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Gamberetti per tutti

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L’insostenibile leggerezza dei gamberetti, ovvero della rocambolesca partecipazione di una squadra di pallanuoto LGBT agli Gay Games: commedia francese uscita in sala nella breve estate graziata dalla pandemia e che al di là di topos classici sull’integrazione, dinamica ipertradizionale della sceneggiatura, tanto folklore più o meno gradevole, lascia intravedere con coraggio mai sufficiente la possibilità di trattare della discriminazione sessuale senza risparmiare i colori ed i clichè di quell’immaginario e mantenere viva l’effettiva natura contraddittoria di tante piccole, medie e grandi intolleranze, non solo esterne, ma anche fisiologicamente endogene all’ambiente, che rendono controversa, plurisfaccettata e non priva di auto sabotaggi la questione dei diritti e delle libertà dell’universo omo/trans-sessuale.

Gamberetti per tutti

A darne prova con leggerezza ingenua, non troppo malvagia ed indole pop a tema, un po’ meno ingenua ed un po’ più malvagia, il duo Maxime Govare e Cedril Le Gallo, al loro primo lungometraggio, che ha per ispirazione un soggetto reale, poiché la squadra di pallanuoto composta da atleti gay esiste, si chiama esattamente Gamberetti scintillanti, e Le Gallo ne è stato di fatto membro. L’unione di una verve comica all’originale esperienza personale su campo, producono la storia di una squadra fuori dagli schemi, spontaneamente variegata, composta da giovani e meno giovani ognuno con un proprio vissuto omosessuale specifico ed ovviamente problematico, un gruppo affiatato che ha il piacere di ritrovarsi negli spogliatoi e di condividere sensazioni, esperienze, disagi e pensieri con chi può concretamente comprendere, senza timore di pregiudizio o fraintendimento.

Simili in lotta quotidiana con alti e bassi dovuti alle rispettive condizioni individuali, sposati con figli e marito, malati che scacciano la morte, giovani esasperati o bullizzati, adulti disamorati e cinici ed un trans con l’animo da coreografa, un purgatorio d’anime che cerca di darsi entusiasmo e forza nel quotidiano tramite l’evasione sportiva, vite che ritrovano armonia in piscina e che fibrillano all’unisono per un solo grande sogno, partecipare ai gay Games della Croazia, sorta di olimpiadi per atleti LGBT, e vincere per attestare simbolicamente l’esistenza, la libertà e la dignità di “quelli come loro”. A guidarli Matthias Le Goff (Nicolas Gob), ex campione del mondo di nuoto, tacciato di omofobia per un’infelice strafalcione televisivo, costretto dalla federazione a farsi perdonare agli occhi dell’opinione pubblica allenando proprio una squadra lgbt: non certo il suo sogno, ma questa è la pena da scontare per ottenere di essere ammesso alle qualificazioni di quelli che, vista l’età, potrebbero essere i suoi ultimi mondiali. Dunque un cattivo geniale ed un gruppo di emarginati entrambi in cerca di riscatto: niente di più facile da far avverare in un film in cui i due poli antitetici si scrutano, si attraggono, si respingono, fino ad abbracciarsi orgogliosamente.

Gamberetti per tutti

In effetti entrambe le posizioni, quella di Matthias e della squadra, sono vittime di una prospettiva falsata, che mette in mostra, a ben vedere, l’ipocrisia latente della società in cui abitano; da una parte c’è un uomo, particolarmente concentrato su se stesso, atleta rude, marito fallimentare, padre disattento, probabilmente non fan della causa omosessuale, ad un pelo dall’essere realmente omofobico, più per incapacità di affrontare e gestire ogni questione che non riguardi la propria carriera che per convinzione ideologica. Ad un simile individuo viene proposto di pulire la coscienza con un lavoretto, potremmo dire, socialmente utile, affinchè l’opinione pubblica non pensi male, non ritenga che la federazione si disinteressi dell’integrazione di determinate minoranze: poi se effettivamente quel pensiero permanga nella mente di uno degli sportivi rappresentanti della stessa conta poco. Una soluzione di facciata, per dare soddisfazione al pubblico, un contentino d’opportunità per sottolineare che chi sta dall’altra parte degli schermi o ai vertici delle decisioni è sempre il buono.

