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Mommy, la recensione del film-consacrazione di Xavier Dolan

Un’originale riflessione sul rapporto madre-figlio e la società che li circonda

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Era il 2014 e un giovanissimo Xavier Dolan (recentemente apprezzato per La mia vita con John F. Donovan e Matthias & Maxime) era pronto a stupire il mondo del cinema con il suo Mommy, pellicola capace di aggiudicarsi il Premio della Giuria della 67esima edizione del Festival di Cannes, in un clamoroso ex-aequo con Adieu au langage del maestro Jean-Luc Godard.

Mommy riuscì a spaccare a metà pubblico e critica (in Italia fu la prima pellicola del regista canadese a essere distribuita), tra chi trovò l’opera potente e d’impatto e chi invece a considerò inconcludente. Ma a colpire più o meno tutti fu la cifra stilistica estremamente originale di Dolan, capace di stupire con un formato quasi inedito (utilizzò un 1:1, che rende la porzione di schermo utilizzata quadrata) e un’interpretazione degli attori maestosa.

Mommy, la trama

In un futuro prossimo (la pellicola è come detto del 2014 e il film è ambientato nel 2015) in Canada viene varata una legge, la S-14, che permette alle madri di figli estremamente “difficili”, che versano anche in condizioni di ristrettezza economica, di affidarli a ospedali psichiatrici senza troppa burocrazia. Il tutto a carico dello stato.

Mommy racconta la storia di Diane “Die” Després (Anne Dorval), una vedova in difficoltà col lavoro, costretta a riaccogliere a casa il figlio Steve (Antoine Olivier Pilon) dopo che questo ha appiccato un incendio nell’istituto giovanile dove era ospitato. Il ragazzo non ha mai superato la morte del padre, e ha sviluppato un carattere introverso e scontroso. Inoltre soffre di iperattività, tanto che in certi momenti ha delle crisi che gli fanno perdere il controllo, rendendolo estremamente aggressivo e pericoloso.

Inoltre, madre e figlio fanno la conoscenza di Kayla (Suzanne Clément), una vicina di casa timida e balbuziente, con una famiglia dalla quale sembra voler evadere il più possibile. La donna si affeziona ai due e inizia a passare sempre più tempo con loro, fino quasi a fare da “seconda madre” a Steve.

Ma il carattere refrattario del ragazzo che non accetta di crescere e le difficoltà economiche di Diane, costringono la donna a usufruire della legge S-14 e ad affidare il ragazzo a quello che è a tutti gli effetti un manicomio.

Mommy

Mommy, un rapporto madre-figlio che fa da specchio per la società

La storia di Mommy è estremamente semplice, è semmai molto più complesso entrare nel profondo delle questioni e nelle tematiche che Dolan propone. In questo caso il rapporto tra Diane e Steve è centrale nel film, è morboso e disfunzionale, un complesso edipico che si fa via via più drammaticamente intenso. Steve infatti non si fa problemi a palpare il seno della madre mentre balla sensualmente con lei sulle note di On Ne Change Pas di Céline Dion, oppure arriva addirittura a baciarla promettendole di esserci sempre per lei. È come se Steve non conoscesse i limiti di un “normale” rapporto madre-figlio, tanto da rendere le sue azioni quasi innocenti.

In realtà Dolan non vuole soltanto mostrarci uno spaccato della vita di questi due personaggi, ma lo sfrutta per fare una riflessione più grande sulla società che lo circonda, incapace di affrontare le difficoltà di un ragazzo problematico, e che propone come unica soluzione il ricovero in una struttura che ricorda tanto un carcere.

Una critica alla figura genitoriale

Si può anche percepire anche una certa critica alla figura genitoriale, in questo caso singola, che risulta incapace di tenere le fila della sua famiglia e di gestire un figlio come Steve. A rafforzare questo punto di vista ci pensa anche Kayla, personaggio enigmatico fin dall’inizio quando ci viene mostrata dall’altra parte della strada, quasi come se si trattasse di un altro mondo. Ma col passare del tempo i suoi attraversamenti da un lato all’altro diventano sempre più frequenti, arrivando a passare sempre più tempo con Steve e Diane e sempre meno con la propria famiglia.

Questo perché anche Kayla è alienata dalla società che la circonda e si trova più a suo agio con un contesto disfunzionale come quello dei suoi vicini piuttosto che col marito o con la figlia. Inoltre, nonostante le venga chiesto più volte, Kayla non rivela mai la ragione per cui è andata via dal Québec, ma lo spettatore percepisce che la motivazione possa essere collegata proprio alla sua famiglia (e all’evidente oppressione che la donna subisce).

Mommy, una colonna sonora strepitosa

Una delle caratteristiche principali di Mommy (e per la verità di buona parte della filmografia di Dolan) è una cura maniacale per il comparto sonoro. Ad esempio, il regista lascia in sottofondo quasi sempre dei rumori sporchi e disturbanti, che accompagnano molte scene: il suono metallico delle chiavi, quello delle pentole mentre cucinano, il chiacchiericcio della gente (nelle rare scene in cui i personaggi sono in pubblico), il traffico che si trasforma in un brusio costante.

Ma è con le musiche che Dolan dà il meglio di sé: Mommy è costellato di brani su licenza, che spaziano da Wonderwall degli Oasis, a Lana del Rey, alla famosa White Flag di Dido, fino ad arrivare a una versione karaoke di Vivo per lei di Andrea Bocelli e Giorgia, cantata da Steve e dedicata a sua madre. La sovrabbondanza di canzoni, spesso molto conosciute, regala a Mommy i connotati di un videoclip, con alcune scene che vengono scandite da inquadrature e scelte di linguaggio (ad esempio l’utilizzo del rallenty) che vanno decisamente in questa direzione.

