Già presentato nella sezione Un Certain Reguard dello scorso Festival di Cannes dove ha riscosso meritati successi, approda ad Alice nella Città, all’interno della 19. Festa del Cinema di Roma, Flow – Un mondo da salvare, la seconda opera del regista lituano Gints Zilbalodis.
Prodotto da Lituania, Francia a Belgio, il film, a brevissimo in uscita in sala, delinea indipendenza creativa, padronanza tecnica e un carattere intelligentemente autoriale che fa dei suoi elementi basici, tratti evocativi. Flow è un lungometraggio animato che non rientra nei classici esemplari cui il pubblico è abituato: non ha il piglio sfacciato americano, né la cura maniacale del disegno giapponese.
Al contrario mostra un’animazione essenziale, povera, elementare nei dettagli e nelle luci, in cui si privilegia lo spazio rispetto al soggetto, restituendo un impatto onirico sia sul piano visivo che narrativo.
Tematicamente Flow riflette sul valore del rapporto con gli altri, soprattutto nelle difficoltà, sulla fede nella propria identitá, sulla curiosità come arma vincente, per sconfiggere disfattismo, abbandono e dispersione di sé, dell’altro e dei luoghi che abitiamo.
Flow – Un mondo da salvare: Trama
Un gatto nero si aggira in un bosco. Salta tra i cespugli, dorme nel letto di una strana casa in legno abbandonata, fa zig zag tra misteriose statue di gatti, ruba un pesce ad un gruppo di cani affamati, fuggendo agilmente via. All’improvviso l’acqua invade la terra: prima c’è un’onda, forse anomala, poi un fiume straripa, poi il suolo si allaga, diventa palude, poi pozzanghera, poi lago, poi mare. La terra si sommerge ed il gatto prova a salvarsi.
Un post-finemondo allagato, senza uomini, con statue e animali
Si ritrova su una barca alla deriva assieme ad un capibara, un grande airone bianco, un lemure raccoglitore compulsivo di oggetti ed un branco di cani, buoni ma rumorosi. Inizia così il viaggio attraverso un mondo, che forse era il nostro, forse è il nostro, forse non lo è, un altrove, non tanto altrove, alluvionato, disperso, allegorico e bellissimo.
Flow – Un mondo da salvare: recensione
Colori smeraldi e vividi, in una natura ribelle, capovolta, ipnotizzante, grandiosa, in qualche modo libera e non più contaminata, in cui le glorie del passato sono enigmatici monumenti di uomini e animali, enormi ed impotenti, ombre dell’esistenza che fu, ma anche presagi di ciò che si potrebbe ricostruire.
Vestigia di città sacre e splendide sono isole in mezzo al mare unicum, costruzioni intraducibili che affiorano sopra il pelo di una marea in continuo aumento. Lo sbigottimento di fronte a questo stravolgimento e a come questa mutazione abbia modificato lo scenario familiare è tutto negli occhi del gatto protagonista.
La sua meraviglia è la nostra responsabilità: toccare con corpo vivo cosa l’incuranza ecologica, la mano umana scellerata, o anche solo una palingenesi onirica che forse temiamo e desideriamo, hanno determinato, è l’oggetto di questo fluttuare-Flow.
Odissea animale non antropomorfizzata attraverso il disastro
Si fluttua, infatti, tra i moti dell’acqua a volte cristallina a volte tempestosa, si nuota a fatica tra una natura che si reimpossessa di sé, cercando di comprenderla, di non intralciarla e di sopravvivere. Così il mondo animale dimostra la sua saggezza e la cooperazione di fronte alle imprevedibili avversità del proprio habitat irriconoscibile, spaventoso, extra-ordinario.
Gli animali sono compagni solidali pur mantenendo ognuno difetti ed imperfezioni di nascita, navigano con spirito di solidarietà nelle burrasche che si abbattono su di loro, tendono una mano, ricambiano favori, assistono alla rivoluzione di questo nuovo pianeta con spirito darwiniano.
Film senza parola, solo comportamento animale e musiche
Flow, come il precedente lavoro di Zibalodis, non contiene parola, non ha dialoghi, è muto; non antropomorfizza gli animali, non li rende copie paciose di esseri umani, ma li ritrae per come sono, dopo un attento studio dal vivo dei singoli soggetti scelti come protagonisti.
Non si dice nulla, ma si comprende tutto ciò che accade, a livello fattuale e a livello emotivo: smarrimenti, rincorse, terrori, sbalordimenti, compromessi, ritrovamenti, collaborazioni, mentre tanti perché restano sospesi ad onde insidiose eppure leggere che mangiano tutto il panorama. Flora e scenari acquatici sono primi attori nelle lunghe inquadrature che aumentano l’immersività dell’esperienza.
Alberi, fronde e foglie emettono una musica continua che invade la scena come costante fissa, imprescindibile, a tratti consolante, a tratti inquietante. Pesci ipercromatici sguazzano in tutta l’acqua, stelle luccicanti su alture misteriose fanno da lucciole-guida improvvisate nel cuore della notte, una notte che è interiore ed esteriore.
Flow inscena una piccola società di mutuo soccorso e reciproca amicizia, tra animali naufraghi che non lasceranno, chi prima chi poi, nessuno indietro, e affronteranno l’ignoto con gli occhi saldamente piantati in avanti, come se fosse loro compito agire solo e soltanto così. Una buona copia della società degli uomini, che qui non compaiono mai, forse sono spariti per sempre, forse non sono ancora arrivati.
Sicuramente Flow è un viaggio fluido costellato di incertezza, stupori, code tra le gambe, fughe in avanti, stop e ritorni, colmo di grazia cromatica ed inventiva tematica, capace di trasportare il pubblico nella sua dimensione post-apocalittica ovattata e di farla apparire non così devastante come l’estinzione di tutte le cose, da molti, molto ripetuta, sembra necessariamente essere. “Un’altra distruzione” è quindi forse possibile.