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Paradiset Brinner – La miglior regia della sezione Orizzonti a Venezia 80

Paradiset Brinner – La sorellanza di tre giovanissime

Premiato come miglior regia nella sezione Orizzonti della 80.Mostra Internazionale del cinema di Venezia, Paradiset Brinner è l’esordio al lungometraggio di finzione, dopo un’opera prima documentaristica, della svedese Mika Gustafson, esordio che colpisce nel segno, disegnando uno slice of life familiare atipico, potente ed emotivamente impattante.

Al centro il legame di sorellanza come lo ha definito la regista stessa, di tre giovanissime, un nodo-calamita che le tiene in vita, le fa crescere e le fa sognare, la pietra angolare del film, un’iperbole concentrata di sentimenti conflittuali e liberatori che riescono a disegnare la parentesi perfetta di spazio e di tempo in cui vivere felicemente come, appunto, in un paradiso.

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Dramma familiare ed coming of age ad altezza adolescente

Eppure questo paradiso brucia, come recita il titolo; ed è da intendersi che a sgretolarsi tra le fiamme è la famiglia intera, il nido protettivo da cui traiamo origine, ma anche il nucleo primigenio che assicura identità, sussistenza ed amore.

Ecco questo paradiso, questa dimensione felice che caratterizza un periodo della vita di ogni individuo, qui è distorto, sformato, bluffa, rischia e perde, felice della vita e felice della sconfitta, prendendo fuoco progressivamente, macerandosi giorno dopo giorno sulle spalle di tre sorelle minorenni che vivono alla giornata.

I genitori sono assenti, non pervenuti, nè rintracciabili, e le tre vivono in equilibrio su una quotidianità sbandata, inquieta, sostanzialmente solitaria, chiassosa, senza regole, un’utopia dalle gambe fragili e malinconiche.

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Paradiset Brinner – Trama

Siamo alla vigilia delle vacanze estive e Laura (Bianca Delbravo), Mira (Dilvin Asaad) e Steffi (Safira Mossberg), rispettivamente di sedici, dodici e sette anni, vivono sole tra casa, amici e scuola: la loro routine è scomposta, arrangiata, euforica, tra giochi, scherzi, puntate al pub del karaoke, uscite non proprio legali con le amiche, cene improvvisate, litigi giganti e giganti riappacificazioni.

Sono tre bambine cresciute che si fanno da madre e da padre contemporaneamente, rimpiazzando come possono e come si sentono le responsabilità dei genitori assenti. Una telefonata che annuncia una visita dei servizi sociali per verificare se madre e figlie vivano adeguatamente, diventa il vero problema: in ballo c’è il concreto rischio di separazione delle tre sorelle e l’affidamento a diverse famiglie.

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Laura che ha ricevuto la telefonata decide di tacere la questione a Mira e Stefi. Da Natale scorso  non sanno più nulla della madre, che non è nuova a sparizioni e a ricomparse fuori controllo; c’è poi una zia, unica altra parente delle ragazze, invischiata in una relazione poco felice con il giostraio della città, chiusa nella sua casa-roulotte, una figura che non può, o non vuole o non è in grado di aiutarle.

Un embrione di famiglia incompleto, disperato ma funzionale

Per caso e per destino, Laura fa amicizia con Hanna, giovane donna che ha da poco traslocato in zona, ha una casa grande tutta per sè, forse ha un figlio, un compagno, ma poco se ne dice, è sola e da subito va d’accordo con la sedicenne. Diventa sua amica, sua compagna di scorribande nelle case disabitate dei ricchi in vacanza, sua confidente e complice, forse potrebbe essere una madre-sostitutiva per mettere a tacere i servizi sociali.

Ma la fantasia e le aspirazioni adolescenziali, si scontrano con la realtà delle persone adulte che contiene altre priorità e con le incomprensioni delle due sorelle più piccole che si sentono escluse dal legame Laura-Hanna.

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Paradiset Brinner – Recensione

Quello di Paradiset Brinner è un cinema che non descrive e non racconta, ma mostra, per stessa ammissione della regista. E mostra la vita di tre sorelle minorenni che fanno gioiosi salti mortali per andare avanti come se tutto fosse più o meno normale: la spesa da rubare al supermercato, il bucato senza detersivo, i divertimenti inventati, le feste iniziatiche con la cerchia di amici, birre, sigarette, piscine altrui, il primo ciclo mestruale e il primo dente caduto.

