Ti piace la Regina?
‘Niente affatto’, disse Alice. ‘È così estremamente…’ Proprio in quel momento, notò che la Regina era dietro di lei, in ascolto, così continuò: ‘… sicura di vincere, che non vale la pena finire il gioco’. La Regina sorrise e passò oltre.
Il riferimento letterario di Queen of Hearts (Dronningen – La Regina), nuovo film della regista danese May el-Toukhy (Lang historie kort, 2015) acclamatissimo dalla critica, è chiaramente “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll.
In una scena che scorre quasi in sordina, la protagonista della vicenda – una perfetta Trine Dyrholm – legge il passo incriminato alle sue due bimbe gemelle sonnecchianti nel letto. La madre di famiglia si chiama Anne: è un avvocato di successo che difende le vittime minorenni di violenze ed abusi domestici. È sposata con Peter, un medico svedese troppo assorbito dal suo lavoro, uomo piuttosto prevedibile di cui in un’altra scena-chiave dirà di “conoscere il sistema”. Insieme hanno una casa impeccabile che sembra uscita dal catalogo di Illums Bolighus, ricca di design scandinavo ricercato ed essenziale, nonché una seconda residenza immersa nella natura più incontaminata, con tanto di laghetto idilliaco di pertinenza.
Peter era prima sposato con una certa Rebecca, con la quale ha avuto Gustav, diciassettenne inquieto che da Stoccolma raggiunge ora il padre in Danimarca e viene accolto dalla sua nuova famiglia con due regali, fatti a mano per lui dalle gemelle sorellastre. Un disegno che ritrae il nuovo assetto familiare, e – soprattutto – un piccolo cuore a mo’ di portachiavi. Guardando il film, bisogna chiedersi che significato abbia quel cuore. Anne un giorno torna a casa e lo trova buttato – o perduto, o dimenticato – in giardino. Allora lo raccoglie, e lo conserva nella sua borsa. Di lì a poco la sua villetta viene svaligiata: rubano soldi, iPad, gioielli, e alle lista di cose che mancano va aggiunta anche quella sua firmatissima borsa nera. Sicché, mentre fa il bucato l’indomani, svuota le tasche dei jeans di Gustav, ed il piccolo cuore-portachiavi ricompare. Sarà quello il simbolo del loro segreto: lei non dirà a Peter che il ladro di turno è il loro nuovo figlio, e Gustav – il ragazzo problematico che vorrebbe avere un rapporto col padre – eccolo pronto a farsi preda, diventando l’amante della madre.
Che tutto scompaia.
In Dronningen gli elementi del grande cinema scandinavo ci sono tutti: c’è l’atmosfera perennemente ambivalente di “Festen”, di Thomas Vinterberg, c’è la glacialità della madre-assassina di “Sorg og Glæde”, di Nils Malmros, c’è la dialettica di colpa e desiderio, silenzio e demoniaco dell’Antichrist, di Lars Von Trier. Ma dov’è il cuore di questa donna incontenibile?
Il titolo internazionale del film è infatti “Queen of Hearts”, anche al fine di omaggiare il personaggio omonimo del romanzo di Carroll. “Cuori” al plurale che nella concisione del titolo danese tanto quanto nel corso del film non compaiono: nella lingua madre Trine Dyrholm è la Regina e basta. Il che lascia intendere possa essere anche l’ape regina, l’instancabile lavoratrice a strenua difesa del suo alveare. Quella che punge ed uccide, inganna e seduce, sintesi emblematica di una doppia morale che in realtà esemplifica e finisce per distruggere, a forza di negare.
Voto Autore: [usr
4]