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Un silence – Recensione del film premiato per la miglior regia alla Festa del Cinema di Roma

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Un silence – Tema ed Estetica

Un silence del belga Joacuim Lafosse è il film vincitore del premio alla regia all’ultima Festa del cinema di Roma, opera livida ed ellittica, situazionale e magmatica, che inquieta e lascia riflessioni acute e dolorose sull’impossibilità di venire a patti con determinati drammi, sull’inesigibilità e l’inaccessibilità di certi rimossi.

L’opera stigmatizza il suo titolo, ovvero il silenzio, autorendendosi un film non agevole da seguire. Inizia disturbando la linearità della comprensione, chiedendo attenzione su alcuni dettagli, senza svilupparli, gettando il sasso e nascondendo la mano.

L’inaccessibilità di certi rimossi e l’atmosfera sempre livida

Si omettono nomi e cognomi, persino le parentele tra singoli personaggi non sono subito chiare, come se qualcosa proveniente da lontano ammantasse tutto il dicibile.

Questo non detto ha cognizione di causa e si muove attorno ad un ingombrante, intollerabile peccato, una minaccia mai veramente sopita, via via più inesprimibile, che genera e protrae il silenzio del titolo, aggravandolo nella sua mostruosità tacita.

Un silence 1

Come in una tragedia greca il sangue è predetto, descritto, ma non è mai evento accadente in scena, per cui la ferità c’è ma non si vede, l’animale ferito anche.

Un silence – Trama

Quest’ultimo è sicuramente Francois (Daniel Auteuil) avvocato di successo, impegnato da cinque anni a rappresentare in aula una famiglia che ha visto le proprie due figlie morire per mano di un pedofilo.

La sua condotta battagliera, le sue accuse al sistema giudiziario che fa uno scandaloso ostruzionismo verso il procedimento per motivi di convenienza politica, l’ardore con cui mantiene vivo il dibattito mediatico su una vicenda terribilmente delicata, lo porta ad essere costantemente in prima linea, sovraesposto ad ogni minima mossa falsa, con giornalisti assiepati di fronte casa, pronti “al sangue”.

Questo è il suo stress, stress che si abbatte su di lui anche nella vita privata: Astrid (Emmanuelle Devos) la moglie, parla poco e finge bene di godersi una vita da tranquilla (meglio indifferente) moglie altolocata, mentre Rapahel (Matthieu Galoux), il figlio adolescente adottivo, anch’esso chiuso in un frequente ed ostile mutismo, ostenta una rabbia ed un’ombrosità che vengono da lontano, facendolo deviare da ogni buon andamento scolastico.

Un silence 2

L’altra figlia della coppia vive fuori casa, si è sottratta a quella situazione, a quello strano silenzio, anzi, decide che parlerà, rompendo la coltre di immobilismo e tacitamento incerta ed innaturale che governa la sua casa, scoperchiando il vaso di Pandora.

Francois ha violentato il cognato molti anni addietro, ha cercato di curarsi, ma tutti dentro casa sanno che la cura non è riuscita e l’uomo sul suo computer, ogni sera, guarda materiale pedopornografico.

Il difensore dei traditi e lacerati più indifesi, dei bambini, può essere una tale persona? E questa tale persona può vivere all’interno di un nucleo domestico consapevole di quella perversione come se nulla fosse? Si può tornare indietro oltre un passato che schiera e rende irraggiungibile tutto il male da tutto il resto del bene. Fin dove arriva la sopportazione del vincolo familiare?

Un silence – Recensione

Le inquietudini di Lafosse tornano a distanza di due anni da Les intranquilles (2021) suo ultimo lavoro, e viaggiano verso obiettivi superbi, dei quali si tratteggia la tossica proiezione, senza però restituirne un sufficiente materiale nel plot o un bastevole ancoraggio psicologico.

Un silence inizia svelando la sua conclusione e a ritroso ripercorre le nervature di un’instabilità furente ed inespressa, che deve essere affrontata, pena l’esplosione in malo modo, che di fatto accade.

