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Painkiller, la serie Netflix tra poche luci e molte ombre

Perché guardarla, ma soprattutto perché volerne sapere di più

Painkiller, punta su una storia orribilmente vera e drammatica Netflix con questa miniserie in sei episodi. Rilasciata sulla piattaforma in piena estate… senza però il giusto calore e colpevolmente in ritardo. In ritardo perché si basa sull’epidemia degli oppioidi scoppiata negli Stati Uniti alla fine degli anni novanta e ancora in corso. In ritardo inoltre perché esce dopo due anni da Dopesick-Dichiarazione di dipendenza, serie Hulu del 2021 disponibile su Disney+. Che ha raccontato la vicenda in maniera più convincente e approfondita.

È balzata comunque al primo posto delle serie più viste al momento ed ha ricevuto anche alcune critiche positive. Ma sembra, a nostro avviso, più l’effetto del tema trattato come capita, a volte, con le canzoni di Sanremo, o con altri prodotti clickbait. E considerando l’argomento di cui parla, questo rende la cosa ancora più triste e censurabile.

Painkiller, il cast

Un nutrito gruppo di nomi di eccellenza e di attori in ascesa nella serie. Matthew Broderick è Richard Sackler, membro della nota famiglia denunciata dal docufilm All the beauty and the bloodshed di Laura Poitras, Leone D’oro 2022. È arrivato a capo della Purdue Pharma con un unico cinico obbiettivo. Mettere il dolore (pain) al centro dell’interesse degli americani. E curarlo attraverso l’OxyContin, un oppioide presentato come farmaco sicuro.

Il suo intento è emulare lo zio medico Arthur, interpretato da Clark Gregg, estimatore della lobotomia frontale prima e del Valium poi. Ormai morto, riappare al nipote in una serie di visioni in cui gli illustra la sua strategia promozionale aggressiva. Finanziare campagne a sostegno della cura del dolore. Formare informatori scientifici che inducano sempre più medici a prescrivere il nuovo medicinale. Spetta all’attrice West Duchovny la parte di Shannon Schaeffer, la giovane neolaureata di bell’aspetto convinta da guadagni a sei cifre e belle auto a diventare una di loro.

painkiller

Completano il cast principale Uzo Aduba, vista in serie come Orange is the New Black e In Treatment, che interpreta Edie Flowers, un’investigatrice che lavora per l’ufficio del procuratore specializzata in truffe mediche. E Taylor Kitsch che interpreta Glen Kryger un meccanico che, dopo un incidente alla schiena, assumerà l’OxyContin diventandone dipendente.

Gli altri attori sono Sam Anderson (Raymond Sackler), Dina Shihabi (Britt Hufford, informatrice), Carolina Bartczak (Lily Kryger), Noah Harpster (Curtis Wright, ispettore FDA corrotto), Tyler Ritter (John L. Brownlee, procuratore della Virginia).

Painkiller, una trama piccola piccola

Basata su un articolo di Patrick Radden Keefe pubblicato sul New Yorker solo a Ottobre 2017 intitolato “The Family That Built an Empire of Pain” e sull’omonimo libro di Barry Meier uscito nel 2003, la serie è stata sceneggiata dal duo Netflix Micah Fitzerman-Blue&Noah Harpster. Alla regia l’attore e sceneggiatore Peter Berg.

La storia parte in tempi recenti, nel corso di una indagine, e a quasi trent’anni dall’immissione sul mercato dell’OxyContin. Un nuovo farmaco antidolorifico basato su un rilascio continuo nell’arco di 12 ore, presentato come sicuro, perché non provocherebbe dipendenza. Richard Sackler aveva coinvolto l’ispettore dell’FDA Curtis Wright, presentando studi fasulli e grafici statistici alterati. E convinto tutta la famiglia che avrebbero fatto soldi a palate.

Oggi che una vera e propria epidemia da consumo di oppioidi ha causato la morte di oltre un milione di americani a causa di overdose letali e ridato vita al traffico dell’eroina, Edie Flowers, che per anni aveva investigato sul caso, viene chiamata a deporre sulla vicenda. Sullo sfondo le storie personali di Glen, che subisce un delicato intervento alla schiena, di Shannon che inizia a lavorare per la Purdue e della stessa Edie, che ha un fratello in carcere per spaccio.

Painkiller, il disclaimer di inizio puntate

All’inizio di ognuno dei sei episodi compaiono genitori o parenti di vittime dell’OxyContin, alle quali è affidato il compito di indicare che la storia si basa su fatti realmente accaduti e di ricordare la persona cara scomparsa. Nonostante le intenzioni, è questo uno dei fattori che più stride nella serie.