Senza che il pubblico possa rendersene conto, Dolan gioca con la musica, alzando e abbassando il volume per enfatizzare determinati momenti o dialoghi. Addirittura arriva a trasformare la musica diegetica in extradiegetica e viceversa, variandone l’intensità a suo piacimento. Un utilizzo originale e audace della componente sonora che comunque risulta estremamente efficace.

Mommy

Mommy, la regia di Dolan

Come detto, Xavier Dolan opta per un rapporto d’immagine inedito, un 1:1 che rende quadrata l’inquadratura e gioca con le regole del cinema, andando a restituire allo spettatore un certo senso di claustrofobia anche nelle scene che teoricamente sarebbero di più ampio respiro. E allora succede che i personaggi vengono quasi sempre inquadrati uno per volta, che alcune parti del corpo vengono relegate al fuoricampo, che addirittura il volto di un personaggio va a scomparire dall’inquadratura, oltre quelle bande nere che mostrano forse la visione limitata della nostra società rispetto a certe storie. Una scelta stilistica che si riesce ad apprezzare solamente dopo un po’, ma che una volta abituato l’occhio risulta sicuramente azzeccata.

Le poche scene in cui appaiono più personaggi nella stessa inquadratura sono anche le più dinamiche, e quasi sempre vengono “mediate” dalla presenza di Steve, il personaggio più libero del film, quello che non accetta di sottostare a certe regole del mondo.

A completare il quadro ci pensa la fotografia di André Turpin (che avrebbe di nuovo collaborato con Dolan due anni più tardi in È solo la fine del mondo) che alle volte satura l’immagine come se non fossimo in Canada, ma in una soleggiata località di mare, mentre altre lascia il quadro slavato, fino ad arrivare alle splendide scene chiaroscurali, spesso notturne, in cui la il buio assume connotati bluastri.

Mommy

Mommy, delle interpretazioni magistrali

Se la regia di Dolan è fresca e audace, il comparto sonoro maniacale e la fotografia cromaticamente d’impatto, la recitazione dei tre personaggi principali non si può che definire “magistrale”. Anne Dorval è incredibile, e riesce a mostrare tutta la profondità del suo personaggio pian piano che il film avanza, come se entrando nell’intimo della vita di Diane fossimo in grado di conoscerla meglio. Ogni espressione, ogni parola, ogni ruga del viso voluta o non voluta ci colpisce forte e rende perfettamente credibile il dramma di questa donna, divisa a metà tra la paura PER il figlio e DEL figlio.

Antoine Olivier Pilon è altrettanto bravo, pur lavorando su un altro fronte: è irrequieto, problematico, disfunzionale, e odia profondamente una società da cui non si sente tutelato. Le sue battute sono quasi sempre urlate, rabbiose, che ricordano vagamente il Muccino di L’ultimo bacio, come se le parole fossero sempre sulla punta della lingua del personaggio e questo non riuscisse più a tenersele dentro.

Infine è doverosa anche una menzione a Suzanne Clément, più taciturna degli altri due personaggi, ma non per questo meno profonda. L’attrice è perfettamente credibile da balbuziente, e allo stesso tempo, nei rari momenti in cui perde il controllo, arriva quasi a spaventare lo spettatore per il mondo interiore che dimostra di avere. E forse questo è uno dei difetti di Mommy, uno scarso approfondimento del personaggio di Kayla, che forse avrebbe meritato maggiore attenzione.

Mommy, cosa non ha funzionato

Al netto di tante belle cose da dire, Mommy ha anche molti problemi, probabilmente dovuti anche alla giovane età del suo autore che non sembra ancora in grado di dominare perfettamente il linguaggio cinematografico.

Innanzitutto la durata di 139 minuti risulta eccessiva in rapporto a quello che il film racconta, dilungandosi in scene e momenti che probabilmente non sono così utili. E in generale assistiamo a troppi momenti “iperbolici” che sembrano annunciarsi come scene madri, ma che vista la loro abbondanza, perdono di potenza.

Una mancanza di compattezza, specialmente in certi momenti o tra una scena e l’altra, che rischiano di stancare lo spettatore, trascinandolo fuori dal mondo distopico creato da Dolan.

Mommy

Conclusioni

Mommy è un film divisivo e potente, con molti difetti, e tanta voglia di sperimentare sul mezzo cinema. Dolan arriva a dipingere uno spaccato di vita che risulta credibile, che riflette su un rapporto edipico e morboso, ma che allarga la lente d’ingrandimento alla società in cui viviamo e alla sua narrazione dei problemi dei giovani. Un film capace di emozionare e tediare, di colpire forte e sgonfiarsi subito dopo, un film forse incompleto eppure troppo lungo, ma che si può riassumere con la sua scena finale, quella corsa verso la libertà di Steve di cui non conosceremo mai l’esito.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazione
Emozioni

SOMMARIO

Mommy è l’opera con cui Xavier Dolan è arrivato per la prima volta al grande pubblico, aggiudicandosi il Premio della Giuria a Cannes, e stupendo il mondo con la storia di Diane, Steve e Kayla. I difetti non mancano, e in generale questi minano una qualità che complessivamente rimane comunque alta, con alcuni momenti che sono rimasti iconici nel cinema contemporaneo.
Redazione
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