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I soliti sospetti, recensione del cult movie

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I soliti sospetti, titolo originale The Usual Suspects, è un film di genere giallo e thriller del 1995 diretto da Bryan Singer e scritto da Christopher McQuarrie, prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer (MGM). Divenuto presto un cult del ed entrato nell’immaginario collettivo globale, la pellicola è stata presentata fuori concorso al quarantottesimo Festival di Cannes.

I soliti sospetti cast

Il cast principale è formato da Kevin Spacey (Roger “Verbal” Kint), Gabriel Byrne (Dean Keaton), Kevin Pollak (Todd Hockney), Pete Postlethwaite (Kobayashi), Stephen Baldwin (Ray McManus), Benicio del Toro (Fenster), Peter Greene (Redfoot), Chazz Palminteri (David Kujan), Suzy Amis (Edie Finneran), Clark Gregg (Dr. Walters), Dan Hedaya (Sergente Jeffrey “Jeff” Rabin) e Giancarlo Esposito (agente speciale Jack Baer).

I soliti sospetti trama

New York: l’indagine sul furto di una grossa quantità d’armi porta cinque criminali, già noti alle forze dell’ordine, ad un confronto all’americana, dal quale usciranno apparentemente tutti puliti. Sei settimane dopo però tre di loro muoiono – insieme a molte altre persone – su una nave misteriosamente esplosa nel porto di San Pedro, in California: si salva solo Roger Kint, un truffatore di poco conto, soprannominato Verbal a causa della sua tendenza a parlare troppo e divagare ancora di più, capacità che tuttavia gli sarà molto utile, in quanto l’uomo deve essere sottoposto ad un lungo interrogatorio.

I soliti sospetti

I soliti sospetti e la sindrome di Keyser Söze

I soliti sospetti è il secondo lungometraggio firmato da Bryan Singer, noto soprattutto per aver diretto quattro film della saga degli X-Men – in particolare X-Men (2000), X-Men 2 (2003), X-Men: Giorni di un futuro passato (2014) e X-Men: Apocalisse (2016) -, dopo Public Access (1993). La pellicola racconta sul grande schermo un complicato intreccio che è capace di entusiasmare e tenere lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultima scena, creando importanti aspettative e senza deludere il proprio pubblico.

Il fulcro assoluto della pellicola è l’efficace descrizione di Keyser Söze, un personaggio quasi diabolico, imperscrutabile e tuttavia sempre presente, la cui crudeltà ed efferatezza vengono trasmesse senza mai mostrarne il volto. Un’entità intangibile e oscura, un mezzo per esaltare un’inquietudine quasi assillante.

La figura del boss viene stigmatizzata dall’utilizzo ottimo di una fotografia (firmata da Newton Thomas Sigel) soffusa, patinata e ricca di luci soffocate, perfetta per rendere al meglio e sottolineare il tono del film. E e dalla creazione in scenografia di un’ambientazione sporca, periferica e pericolosa, che si rifà allo stile tipicamente noir ma allo stesso tempo ne prende le distanze, andando ad inaugurare un micro-genere completamente proprio. Infatti, si può dire che I soliti sospetti inaugura, insieme al film di David Fincher Seven, un modo nuovo di concepire il colpo di scena finale, marchio di fabbrica del thriller. Così tanto che questo tipo di dinamica è stata definita negli anni Sindrome di Keyser Söze, termine che talvolta è stato utilizzato nella critica cinematografica anche con accezione negativa.

I soliti sospetti

Una sceneggiatura perfetta

Ma è lo script a rivelarsi il nodo fondamentale de I soliti sospetti, in grado di mettere in scena una vicenda contorta che, durante il suo svolgimento, si snoda in realtà con una facilità e semplicità disarmanti. Un esempio calzante a questa osservazione, oltre al claim stesso del film In a world where nothing is what it seems you’ve got to look beyond” (“In un mondo in cui niente è quel che sembra devi guardare oltre”), risulta essere la lunga conversazione tra l’ispettore di polizia e Verbal Kint, nella quale ogni singola parola pronunciata dai due personaggi ha un suo determinato significato.

Sin dall’inizio dell’interrogatorio, lo spettatore è portato a identificarsi con la figura dell’agente Kujan, l’attento uditore della confessione. Per questo motivo è implicitamente tenuto ad arrivare alla verità in mezzo a il tutto e al contrario di tutto raccontato da Verbal. Una forma di intrattenimento pura e genuina, in cui il pubblico deve districarsi all’interno di una storia principalmente inventata.

Ottime risultano essere anche le prove attoriali, altro grande fattore che ha portato I soliti sospetti ad imporsi come film di culto. Su tutti, il funzionale Gabriel Bryne e lo straordinario Kevin Spacey, il quale interpreta con grande profondità un ruolo per niente semplice. Verrà premiato con l’Oscar al migliore attore non protagonista durante la cerimonia del 1996, al termine di un’annata che lo vedrà imporsi come uno degli attori più talentuosi della sua generazione.

I soliti sospetti

La regia al servizio della sceneggiatura

Per quanto riguarda il lato tecnico, oltre alle già citate fotografia e scenografia, non bisogna sottovalutare l’operato del giovane Bryan Singer, che si diverte con una regia d’azione pulita e avvincente. Il tutto in connubio perfetto con la sceneggiatura, in cui anche tutte le varie scene leggermente sopra le righe vengono giustificate dal turning point nel finale.

Oltre ai numerosi riconoscimenti ottenuti da Kevin Spacey, tra cui pure una nomination ai Golden Globe del 1996. I soliti sospetti ha ricevuto anche il premio Oscar alla migliore sceneggiatura originale e due premi BAFTA – come migliore sceneggiatura originale e miglior montaggio.

Trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni
Samuele Galleri
Samuele Galleri
Cinefilo di seconda generazione, amante soprattutto delle serie televisive e del cinema di animazione.

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