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One second – la recensione dell’ultimo travagliato film di Zhang Yimou

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Dopo una prima apertura al Festival di Toronto, One second, ultima creatura dalla faticosa finalizzazione firmata Zhang Yimou, è stato presentato ufficialmente in concorso alla Festa del Cinema di Roma, dove è stato accolto unanimemente come atto di devozione ed amore per il cinema da parte di un maestro cinese, che come pochi altri ha raccontato cinematograficamente il proprio paese al di fuori dei suoi confini, alternando allineamenti e disallineamenti al regime, storico padre di cult immaginifici e diversissimi che spaziano da Lanterne Rosse ad Hero.

Trama semplice e potenzialmente gravida di significati concentrata nel film oggettivamente più festivaliero degli altri presenti alla manifestazione, rimaneggiato in fase di montaggio, in seguito al ritiro dalla Berlinale del 2019 per supposte traversie in patria legate probabilmente alla censura: forse troppa la povertà descritta in un’epoca che imponeva di splendere sui propri stracci di fronte al nemico straniero.

One second

One second – Trama

One second si svolge in un periodo caro a Zhang Yimou ossia quello della rivoluzione culturale di Mao; due sono le figure protagoniste, un fuggitivo senza nome (Zhang Yi) che scappa dai campi di lavoro forzato, in cerca disperata di un cinegiornale dell’epoca dove per un secondo appare il fotogramma della sua amatissima figlia e Liu (Liu Haocun) un’orfana che ha bisogno della pellicola cinematografica per costruire un lume e saldare cosi un debito contratto dal fratellino. Un incontro beffardo e simbolico di due ladri di cinema, un padre senza figlia e una figlia senza padre, che casualmente si accapigliano attorno alla stessa pellicola in grado di arrecare ad entrambi sollievo.

Le loro rincorse reciproche intercettano la figura leggendaria di Fan (Fan Wei), considerato la massima autorità esistente dagli abitanti della comunità per quanto riguarda la proiezione di un film: il suo non è un mestiere ma un rito, un atto religioso che riunisce insieme la collettività in un’ esperienza di visione condivisa e lo colloca di fatto tra le più alte istituzioni del villaggio. In questa dimensione rurale e comunitaria si sviluppa la ricerca intrecciata del fuggitivo e dell’orfana, come tentativi illuminati, inconsapevolmente ironici e intrinsecamente disperati, di reclamare e trovare un proprio spazio di felicità, in un regime che fa sentire la propria ombra opprimente anche nelle remote province nord-occidentali, distese in braccio al deserto.

20-08-2021 Fotograma de One Second POLITICA AUTONOMÍAS CULTURA ZINEMALDIA

One second – Recensione

One second riunisce e dipinge attorno alla chimera cinema la realtà sociale di un periodo segnante per la storia nazionale cinese: un mondo di contadini e nullatenenti, di poveri e sottopoveri, sudici, affamati, vestiti di pezze o con divise uguali, in movimento tra le proprie catapecchie, le campagne e i deserti tartassati dal vento, pronti a scazzottarsi per nulla, a muoversi a scatti come soldatini sull’attenti alla mercè di un generale lontano e severo, tutte uguali tessere da nulla sotto l’ala ideologica e dispotica di poche teste parlanti.

Questi residui viventi dai volti sporchi di nero carbone, tornano però umani di fronte ad un cineforum rimediato, si animano compatti per l’evento delle loro settimane, anche se o proprio perchè la proiezione prevista è Heroic sons and daughter, un film di massiccia propaganda. Il grande schermo, popolato da immagini, era e resta un fatto sociale e civile, attrae attenzione e richiede rispetto, come mentore politico e non politico, come esercizio di socialità in nuce sana, per una popolazione numerosa e dimenticata, che canta in coro l’inno di stato o si commuove rivedendo un volto caro per un istante infinitesimale di tempo.

