Sidonie au Japon, presentato nelle Giornate degli autori alla 80. Mostra Cinematografica di Venezia, è una sinfonia di cultura, ricordi, emotività a confronto, concertate allo scopo di elaborare un lutto, una separazione e un’incapacità.
È la storia di due anime apparentemente diverse che scoprono di abitare lo stesso ‘paese segreto’, come lo definisce Sidonie, quello del dolore, della perdita e di una intraducibile, quanto innata, non comunicabilità.
Delicato e sentimentale, verbalmente essenziale, romanticamente saggio, Sidonie au Japon è la terza regia di Elise Girard, che tratteggia con sensibilità femminile e leggera ironia brillante un viaggio esistenziale ed artistico, interiore ed esteriore, utilizzando una linea immaginifica per amplificare il conflitto intimo.
Ciò traduce il lavoro in una linea semplice, libera e nitida, tale da arrivare chiara nel suo messaggio a tutti.
Sidonie au Japon – Trama
Sidonie (Isabelle Huppert) deve prendere un volo per il Giappone, lo vuole il suo editore, in occasione della prima ristampa del suo romanzo d’esordio con cui ha raggiunto il successo. La donna non vorrebbe imbarcarsi, ma il caso ha la meglio sulle sue paure e per lei inizia un viaggio nella dimensione nipponica.
Luoghi, silenzi, educazione, manie, spazi per meditare e raccogliere i propri pezzi. E di pezzi da recuperare Sidonie ne ha molti: la sua famiglia distrutta in un incidente quando era giovane l’ha resa sola da molto tempo, stessa sorte per il marito amatissimo, da poco scomparso. Un vuoto che la lacera progressivamente, spegnendone anche la vena artistica di scrittrice, spingendola in una crisi silenziosa e più profonda di quanto la donna abbia consapevolezza.
In effetti Sidonie in ogni albergo del suo tour promozionale vede il fantasma del marito Antoine (interpretato da August Diehl), che le appare in quell’intimità spezzata che era loro appartenuta, confermando quanto non riesca a lasciar andare le ferite del passato. Ma la figura di Kenzo Misogouchi (Tsuyoshi Ihara), suo editore e guida obbligata del viaggio all’interno del paese del Sol Levante diventa determinante.
Anche lui è un’ anima in transito con un matrimonio in crisi e lentamente scopre di combaciare con gli stessi vuoti di Sidonie. Hanno entrambi le medesime paure, risuonano con le identiche parole, sono una coppia di scalatori di abisso, in salita tacita e apparentemente irrisolvibile.
Sidonie au Japon – Recensione
Tatto gentile, ritmo a volte eccessivamente dilatato, con progressioni statiche e fermi immagini su cose, posizioni, momenti e movimenti particolarmente, incisivi o privati, Sidonie au Japon è la celebrazione di un cambiamento, probabilmente del cambiamento più difficile che si possa raccontare, ossia, il distacco definitivo dalla persona amata. A volte non accade ed è preambolo di estinzione, a volte è metamorfosi, dunque rinascita.
Lo struggimento nostalgico diventa in questo film incontro con una nuova cultura, quella giapponese, in cui la morte è affrontata diversamente, sacralizzata e quasi reificata: non a caso nella tradizione nipponica i fantasmi convivono con le persone vive, e ciò che è e ciò che non è più si ascoltano profondamente.
Il cambiamento più difficile: il distacco dalla persona amata
Questo permette alla protagonista di veder apparire l’oggetto del suo amore strappato, ossia quel marito dagli occhi spalancati e sospesi su un volto quasi mimico, la sua persona preferita, il compagno di gioco, l’essere in grado di capire gli spigoli e le limitazioni di una donna come lei, apparentemente fredda, interiormente travolta dalle passioni.
Le inquadrature intrecciano file di fan in libreria, locali tipici giapponesi, immancabili e splendidi ciliegi in fiore, interni di alberghi moderni o antiche pensioni, e skyline muti e sconfinati, pieni di horror vacui, senza ritorno.
La cultura nipponica dei fantasmi e la reificazione della morte
Chi arriva in questi territori sembra essere destinato a contaminarsi con qualcosa di differente, a trasformarsi seguendo o inseguendo la luce di un intero popolo che, volente o nolente, strega e contagia, interiorizza, ordina e, nonostante l’apparenza, sa leggere il prossimo.
Kenzo e Sidonie si scrutano, si accompagnano, si confessano e si trovano spezzando la barriera della reciproca estraneità, del formalismo di facciata ed anche la legge naturale per cui ogni dolore ti rende solo con te stesso.
Il Giappone terapeutico per la sfera emotiva-amorosa
C’è una fantasia melanconica alla base dei poteri terapeutici del Giappone, come accadeva anche in Lost in translation (2003) della Coppola, un’attitudine all’amore che non è nelle nostre corde, che spiazza e conquista, c’è un abbandono di abitudini che comporta spaesamento e consapevolezza ogni singola volta, nell’immaginario e probabilmente nella tradizione di queste latitudini.
Sidonie vede trascolorare il fantasma del marito, perché smette di restare attaccata al suo ricordo, accettando di essere in crisi creativa rispetto ai prossimi progetti e riuscendo a dare nomi nuovi alle emozioni che l’hanno attraversata e che l’attraversano.
Così la sua penna cambia: prima lei stessa diceva che “La scrittura è l’unica cosa che resta quando non si ha più nulla. E dopo neanche più quella. Dopo non resta niente.”; ora il Giappone rovescia la sua prospettiva e la donna torna a scrivere, trasformando il proprio passato da zavorra in patrimonio.
Sidonie au Japon – Cast
La Huppert, al cui volto la regista ha pensato fin da subito per la storia, ha la presenza scenica adatta per incarnare il paradosso del grande dolore e della finta compostezza, capace di celare e disvelare negli occhi la forza commovente e triste di una metamorfosi dolorosa, ma necessaria.
I suoi compagni di scena sono gli antipodi del comportamento, dal trattenimento alla disinvoltura, dall’implosione alla risata liberatoria, disegnando da est ad ovest un’unica parabola di umanità amante, innamorata ed ascoltatrice.