Trasportare un romanzo sullo schermo cinematografico è forse l’impresa più ardua che un regista possa compiere. Se poi il romanzo in questione è uno dei massimi capolavori della letteratura italiana del secondo dopoguerra, allora il progetto assume le dimensioni di una fatica erculea. Ci ha provato, nel 2000, Guido Chiesa, uno dei più istrionici registi nostrani avendo spaziato dal documentario al biopic, dal dramma alle commedie più esilaranti (in ultimo Ti presento Sofia). Il Partigiano Johnny, tratto ovviamente dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, ha partecipato alla cinquantasettesima Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, non ottenendo né uno straordinario successo di pubblico (incasso totale di un solo miliardo di lire), né un degno plauso da parte della critica.
La storia è quella di Johnny, militare intellettuale che dopo lo sbando dell’8 settembre ritorna nella sua città natale, Alba, e che ben presto intraprende una straordinaria avventura come partigiano sulle colline delle Langhe, tra eccidi, freddo e solitudine. Chiesa appare assolutamente fedele al romanzo nei toni e nello sviluppo generale, prendendosi qualche doverosa licenza poetica, come il primo piano iniziale sullo sguardo di Johnny nascosto in una villa in collina in quanto disertore. L’aspetto che più di tutti il regista torinese riesce a mettere in risalto è la complessità del protagonista, interpretato da uno Stefano Dionisi in stato di grazia e scelto appositamente per la sua somiglianza con Fenoglio, di cui Johnny è dichiaratamente un alter ego. Il partigiano può essere tranquillamente definito come un ribelle confuso. La sua naturale propensione all’azione piuttosto che alle parole, va a braccetto con l’ambiguità delle sue idee, non ancora particolarmente formate. Johnny sa quello che non è, e cioè un comunista, e ce lo fa capire più volte nel film, ad esempio quando suo padre viene accusato di vicinanza agli ideali socialisti e lui si stupisce moltissimo. Tuttavia, quando eroicamente decide di prendere la via per le colline per combattere come partigiano, si arruola in un primo momento con le Brigate Garibaldi, composte per lo più da comunisti convinti. Johnny si sente subito fuori luogo ma capisce ben presto che l’ideologia in una guerra come la Resistenza conta poco, e ciò vale per tutti. “Io sono contro i fascisti, il resto non mi interessa” gli risponde uno dei più valorosi partigiani rossi. Questa dicotomia interiore tra quello che Johnny sente e fa, la si riscontra anche sul piano narrativo. Non a caso, dopo una disfatta militare il giovane partigiano si ritroverà a combattere insieme ai Badogliani azzurri, monarchici e conservatori, ed è lì che Johnny comincerà veramente la sua esperienza di partigiano, perché si sentirà più coerente con sé stesso.
L’aspetto che rende il personaggio di Johnny interessante è proprio questa ricerca dell’autenticità in un contesto dove la confusione e l’incoerenza regnano sovrane. Il protagonista è autentico sotto tutti i punti di vista, e proprio per questo intriga lo spettatore e fa colpo su tutti i suoi compagni e superiori. La resa cinematografica di tutto ciò è volutamente essenziale: pochi movimenti di macchina e non molto complessi, un uso della cinepresa tutto sommato standard, un po’ di freschezza solamente nelle scene d’azione, molto ben realizzate soprattutto nella loro aderenza alle leggi del cinema europeo più che allo scontato riferimento agli effetti speciali del war movie americano.
Tuttavia è davvero difficile definire Il partigiano Johnny semplicemente come un film storico. E’ lo stesso Chiesa a fornire la spiegazione di tale concetto. “La storia è uno degli elementi che contribuiscono alla costruzione e alla decodifica di un testo che vive nel presente. E’ nel presente che si vedono e vivono i film.” Con queste parole il regista vuole mettere in chiaro uno dei concetti fondamentali del cinema d’oggi: la chiave di lettura è e deve sempre essere contemporanea allo spettatore, non ai protagonisti. Definire il film in questione come un film sulla Resistenza o sulla lotta partigiana è dunque riduttivo. Certo si parla soprattutto di quello, ma si affrontano anche tematiche attualissime e, per così dire, senza tempo, come la voglia di trovare sé stessi, l’ambizione giovanile e la speranza in un futuro più roseo. Ciò vale anche per la cultura che deve possedere lo spettatore a proposito dell’argomento trattato. Secondo il regista non è affatto vero che chi conosce poco la storia del periodo affrontato non possa apprezzare in alcun modo il film. Sarebbe come dire che chi non è cinese o iraniano non può apprezzare la cinematografia cinese o iraniana, un errore madornale.
Una delle maggiori critiche rivolte al film è stata quella di non essere riuscito a caratterizzare la vicenda di quel realismo sentito che solitamente accompagna le pellicole che raccontano storie di questo tipo. C’è troppa poca suspense, troppo poco coinvolgimento emotivo. Tuttavia per certi aspetti questa scelta, sicuramente molto coraggiosa, è propedeutica all’evoluzione di Johnny, e un certo senso di distacco emotivo è presente anche nel romanzo di Fenoglio. Non si vuole fare un semplice monumento ai partigiani, ma si vuole analizzare in toto la visione che un ragazzo intelligente e non prevenuto come il protagonista poteva avere di tale periodo storico. Tutto ciò senza dare sfogo ad un’inutile quanto scorretta “gara al peggiore” tra i comportamenti fascisti e quelli partigiani. Ne Il partigiano Johnny c’è un giovane uomo, che ha un nemico (che odia) da sconfiggere e che capisce che l’unico modo per farlo è porsi al suo stesso livello, imbracciando le armi con coraggio e con grande dedizione. Non è un caso che vediamo Johnny turbato ogni volta che è costretto ad uccidere un suo nemico, e non è nemmeno una coincidenza che si rifiuti di avere delle relazioni sentimentali prima della fine del conflitto. Quello della Resistenza è un periodo di transizione e Johnny non è uguale agli altri. I suoi compagni cercano in tutti i modi di rendere quanto meno accettabili le loro esistenze andando a feste, flirtando con ragazze, ridendo e scherzando, dando prova di non essere solidali con il periodo in cui sono, loro malgrado, coinvolti. Johnny invece capisce che è necessario sospendere tutte queste attività fin quando la situazione non sarebbe tornata alla normalità. In questo sta la complessità e il fascino del suo animo.
Dal punto di vista interpretativo Il partigiano Johnny si configura come un perfetto mix tra attori di grande esperienza (i vari Umberto Orsini, Toni Bertorelli, Giuseppe Cederna, Claudio Amendola ecc.), e giovani interpreti dal futuro assicurato, come dimostrano i loro successi futuri (Stefano Dionisi, Fabrizio Gifuni, Chiara Muti e Fabio De Luigi). Il risultato è un esperimento molto interessante dal punto di vista attoriale, dato il fatto che la stragrande maggioranza degli interpreti si trovano a recitare per la prima volta ruoli drammatici complessi. Nonostante il non esaltante successo, la pellicola ha avuto e fortunatamente continua ad avere molto successo nelle scuole e nei festival dedicati ai giovani spettatori. E’ infatti un film profondamente educativo e necessario, a prescindere dal suo valore meramente cinematografico. Racconta una storia che tutti dovrebbero conoscere e apprezzare, a prescindere dalle idee politiche, ma di cui, troppo spesso ci si dimentica.
Voto Autore: [usr 3,5]