Sono la tua donna (I’m your woman) è un film del 2020, uscito l’11 dicembre su Amazon Prime Video. Il film chiaramente porta un titolo che non gli rende giustizia, purtroppo. Vi è una motivazione nella scelta dello stesso, ed è strettamente interconnessa alla trama e alle intenzioni registiche di Julia Hart. La Hart, spiega che la frase la si deve a una citazione estrapolata dal film Strade violente (Thief) (1981) di Michael Mann, dove Tuesday Weld si rivolge a James Caan, affermando: “Io sono la tua donna e tu sei il mio uomo”. L’intenzione che sottostà alla scelta, è il ribaltamento delle parti, quindi della figura femminile all’interno di un genere, che ha sempre dedicato maggiore attenzione all’uomo come punto fondamentale delle vicende. Nel processo di scrittura della sceneggiatura, Hart afferma che quella specifica frase per lei è stato un momento di svolta.
Al di là della scelta del titolo, potenzialmente comprensibile, I’m your woman nasce circa sei anni fa, quando Hart inizia a lavorare allo script insieme al marito, Jordan Horowitz (produttore di La La Land). La regista, appassionata di crime drama di fine anni ’70, vuole riportare le dinamiche del genere sullo schermo, riproponendo però una nuova lettura. Quello che principalmente le interessa, è evidenziare i personaggi femminili all’interno del racconto. Hart riconosce la potenza di figure che nella “classicità” del genere, sono sempre state di supporto e quindi, nel momento dell’azione, svaniscono, sfumando in un retroscena e lasciando spazio ai caratteri maschili.
La protagonista di Sono la tua donna, è Jean, interpretata da Rachel Brosnahan, già premiata ai Golden Globe per il ruolo nella serie The Marvelous Mrs. Maisel. Jean conduce una vita sostanzialmente di solitudine, subendo trasversalmente le scelte della condotta criminale del marito, Eddie (Bill Heck). La donna non è mai del tutto consapevole di quello che egli svolge quando è al “lavoro”, mentre lei passa le giornate a casa, sola. La coppia, in particolar modo Jean, vorrebbe avere un bambino, ma purtroppo, non riescono ad averlo. Nella scena di apertura, Eddie si presenta a casa con in braccio un bebè e affermando di fronte a una comprensibilmente confusa Jean, che è il loro figlio. Egli compare fondamentalmente solo in questa scena, il personaggio poi sopravvive durante il lungometraggio, esclusivamente sui racconti e i dialoghi degli altri personaggi.
Fin dall’inizio e con l’evolvere della narrazione, siamo sempre nella prospettiva di Jean. Siamo con lei quando Cal (Arinzé Kene), un uomo che lei non conosce, viene a prenderla nel pieno della notte, per delle ragioni sconosciute. Siamo con lei nella confusione e nell’incomprensione di ciò che avviene, accompagnati da una tensione necessaria a far comprende lo sbigottimento e il senso di abbandono subito dalla protagonista. Siamo con Jean però, anche durante la sua svolta. Tutto, per lei, è una novità. Dopo aver speso la maggior parte della propria vita nella propria bolla personale, Jean sta scoprendo tutto il mondo intorno a lei.
In un’impeccabile ricostruzione scenica delle ambientazioni anni ’70, Hart pone di fronte agli spettatori numerose riflessioni, che all’interno della trama però, rimangono costantemente implicite. Emergono problematiche legate alla discriminazione razziale, insieme a quelle di una condizione patriarcale nociva. A causa di questo generale contesto, Jean vive qualsiasi cosa con delle grandissime limitazioni, con ansie e paure di prendersi delle responsabilità, a volte più grandi di quello che si aspetta.
Il percorso è un’evoluzione continua, che per la donna si rivela essere la scoperta prima di tutto di sé stessa, come fuoriuscita da una condizione ristretta. Quest’ultima data anche dall’invadenza della figura del marito, che come afferma lei stessa, non le permetteva nemmeno di guidare l’auto. In Jean l’evoluzione è necessaria, obbligata dalle condizioni, scoprendo lentamente aspetti della vita di Eddie di cui non era a conoscenza. Oltre a Cal, emerge la figura di Teri (Marsha Stephanie Blake, Orange is the New Black), come personaggio di supporto per Jean. Teri è tenace, ha vissuto in prima persona il mondo criminale di cui sopra, per questo è in grado di muoversi all’interno dello stesso, senza paure.
In conclusione, Jean deve necessariamente prendere le redini della situazione e riscattarsi, sia per sé stessa, che per il figlio. Il crescendo continuo però, sfocia in un finale leggermente più debole rispetto alle aspettative create, ma come in tutto il film, diversi elementi rimangono non-detti, quasi solo rivelati, anche dalla bravura della Brosnahan. Quest’ultimo è probabilmente il punto di maggior forza dell’opera della Hart, raccontare e discutere, senza mai rivelare del tutto attraverso le parole, ma cercando di mostrarlo.