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La isla minima

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Siamo in Spagna, sorvoliamo il Guadalquivir, dalle parti della Isla Minima: c’è un istmo di terra che prova ad abbracciare la riva opposta creando un canale, uno dei tanti che appaiono lungo le rive melmose dello storico fiume; un intrico di verde e strade sterrate, rettilinee e non, disegnano un labirinto multiforme e tentacolare: sono paludi che viste dall’alto, luogo in cui spesso la telecamera si rifugia, ricordano sinistramente la forma di un cervello. E’ la zona andalusa, tra Cordova e Siviglia, che sopravvive nel fango di una provincia brada ed abbandonata, nei cui sentieri misteriosi sono state risucchiate due sorelle adolescenti.

Di Beatrice ed Estrella non si hanno più tracce da settantadue ore: il padre (Antonio de la Torre) pieno di debiti, la madre succube di lui, ma attenta ad ogni dettaglio, la comunità che addita le due giovani come delle poco di buono, la povertà e la vergogna, lo squallido futuro da cui le sorelle volevano fuggire.

La isla minima

Siamo nel controverso 1980: Franco è morto ancora da poco, la penisola iberica stenta a darsi una forma democratica schiacciata dal ricordo di modi e tempi di vita sotto dittatura, dall’intimidazione ancora permanente verso le autorità militari, da pregiudizi e superstizioni paesane e sessiste, da un’atmosfera viziata ed omertosa che non offre confidenza a stranieri e polizia e che china la testa chiudendosi nella propria miseria quotidiana e domestica.

A risolvere il caso, vengono spediti dalla capitale due agenti, Pedro (Raul Arevalo) e Juan (Javier Guitierrez Alvarez), opposti come il giorno e la notte: il primo giovane, idealista, impulsivo,futuro padre, con un articolo di giornale ha pestato i piedi ad un superiore non particolarmente amante della democrazia ed eccolo ricompensato con un allontanamento da Madrid e un caso scomodo nella selvatica provincia; il secondo più navigato, sicuro di sè, ama donne, buon cibo e, se vuole, usa modi molto spiccioli, ha un passato nella brigata politico-sociale di Franco, una sorta di gestapo spagnola, trai i segreti che porta con sé ci sono uccisioni, torture, esecuzioni di ordini arbitrari del proprio padrone senza batter ciglio ed una malattia che gli toglie giorni progressivamente e senza rimedio.

La isla minima
Rodaje de la pelicula Isla Minima de Alberto Rodriguez Produccion Atipica Films

Questo inaspettato duo deve indagare, trovare il colpevole e riportare a casa le giovani, in breve tempo e facendo meno rumore possibile. Ma i cadaveri delle due, torturati e violentati, riemergono proprio dalle acque del fiume e con loro viene a galla una scia di ulteriori sparizioni, abusi e probabilmente uccisioni, sofferte da altre donne in un passato prossimo in cui nessuno ha denunciato e in un presente vicinissimo dove esiste una prossima vittima a rischio.

Alberto Rodriguez dirige un poliziesco/noir d’ambientazione, con gusto personale ed intelligenza non accontentandosi di trama e meccanismi di genere: lascia affiorare dallo sfondo della sua creazione il confronto politico su un’epoca contraddittoria e difficilissima del suo paese, di cui ancora non è terminata la digestione; ma lo fa con la necessità di additare i riflessi confliggenti non ancora rimarginati e ripartire. Ciò senza nulla togliere alla tensione ed ai singoli ingredienti del film che restano amalgamati in modo classico, ma funzionale e danno lezioni di eleganza ed incisività; non a casa La Isla Minima ha conquistato nel 2015 dieci premi Goya, tra cui miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista (Guitierrez Alvarez), migliore sceneggiatura originale, miglior fotografia.

La isla minima

C’è la dimensione rurale, lo scontro tra poliziotti antitetici, la memoria di un passato non condiviso che crea attrito epidermico, un ambiente che di quel passato è ancora schiavo, un killer che sembra fagocitato dalla polvere e dalla vegetazione di una palude senza tempo, come fosse una presenza più che una persona in carne ed ossa, il fantasma della storia che trasla da ieri ad oggi, c’è il senso della vita di un paese in trasformazione e dei volti che assume durante questa faticosa metamorfosi: sono tutte caratteristiche presenti nel lavoro di Rodriguez che riecheggiano alcune atmosfere tematiche di True Detective, o di opere come Zodiac, marchiate dagli spazi e dalle abitudini umane con cui si rapportano, dal pensiero che ispirano con le proprie dinamiche, dove non conta la prova della verità o la faccia dell’assassino, ma il processo ed il tempo impiegati per arrivarci.