One second

In One second  Zhang Yimou sembra dimenticarsi delle animazioni marziali e della fascinazione del colore con cui aveva troneggiato sicuro in molti lavori precedenti (Hero, La Foresta dei pugnali volanti, Shadow), e, come da lui stesso più volte profetizzato, si volge a riabbracciare le origini, le prime ambientazioni dei suoi film, in cui la camera insegue e corteggia gli ultimi tra gli ultimi, gli emarginati della e dalla miseria programmata di sistema, che ovatta e dissipa ogni forma di resistenza. Si abbandonano narrazioni mitologiche ed un’estetica letteraria, per tornare a terra, nel quotidiano storico, fuori quadra ed autentico, un neorealismo beffardo e malinconico, in cui la vita corre sempre in direzione opposta ai propri desideri.

La dimensione umana dei rapporti è incompleta, deviata, in qualche modo sacrificata, monca di una certa parte significativa, una perdita d’amore, una mancanza di realizzazione, una famiglia divisa, un sentimento non corrisposto, una sicurezza mancante, un’ingiustizia subita, una ferita non recuperabile, una caduta da cui non ci si libera, un abbraccio che non arriva.

Eppure le tonalità di questo quadro filmico non assecondano il tragico, ma spesso se ne distaccano con ingenua ironia, con la semplicità di momenti quasi comici, chapliniani è stato detto, che rendono poeticamente buffo il dramma, trasfigurando il neorealismo puro in umorismo quasi infantile, inaspettato, capace, contro ogni pronostico, di rendere più amaro il dramma e più vicini ai cuori i due protagonisti.

In questo spazio geografico, storico ed umano, che sembra collimare in se stesso, come una zattera nell’universo sordo, solo il cinema ha un potere vitale, democratico e paritario: scuote coscienze, le forma nel bene e nel male, guida, stupisce, distrae, evoca, unisce, rispecchia chi ha bisogno di vedersi rappresentato, un appuntamento libero con il respiro, l’identità, il sogno, che in una sala, per quanto arrangiata, si ripete affollato in modo sempre uguale, un’inedita certezza in un luogo di precarietà esistenziale.

One second

Così One second indugia sugli incantamenti delle ombre cinesi fatte comparire dai bambini sul telo del cineforum, sulla cura maniacale nel salvare artigianalmente una pellicola sporca di sabbia e fango, sugli sguardi rivolti alla grandezza delle figure proiettate, sul dolore moltiplicato del tradimento con cui la storia e le storie infliggono ferite a chi ha creduto di essere incluso, ma non c’è riuscito e sullo straniamento nel non riconoscersi in un posto, in un luogo, in un’immagine, in un rapporto.

One second Cast

L’orfana e l’esule sono i due antipodi complementari di una calamita che va oltre il sociale: attraversano la miseria umana restando in piedi, con la grazia sconosciuta di una fisicità emblematica e nostalgica, dolce fumetto per chi oggi non saprebbe immaginare un tempo come quello in cui ci si diceva grandi sopra il niente: una cartolina, un’illustrazione che vede nei protagonisti quasi sagome teatrali, dalle sembianze archetipiche dei “brutti, sporchi e buoni”, inclini al disastro, ma con la leggerezza di chi saprà rialzarsi dalle macerie senza avere tempo di portare rancore.

One second

One second imperfetto, commovente, oggetto irrisolto e magnetico, assemblato di testa e pensato di cuore, possiede la fascinazione del semplice che attraversa la gravità senza farsene ferire, tra il blu dei deserti ventosi, il bianco sporco della sabbia e delle pareti, la luce lunare di esterni notturni, talvolta sovrapposta al buio della sala illuminata dal raggio della proiezione: come la luna catapulta a sé lo sguardo, così il riverbero del film ferma il tempo e guida la visione. Un ottimo modo di esprimere il proprio amore.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Un esule dai campi di lavoro e un'orfana si contendono la stessa pellicola: lui per rivedere il volto dell'amata figlia, lei per liberare se stessa e il fratellino da un debito. Zhang Yimou lascia i pugnali volanti, torna alla Cina rurale della rivoluzione culturale e dichiara la sua devozione al cinema: gli costa la censura, ma poeticizza una passione, sbanda dal neorealismo al chapliniano con l'autenticità di un artista innamorato. Semplice, denso, disarmante.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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