Tutto affrontato in tre, solo loro, un embrione di famiglia atipico ma funzionale nella sua incompletezza, puro, disperato senza sapere fino in fondo di esserlo, con le ore contate ma anche per questo, forse, più libero.

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Alla base un grande lavoro di preparazione attoriale oltre che di casting delle giovani interpreti, profondamente in parte, che si dimostrano verosimili a trecentosessanta gradi e ben più che all’altezza del compito.

La triade ha provato a lungo a riprodurre le condizioni di vita di un quotidiano come quello di Paradiset Brinner, un legame forte, una complicità istintiva, a volte dolorosa, aggressiva, esasperata, ma sempre, assolutamente leale, autentica, come se effettivamente stessimo sbirciando la routine di queste tre giovani dimenticate dagli adulti.

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Un mondo di donne, spesso sole, di uomini non pervenuti e di genitori assenti

Il mondo in cui vivono è fatto principalmente di donne, gli uomini non appaiono quasi mai, sono gli assenti giustificati o non giustificati della situazione, ed in generale, nella comunità rappresentata tutti gli adulti latitano pesantemente, lasciando alle spalle la generazione dei più giovani. Senza punti di riferimento, senza certezze, sole nel silenzio della periferia, Laura e le sue sorelle si barcamenano per non sentire la tristezza di chi e di cosa manca.

Hanna stessa è una donna in fuga dalle sue responsabilità di compagna e di madre, forse alla ricerca di altro, in contemplazione di un suo sbaglio, in lutto per una scelta errata, una maturità non voluta nei termini in cui si è presentata. Infatti diventa migliore amica di una diciannovenne, si sbronza con lei nelle case di chi non conosce, dove ruba la vita altrui, la scruta attraverso mobili, letti, fotografie, un’intimità domestica inedita e preziosa perchè non appartiene a nessuna delle due.

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Un’amicizia strana, un po’sbagliata un po’ inevitabile, quella tra Hanna e Laura, che le catapulta ancora più velocemente nel regno adolescenziale del possibile, un’anarchia di volontà in cui le cose vanno sempre e solo come si vorrebbe che vadano.

Crescere in un sobborgo svedese operaio, fermo nell’oblio

Accanto a loro la realtà silenziosa e distaccata di un sobborgo svedese, operaio, taciturno, con poche persone con la testa sulle spalle in circolazione, e quelle poche più vicine alla tristezza che alla gioia, un oblio le ottenebra, in contrasto con la sfolgorante energia del trio protagonista, tre forze della natura comiche e distruttive, aperte e al contempo guardinghe, specie nei confronti dei grandi.

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Nulla sfiora o intacca il legame tra Laura, Steffi e Mira, non importa se esso assuma via via geometrie squilibrate, sembri sfilacciarsi o contaminarsi con altro: alla loro unione si fa ritorno sempre, anche quando non c’è più altra soluzione per salvarsi, se non aspettare “il boia”.

Laura darebbe la vita per le sorelle, come dice espressamente, e loro farebbero lo stesso: sono l’unica cosa di cui dispongono e si comportano come famiglia più ancora di una famiglia vera e propria.

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Un universo di Piccole Donne svedesi dove trionfa sempre il legame di sangue

Paradiset brinner è un universo di piccole donne in lotta per crescere, sole, caparbie, spesso sboccate, in bilico sulla perdita di tutto, ma sempre oneste rispetto ai reciproci fortissimi sentimenti.

Riprese interne si alternano ad esterni di viali ordinati ma senza personalità o a tramonti nostalgici in cui è più forte la necessità di ritrovarsi insieme. Al di là di questa ripetitività, Paradiset Brinner, in arrivo nelle sale italiane a partire dal prossimo 29 agosto, probabilmente non era da premio alla regia, ma da miglior film, nella sezione Orizzonti, per la chiarezza di ciò che mette in scena tale da farsi perdonare anche certe sbavature o prevedibilità che indugiano su una situazione cristallina, vivida, vitale e commovente.

Paradiset Brinner – Trailer



PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Tre sorelle adolescenti vivono sole in un sobborgo operaio svedese, arrangiandosi con gioia, disperazione, amore e libertà: fanno amicizia con una vicina che diventa la loro madre adottiva e cercano di scappare ai controlli dei servizi sociali. Piccole Donne in Svezia, libere, disperate e sorelle, ritratto vivido di una perdita di innocenza, in cui l'innocenza non è mai stata tale in partenza. Senza retorica, nè infelicità, uno squarcio di vite pulsanti, emotivamente dense, interpretato da un cast in ottima parte.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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