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Eli, la recensione dell’horror originale Netflix

C’erano tutte le carte per assistere all’ennesimo, prevedibile, horror poggiante su stereotipi visti e rivisti: un bambino al centro della vicenda, un’isolata magione immersa in una natura nebbiosa e inquietanti presenze, apparentemente coetanee del protagonista, a caratterizzare la componente sovrannaturale. E per buona parte della durata Eli rispetta in pieno il prevedibile canovaccio, salvo poi ribaltare il percorso predestinato con un colpo di scena che è anche un vero e proprio cliffhanger rivoluzionante quanto osservato in precedenza. L’irlandese Ciarán Foy, già autore del sottovalutato Citadel (2012) e del sequel Sinister 2 (2015), sa come gestire il materiale narrativo a disposizione e, pur con una regia molto classica, riesce a infondere il giusto mix di mistero e paura ai cento minuti di visione, trovando sempre il modo di rendere l’insieme registicamente interessante anche quando poggiante su soluzioni abusate. Il film, prodotto da Paramount senza mai venire distribuito nei cinema, è stato acquistato da Netflix che ora lo propone come originale nel proprio catalogo filmico, un’aggiunta che non potrà che rendere felici i numerosi appassionati del filone abbonati al servizio di streaming.

Eli

La storia inizia con un incubo del giovanissimo protagonista, l’Eli del titolo, un bambino affetto da una rara patologia che gli impedisce di trascorrere il tempo all’aria aperta: qualsiasi contatto con l’esterno gli risulterebbe infatti fatale, con enormi bruciature che assalirebbero il suo corpicino inerme fino alla morte. I genitori del piccolo, Rose e Paul, stanno cercando da anni una cura e sono quasi finiti sul lastrico per le ingenti spese mediche da sostenere; l’ultima speranza risiede in una clinica, sperduta nel nulla, gestita dalla dottoressa Horn, i cui metodi rivoluzionari potrebbero forse guarire una volta per tutte il figlioletto. La struttura, che alla sua entrata ha una vera e propria camera di decontaminazione dall’aspetto fantascientifico, è accogliente e sembra il posto ideale per le varie sedute terapeutiche che il paziente dovrà sostenere. Fin dalla prima notte dal suo arrivo Eli comincia a notare inquietanti presenze di provenienza spiritica all’interno della sua camera, le quali oltre a spaventarlo paiono volergli lasciare un messaggio da decifrare. Nessuno però gli crede, se non una misteriosa ragazzina dai capelli rossi con cui comunica all’esterno dal vetro di una loggia a pianterreno, mentre medici e genitori sostengono che le sue “visioni” siano causate dagli effetti collaterali dei medicinali assunti. Giorno dopo giorno, mentre le varie operazioni diventano sempre più brutali e dolorose, Eli comprende che l’equipe sanitaria gli stia nascondendo macabri segreti e decide di vederci chiaro prima che sia troppo tardi.

Eli

La sceneggiatura di Eli, scritta a sei mani da David Chirchirillo, Ian Goldberg e Richard Naing, sa come e dove colpire, disseminando indizi qua e là (su tutti il legame palindromico tra il nome del protagonista e lie, cioè bugia in inglese, fondamentale ai fini della storia) salvo poi optare per il risvolto meno prevedibile allo stato filmico dei fatti, ma non per questo meno coerente. Tra rimandi ad un grande classico del cinema horror come Il presagio (1976) e ambientazioni / atmosfere che possono riportare alla mente quelle del mai troppo citato Fragile: A ghost story (2005), l’operazione avvince e convince facendosi forza proprio sull’intelligente utilizzo dei cliché tipici del cinema del terrore: dagli specchi che mostrano spaventose entità non umane a i respiri sui vetri a sottolineare presenze esterne non tangibili, Foy è bravo a trasformare i potenzialmente facili jump-scare in costruzioni paurose più complesse e organiche, figlie di una tensione sotterranea che non abbandona per un attimo lo spettatore fino all’apocalittico finale, nel quale tutte le domande avranno infine le giuste risposte.

Eli

Certo qualche forzatura in fase narrativa è evidente e non tutto risulta propriamente verosimile, ma l’utilizzo della limitata location e del ristretto parterre di personaggi principali, tutti all’interno di un singolo spazio chiuso (breve epilogo escluso), permette di creare la corretta tensione, sia drammatica che di genere, con una discreta cura anche nei rapporti interfamiliari destinati a deflagrare nel corso dei sempre più concitati eventi. Merito questo di un cast popolato di facce giuste al posto giusto, con la Kelly Reilly di Eden Lake (2008) nei panni della madre affranta, Lily Taylor in quelli della subdola dottoressa e la giovane Sadie Sink (la “rossa” di Stranger Things) quale misteriosa presenza esterna ad accompagnare più che degnamente l’ottima performance di Charlie Shotwell, bambino emergente già visto in opere del calibro di Captain Fantastic (2016) e Il castello di vetro (2017) qui alle prese con una performance intensa e matura che gli permette di variare su diverse sfumature nel progredire della trama. Eli si rivela così un film incalzante e appassionante che, pur al netto di qualche imprecisione e di un plot parzialmente derivativo, offre sane emozioni al relativo target di riferimento.

Voto Autore: [usr 3,5]

Maurizio Encari
Maurizio Encari
Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.

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