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Ritorno a Seoul: la recensione

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Disponibile su Mubi, Ritorno a Seoul è diretto da Davy Chou ed è uscito nelle sale italiane a maggio distribuito da I Wonder Pictures. La pellicola era già stata presentata nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2022, e successivamente distribuita nel nostro paese esattamente con un anno di ritardo.

Ed è un’altra gemma del prezioso cinema coreano che non finisce mai di stupire con autori del calibro di Lee Chang Dong e Park Chan Wook tra i vari, soprattutto in questa coproduzione europea ed asiatica. In particolare, la pellicola era entrata nella short list per la Cambogia come miglior film straniero agli Oscar 2023 lo scorso dicembre.

Ritorno a Seoul racconta un vibrante percorso di ricerca interiore e delle origini attraversato da un lasso temporale abbastanza importante nella vita della sua protagonista, la coreana e francese d’adozione Freddie.

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Ritorno a Seoul: il cast

Frédérique “Freddie” Benoît, la protagonista di questo travagliato e commovente viaggio, è interpretata da Ji-Min Park. Il resto del cast è composto da Oh Kwang-rok (padre biologico di Freddie), Cho-woo Choi( madre biologica di Freddie) Guka Han (Tena), Kim Sun-young (zia biologica di Freddie), Yoann Zimmer (Maxime), Louis-Do de Lencquesaing (André), Hur Ouk-Sook (nonna biologica di Freddie), Emeline Briffaud (Lucie).

Ritorno a Seoul

Ritorno a Seoul: trama e recensione

Freddie, 25 anni, è una ragazza alquanto particolare. Imprevedibile e decisa quanto serve, per uno strano scherzo del destino il suo volo finisce in Corea del Sud. Questa è la sua nazione di nascita, perchè da piccola era stata adottata da una coppia francese. Proprio quì inizia il suo vero viaggio di ricerca nei confronti dei suoi genitori biologici.

Ma questo suo percorso si rivelerà più complicato e tortuoso del previsto, diviso tra un padre naturale che risulta alcolizzato e una madre che pare non voler farsi trovare. Il viaggio della ragazza avrà una piega inaspettata soprattutto negli incontri del suo cammino e del suo inevitabile destino.

Ritorno a Seoul risulta simbolico nel suo silenzio e nelle sue attese, dove spesso vengono interrotte da attimi di apparente follia (di Freddie) che arrivano come un fulmine a ciel sereno nella narrazione. Ma è proprio il racconto di un’elaborazione, un lentissimo lasciar andare alle spalle un trauma, Quello infantile della sua protagonista sull’abbandono da parte dei suoi genitori coreani naturali.

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Spazio, identità e relazioni familiari ci presentano Freddie come una protagonista più attaccata alle sue radici adottive francesi che a quelle coreane. Ma la voglia di scoprire, di sapere, sono sempre vivi dentro di lei in questo perenne inseguire un senso di appartenenza che un incontro con i suoi reali genitori, dovrebbe garantirle.

Ji-Min Park

La ricerca delle proprie origini in Ritorno a Seoul

Nella caccia alle sue origini, Freddie si rende conto che la Corea non le fornisce tutte le risposte che cerca. Perchè spesso e volentieri si trova a scontrarsi con il muro invisibile della diffidenza, della burocrazia (del centro adottivo). Ma al tempo stesso in alcune valide amicizie, la ragazza trova il conforto e la motivazione che la spingono ad andare avanti.

Ed è il tempo che delimita questa progressione non lineare della scrittura filmica. Nella passività di Freddie, le sue azioni sembrano portarla sempre di più in un metaforico vicolo cieco, dove i suoi problemi non sembrano risolversi. Emerge una certa incapacità di trovare radici in un paese, che dovrebbe essere il suo luogo di origine.

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Il film ha dalla sua una visione ponderata dove la sua autenticità emerge anche da questo continuo alternarsi di emozioni, rappresentate stilisticamente in maniera cromaticamente differente. Davy Chou ha buon gioco nel farci vedere attraverso gli occhi di Freddie, che sembrano delle fessure sofferenti e richiedenti (amore).

Le dinamiche familiari vengono esplorate con un arco narrativo di circa otto anni, dove se i genitori adottivi restano relegati su un piccolo schermo (la madre) o accennati (il padre, quelli biologici sono tangibili. Il padre naturale, schiacciato dal vizio dell’alcol, si alterna ad una madre che non risponde ai telegrammi della figlia, ma che alla fine decide cosa fare.

Oh Kwang-rok Ritorno a Seoul

Conclusioni

Quello che non può essere controllato rappresenta l’elemento inaspettato nella vita di Freddie. Ritorno a Seoul affronta in maniera abbastanza inedita la ricerca che un essere umano compie quando va in cerca delle sue origini. Gli ostacoli, burocratici, morali e temporali fanno tutto il resto.

La regia di Davy Chou riesce ad essere di supporto nel momento in cui ogni elemento, visivo o sensoriale che sia, accompagna la donna in questo suo continuo tarlo interiore. La bellezza della capitale coreana Seoul, e la frammentazione interna di Freddie, determinano la disgregazione emotiva nella vita della donna.

Quando si affrontano temi delicati come l’adozione, spesso e volentieri molte pellicole mettono in campo il conflitto ideologico fra genitori biologici e genitori adottivi. Ma in questo caso, tutta la vicenda viene affrontata con una sorta di distacco emotivo in questa realtà disperata. Freddie sembra agire con un certo cinismo nella sua vita, soprattutto nella sfera sessuale e sentimentale.

Ma in realtà, è solo disperazione la sua, che cresce nel corso del tempo e la rende glaciale come un’automa nelle sue azioni quotidiane. Nonostante il calore di una famiglia, quella adottiva francese, Freddie non è mai riuscita a darsi pace nella sua ricerca. Ritorno a Seoul offre uno sguardo intimo e reale sia sulla condizione umana e sia sulla nuova presa di coscienza che affronta la protagonista alla fine del suo viaggio.

Il trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Ritorno a Seoul racconta per la regia di Davy Chou il percorso di ricerca che Freddie, una ragazza adottata da una coppia francese, compie in Corea del Sud. L'attrice Ji-Min Park, ben rappresenta la sofferenza interiore della protagonista alla scoperta delle proprie origini.
Francesco Maggiore
Francesco Maggiore
Cinefilo, sognatore e al tempo stesso pragmatico, ironico e poliedrico verso la settima arte, ma non debordante. Insofferente, ma comunque attento e resistente alla serialità imperante, e avulso dai filtri dall'allineamento critico generale. Il cinema arthouse è la mia religione, ma non la mia prigione.

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