Che, aldilà dei tre personaggi citati di cui racconta l’evoluzione nel corso del tempo, sembra concentrarsi un po’ troppo su Richard-Matthew Broderick, in preda alle sue visioni e alla sua spietata rincorsa al successo economico ad ogni costo. Anche se altre serie ed altri film hanno dimostrato come questa tipologia di racconto possa suscitare emulazione ed invidia, piuttosto che approfondimento e riflessione.

Le poche luci della serie

Pur se ambientata dalla fine degli anni novanta in poi, la fotografia e le ambientazioni risultano estremamente dinamiche e moderne. Anche nelle scene di ricostruzione storica della vicenda dei Sackler e della loro ascesa, la scelta è quella di un prodotto che risulta contemporaneo e vicino nel tempo allo spettatore. Con la conseguenza di comprimere la percezione dell’arco temporale in cui la crisi degli oppioidi si è sviluppata.

L’interpretazione degli attori, in particolare Abuda e Kitsch, è di buon livello, a dispetto di personaggi tratteggiati in maniera un po’ superficiale. Se c’è spazio per dialoghi e frasi, o, come nel caso di Edie, per un racconto con accuse e conclusioni rese esplicite, molto poco è lasciato alla riflessione del soggetto e alla possibilità di comprensione ed immedesimazione di chi si trova davanti allo schermo.

Altro aspetto particolarmente curato, la colonna sonora. Che punta su musiche e canzoni piene di ritmo e particolarmente evocative giocando anche sul doppio significato delle parole (Candy di Iggy Pop, I Want Candy di The Rubix Cubes e Heroin di The Velvet Underground & Nico).

Painkiller, le molte ombre

La prima ombra difficile da superare a nostro avviso è il confronto con la serie Dopesick che ha avuto il pregio di raccontare da un punto di vista più corale ed accurato l’intera vicenda. Dalle intenzioni della famiglia mortale, alle tragedie delle vittime e dei protagonisti di una tossico-dipendenza provocata da un prodotto legale. Sullo sfondo i giochi di potere che hanno portato alla campagna di informazione-disinformazione sulla cura del dolore. E le cause che hanno provocato una diffusione massiccia ed incontrollata degli oppioidi e di altre droghe classiche meno costose.

Painkiller, invece, è come se mostrasse una delle tante vicende che hanno dato scandalo e che possano esser il materiale adatto per un prodotto da infotainment. L’impressione è che si sia puntato più su molte sequenze, immagini e monologhi capaci di colpire lo spettatore, magari anche di scioccarlo. Piuttosto che su un racconto ed un percorso che lo coinvolga e lo porti a sentire di avere un ruolo effettivo e attuale. Di chi abbia voglia di saperne di più per capire e non dimenticare.

Conclusioni

La crisi degli oppioidi è proseguita per almeno tre decenni e, secondo i ben informati, non si è ancora conclusa. È stata riconosciuta negli Stati Uniti come problematica di rilevanza nazionale solo nel 2007 e in Europa se ne è parlato davvero poco. L’aspetto più drammatico sono gli strascichi e le connivenze che hanno continuato ad alimentarla.

Affondano nella malavita, come mostrava drammaticamente già più di dieci anni fa la serie FX Justified trasmessa tra il 2010 e il 2015 con protagonista l’attore Timothy Olyphant. Ma anche nel comportamento che sarebbe stato tenuto da altre case farmaceutiche che hanno emulato e portato avanti il piano cinico e diabolico dei Sackler.

Perché Painkiller parla solo di loro? Perché i Sackler hanno inondato il mondo non solo delle loro caramelle della morte, ma anche del loro nome in veste di benefattori in musei, scuole, istituti benefici e luoghi di cultura. Quindi la serie, concentrandosi solo su di loro, e parlandone al passato, finisce per spazzare tutta la polvere sotto il tappeto. E portare lo spettatore a guardarla, magari fino alla fine. Ma poi a non volerne più sentir parlare. Che, per un dramma dalle dimensioni epocali, è davvero troppo poco.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Sei episodi tra l'eccitazione distratta e la voglia di sentirsi completamente estranei alla vicenda. Se l'unico effetto positivo è che non provocano dipendenza, la sensazione che emerge a tratti in maniera fastidiosa è quella di una tragedia, vera, reale ed attuale, strumentalizzata e sfruttata. In fondo simile a quanto fatto, consapevolmente e cinicamente, dai componenti della famiglia della morte-
Silvia Morghen
Silvia Morghen
Nata a Roma, con una Laurea in Economia alle spalle, una passione per cinema e serie TV, un amore viscerale e mai tradito per la Musica e per le Parole, pensate scritte e parlate, mi porta a cercare un punto di vista, un angolo di visuale, con i quali raccontare le cose da insider. O meglio, da infiltrata doc.

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