Un silence 3

Ma in questa tematica dalle varie implicazioni, l’opera sceglie di non affondare la lama: la punta taglia quella torta d’incubo, ma non ne raggiunge il cuore controverso. La problematica è quella che esiste attorno a determinati reati, commessi da determinate persone, che vanno incontro ad un inferno solo se hanno determinate credenziali; in caso diverso, diversa sarà la fine della esemplarmente triste vicenda.

L’inizio svela la sua conclusione

E questo non vale solo nella società, ma anche nella famiglia, che è in tutto e per tutto, una piccola società. Così lavorano le paure, creando silenzi domestici su abitudini occulte, di base convincendosi di una “non verità”.

Pedofilia e responsabilità sociale, omissione di controllo, incapacità di studio e contenimento del fenomeno, assenza di piani di soluzioni o exit strategy, omertà cooperante tra simili, tra parenti, tra familiari: c’è un mondo dietro la parola pedofilia, inesplorato e scomodissimo, qui troppo implicitamente digerito.

Costruisce silenzi e abitudini alla non verità

Un silence prova a farci vedere uno spaccato di reazione a questo male, male tutto imploso all’interno delle mura domestiche, già esistente, non spiegato, fortemente fossilizzato nella malcelata normalità di vita della madre, l’unico perno oscillante della situazione, che tenta di far ragionare i singoli pezzi della sua famiglia, di riportarli all’ovile, di parlare dicendo cose e frasi che non sono quelle che andrebbero dette.

Non c’è un fuori tempo massimo per questo tipo di male, non c’è un silenzio che può tenere l’ingombro.

Un silence – Cast

Un silcence è una chiazza scura in un’epoca buia, film di volti-star dalla vibrante presenza scenica sia in primo piano che in figura intera; Auteil e Devos sono iconici al punto che vederli franare su regole insane da loro stesse create e seguite è un piacere.

I nervi si agitano sui volti di una famiglia sconfitta, di padri per bene e mamme per bene che non hanno saputo proteggere la cosa più importante che avevano tra le mani, e che usciranno comunque a capo chino da tutta questa storia, mentre la telecamera li segue copiandone il respiro.

Un silence 5

Non affonda nell’orrore: il male c’è, è sofferto ma non descritto

Lafosse crea un’opera che non risolve e non inventa, galleggia sull’orrore senza mostrarlo, è un classico ed atipico nel suo essere dramma familiare, denuncia sociale e thriller, sciolto nel finale ed irrisolto nell’essenza.

Francois, è un Agamennone contemporaneo, che ha sacrificato la figliolanza per un bisogno/intento personale, che si prepara ad affrontare solo ed accigliato il fato riscossore di vendetta, il quale fa i suoi lunghi e lenti giri, ma non dimentica, non perdona e taglia la possibilità di rinascita.

Il padre è Agamennone colui che compì l’empietà

E’ un uomo braccato da se stesso e dalle sue passioni conflittuali: la volontà di portare avanti il suo difficile lavoro, la necessità di salvaguardare la propria famiglia, l’urgenza di proteggere e, poi, proteggersi, da un figlio, risuonatore di scandali personali, elemento disturbatore e giustiziere di un nido non così perfettamente costruito.

Un silence 6

Rapahel, dal suo canto, è l’Oreste della situazione, antieroe moderno ma dal piglio non meno severo di un protagonista eschileo, straniato e rigettante, un diesel recitativo, che compie la propria ribellione rispetto ad un crimine che, al contrario della condotta qui collettivamente adoperata, non regge il silenzio, in nessun caso.

Un silence è l’odore del male, non la sua cronaca, né le sue conseguenze: in parte affoga nel suo intento, accompagnato da musicalità epiche e una fotografia che mai abbandona il verde del torbido.

Un silence – Trailer

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Francois è avvocato difensore di una famiglia straziata dalla pedofilia, ma nel suo passato e nel suo presente ci sono segreti che lo legano troppo stretto a questo terribile reato e che interessano da vicino la sua famiglia. Thriller familiare che galleggia nell'orrore senza affondare la lama, costantemente livido, dall'epica classica, sulla non accessibilità di certi rimossi e sull'impossibilità di perdonarli.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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