Invece gli scintillanti Gamberetti sono i primi ad auto isolarsi, a celebrare la loro diversità, a provocare chi non li considera, a dimostrare che sono diversi e non uguali, inseguendo e sfoggiando un atteggiamento che di per sé ne fa fenomeno: viaggiano su un bus con tanto di bandiera arcobaleno, trasformato in un’esuberante discoteca a cielo aperto, gli stessi gay Games sono una trovata che consacra e sbandiera un’immagine minoritaria, una quota di mondo reclama il suo posto facendolo in una manifestazione per pochi; non sono una questione sociale, sono un fenomeno, ci sono le olimpiadi per tutti, e quelle per quelli come loro; è un pensiero discriminatorio in sé.

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E così nel film ci sono, anche se spesso non sviluppati fino in fondo, una serie di riferimenti a linguaggi, modi di dire o di pensare che i gay tra loro possono permettersi, ma che sono inammissibili se pronunciati dagli etero: una sorta di razzismo capovolto, per cui l’intolleranza non è solo contro gli omosessuali, ma anche da parte degli omosessuali verso gli etero, verso i trans colpevoli di abusare della chirurgia estetica, verso i gay che eccedono, verso quelli che non lo fanno, verso chi si finge troppo normo etero con famiglia e matrimonio al seguito. Una piccola comunità intossicata, da anni di persecuzioni (in primis quella tedesca in pieno olocausto che viene ricordata nel film in un momento di demotivazione generale), che si auto intossica, riproducendo in piccolo l’odio e l’acredine ricevute dalla storia. La stessa parabola di Matthias è quella di un “cattivo” da redimere, da re-integrare, guarda caso.

Sono qui rappresentati, non troppo (purtroppo) consapevolmente, i limiti intrinseci ed ineliminabili di ogni microcosmo sociale, le storture, le prassi discriminanti e i grandi-piccoli autogol di una lotta che mentre para i colpi discriminanti dell’esterno, ha ancora molta disciplina da imporsi all’interno. Peccato che questo coacervo di riflessioni non scontate, non siano approfondite nel film, ma vengano gettate casualmente in pasto allo spettatore, frastornato dal ritmo frenetico stile videoclip con cui si montano le vicende, che incappano in problematiche di spessore troppo facilmente bypassate, da cui, invece, potrebbero partire approfondimenti interessanti sui singoli personaggi. Resta spesso un nulla di fatto, un elenco di banali e celeri pit stop e l’assenza di snodo maturo per conflitti che pur nascono, ma che si preferisce risolvere facilmente, azzerando la riflessione connessa, forse nell’infondato timore di perdere il tono della commedia. Conta più la piscina di Lellouche in 7 uomini a mollo, per citare un film che sempre nella competizione acquatica trova il giusto riscatto dei protagonisti, che la complessità struggente eppur leggera di un Almodovar qualsiasi.

Gamberetti per tutti

Energici e luminosi i corpi degli interpreti, non perfetti, ma audaci ed orgogliosi di esserlo: a ribadire la qualità easy di tutte le storie incrociabili nel lungo tragitto verso i gay Games, una colonna sonora sfrontatamente pride, con tanto di balletti dal vivo in stile musical, che ancora una volta rendono evidente una diversità ostentata e non una desiderata integrazione. Così perde cartucce una commedia, annegata nel folklore di genere, ciecamente leggera, quasi ignara di toccare contraddizioni appartenenti non solo ad un microcosmo specifico, ma anche al macrocosmo che la contiene: eppure la similitudine tra rispettive controversie rende le realtà di cui si parla più vicine e meno nemiche.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Ex campione del mondo di nuoto, per farsi perdonare frasi omofobe in diretta tv, deve allenare una squadra di pallanuoto lgbt per i Gay Games. Commedia sulle discriminazioni, i razzismi capovolti insiti nella lotta per l'integrazione e sulle contraddizioni di ogni intolleranza. Montaggio da videoclip, poca profondità, molto folklore pride, per una classica storia di riscatti, depotenziata della sua carica pur spontanea di riflessione.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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