaccapietre – Recensione

Spaccapietre è l’ultimo film di Gianluca e Massimiliano De Serio presentato nel 2020 alla sezione Giornate degli autori di Venezia, disponibile oggi su Prime Video, ed è uno spaccato essenziale, brutale e tenerissimo di una realtà difficile, oggetto di scandali, indignazione ed abusi, ma ancora incestata lì dove è evidentemente comodo, che rimanga.

La povertà di Giuseppe, Antò e Rosa è totale: sono schiavi nelle loro stesse terre, sono merce di scambio tra latifondisti senza coscienza, sono bestie da medioevo, portatori di braccia e gambe da sbucciare, tormentare, piagare nei campi di angurie, pomodori, nei vigneti, dietro gli aratri, nei laboratori di macellerie.

Le loro vite valgono nulla, sono esseri fungibili, come e peggio del denaro e delle macchine, non hanno dignità e se la hanno, umiliarli diventa lo sport principale di chi li percuote a parole e a mani nude, per declassarli definitivamente da persone a cose.

Un’ entroterra bellissimo e sperduto, dove i frutti del terreno sono buoni e cattivi insieme, venuti su col sangue ed il sudore di arbìtri barbari di cui i supermercati si lavano le coscienze, mettendo ben in vista sugli scaffali quegli stessi prodotti raccolti in malomodo.

Spaccapietre

Intanto si permettono le esistenze di cooperative non meglio specificate, favelas senza Dio, dove basta una scintilla e il giorno dopo si sotterraneo decine di morti: poi si chiama casa da un cellulare fantasma e si comunica che Tizio o Caio sono morti.

Capita a marocchini, tunisini, nigeriani ma anche ad italiani. E non c’è differenza di trattamento: una bolgia infernale di disperati ed ignorati, ammasso d’organi in debito di sonno, cibo e rispetto.

Giuseppe ed Antò sono diversi, sono un atollo di umanità che tenta di difendersi dalle barbarie circostanti, sono un fumetto disegnato che ha da una lato il bambino magico ed innocente, dall’altro il suo supereroe, grande, grosso e dall’occhio speciale, occhio che va curato ogni sera affinchè diventi potentissimo.

Rosa è quell’ombra femminile silente e preziosa che avrebbe potuto essere una madre, un’amica, come tante, se non l’avessero snaturata gli stenti, lei che resta un ponte umano verso l’esterno, cui aggrapparsi quando il nodo alla gola diventa insopportabile almeno quanto il dolore.

E Spaccapietre attraversa quel dolore in modo netto, duro, basico, con una schiettezza che fa male, da una parte raschia dall’altra scalda: alla corrosione di ogni civiltà corrisponde l’abbraccio più forte dei protagonisti superstiti. Più si è schiacciati più si fa comunione tra i vinti, perché vale sempre e, soprattutto, vale ancora il detto: “se gli schiavi se si contano allora vincono”.

Qui non c’è l’ insorgenza rivoluzionaria collettiva, o un intento di denuncia fine a se stesso, ma forte è l’impressione di un mondo capovolto, dove ogni cosa impossibile pare concessa, legittimando una vergogna del vivere civile, che chiede a gran voce l’intervento e le scuse delle istituzioni civili.

Pur con piglio dardenniano, come è stato altrove sottolineato, i De Serio, non sono i fratelli belgi, nè i Ken Loach dello stivale, ma a loro sembrano ispirarsi per lucidità ed onestà dell’ambientazione. Nessuna assoluzione e pochissima consolazione, mentre la parte sovrana spetta all’odissea familiare di Spaccapietre, un fatto privato, un’avventura drammatica di padre e figlio, loro percorso personale cucito su un amore bruscamente interrotto e vilipeso, difesa strenua dei reciproci sogni, vendetta di una perdita che solo la fantasia ed il bisogno di un bambino possono provare a ricreare.

Spaccapietre 3

Spaccapietre colpisce per la pulizia del ritratto, intatto nella sua durezza, nel contrasto tra il dolce e l’aspro delle sue dinamiche entrambe presentate nella pienezza della loro espressività. Lo script conta poche scene, le ingloba in didascalie di quadri, in cui si parla poco e si lavora molto, fisicamente, sugli opposti, grande e piccolo, protetto e protettore, abusato ed abusatore, tutto ben piantato nella bellezza cattiva di una Puglia non libera, nè innocente.

La fotografia alterna il giorno stremante alla notte che rivela, avvicina e rende giustizia. Da una parte le spianate assolate che non offrono tregua ai braccianti, li obbligano a tenere la testa china, fissa sul solco di terra, con un sole vessatore che li soffoca e li debilita, dall’altra il buio plastico della sera, raramente caldo, più spesso livido, che copre i misfatti più gravi, compresa l’opulenza composta ed indegna del padrone.

Spaccapietre – Cast

La fisicità di Esposito è assolutamente in parte: con la naturalezza e la grazia che lo contraddistinguono, l’attore riesce a dare anima ad uno scenario da cronaca nera non troppo in là nella fantasia. La sua forza gentile rappresenta l’anima commovente del film, quel vulnus fragile che lo rende più padre di un padre, il gigante buono sotto la cui ala chiunque sembra trovare ascolto e ristoro.

Il piccolo Antò ha lo sguardo sveglio e curioso di chi ancora alla vita crede, lui piccolo bracciante come il padre, lui che sogna di diventare archeologo in un mondo che calpesta le tombe, anzi fa sparire i morti, lui che crede nel ritorno della mamma morta: sulle sue spalle quei pochi tocchi di realismo magico che donano alla storia un sapore di piccolo, piccolo sorriso.

Licia Lanera, degna compare di Esposito, attrice di solidissima tessitura teatrale, qui impegnata in una prova di presenza dolente, macerata, divisa tra la fatica implosa e qualche baluginio di calore che le trasformano il volto ed offrono la sua mano ad un bambino, un cane, un altro destino.

Di uno spaccato sociale insostenibile, poco frequentato e poco controllato, terra nullius del più forte e subdolo, Spaccapietre è autentico e morbido illustratore; sottrae in denuncia ed aggiunge in calore, con una medicina che riattiva il respiro, spesso abusata, qui più comoda di altra durezza di linea, riassumibile con la speranza umana, un’ onirica, disperata, imprendibile rivalsa.

Trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Giuseppe ex spaccapietre ferito ad un occhio, per sopravvivere assieme al figlio, è costretto a lavorare sotto gli stessi caporali che hanno ammazzato di fatica la moglie. Ritratto pulito, netto, essenziale di una realtà scomoda e disumana, in cui uomini trattano uomini come bestie e le autorità nel migliore dei casi non arrivano. Un paio di passi indietro rispetto alla denuncia, l'odissea drammatica di un padre ed un figlio per difendere il loro amore ed i loro sogni.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

ULTIMI ARTICOLI

Giuseppe ex spaccapietre ferito ad un occhio, per sopravvivere assieme al figlio, è costretto a lavorare sotto gli stessi caporali che hanno ammazzato di fatica la moglie. Ritratto pulito, netto, essenziale di una realtà scomoda e disumana, in cui uomini trattano uomini come bestie e le autorità nel migliore dei casi non arrivano. Un paio di passi indietro rispetto alla denuncia, l'odissea drammatica di un padre ed un figlio per difendere il loro amore ed i loro sogni.Spaccapietre - Recensione del film dei fratelli De Serio