Nella caccia o nell’inseguimento sono più importanti le scoperte collaterali che non quelle principali e il quesito in ballo qui è l’identità: di un serial killer, di un poliziotto, di un genere vivente, di uno Stato. I due protagonisti sono l’agente buono e quello cattivo, ma non sempre, non è detto, forse sì, forse in un’altra epoca Pedro sarebbe stato il ragionevole e Juan l’aggressivo, ma compararli e categorizzarli è complesso e distraente, così come lo è fare processi alla storia; c’è il tempo di mezzo, la rivoluzione, il dispotismo governativo, anni di soprusi, di inciviltà, di censura e di morte, quella vicina e quella lontana, con cui si colma la misura tra l’eterno e le piccole vicende umane che si dibattono nelle acque sporche del Guadalquivir.

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Scoprire la verità sullo sciagurato delitto, così orribile e doloroso, è chiedere i conti a cosa è stato in Spagna in quegli anni e cosa ne è adesso, dopo tirannie ed arbitri che hanno inginocchiato molti innocenti con sogni comuni di libertà e felicità senza rialzarli più; si parla di barbarie, si fotografa cupezza, ci si interroga su chi sia l’alleato e chi no, si inquadrano coscienze non addomesticate, ideali e ferite di una guerra e si lascia aperto un confronto non domo su un’epoca.

La narrazione si appoggia su una sequenza concatenata, tesa e spiazzante di indagini ostacolate dalla reticenza del villaggio,dalle famiglie omertose che coprono le vergogne compiute per sopravvivere, dalle dicerie con cui si getta più fango sulle morte di quello ritrovato sui cadaveri, dalle autorità faziose che perseguono interessi politico-economico e non umani, dalle agitazioni sociali di lavoratori in sciopero per reclamare i diritti, da una stampa in debito di dignità che pare detenere però un’ultima parola o dubbio su chi sia chi: questo è il terreno smottato in cui fragili e furenti si devono muovere Pedro e Juan, come sospettati tra i sospettati, in un quadro insalubre e sporco, fatto di aria e colori marci, tra campi segmentati e spuri in cui non si vede il confine tra terra, acqua ed erba alta, che camuffa forme e verità, tra i rarissmi caseggiati bianchi, impronta umana di un tempo altro, diroccati e decadenti, fuoriusciti da un’atmosfera messicana crepuscolare di finto far-west.

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Vedute aeree sigillano o introducono spezzoni narrativi, così come voli e apparizioni inaspettate di uccelli dai colori esotici ed immaginari: simboleggiano un luogo da cui ci si vuole allontanare, che si sente di dover lasciare alle spalle: è un passato da dimenticare per andare avanti, una spoglia mortale cui rinunciare per traghettarsi altrove, ovunque ma non più lì.

Questo peso che incupisce i volti in musi di rabbia, inquietudine, paura e pietà, aumenta la carica scenica ed emotiva di ogni singolo attore coinvolto a partire dal bravo Javier Guitierrez che presta il volto al male, stanco ed ammalato a sua volta, fragile e barbarico, impegnato ad esorcizzare la morte e a cauterizzarne il passaggio.

La isla minima

Rodriguez ci ragala un film che è sfogo e cicatrice di una transizione, trapasso di un’epoca; il suo polar ha misura, dolore e malinconia, brilla come onesta metafora di certe responsabilità storiche e degli strascichi che conseguono quando alla crisi dell’identità individuale corrisponde la crisi d’identità di un paese intero.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

E' il 1980 e nei pressi de La Isla Minima, tra le paludi del Guadalquivir, spariscono due adolescenti. Ad indagare una coppia di poliziotti antitetici, tra omertà, sudditanza militare, segreti, corruzione e la miseria sorda della profonda provincia post-franchista. Polar d'ambientazione, elegante, suggestivo e metaforico, sfogo e cicatrice di un'epoca che non si riesce a metabolizzare. Trionfo ai premi Goya del 2015.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.
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