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Mean Streets: l’inferno di Scorsese

New York. Ci sembra di conoscerla anche senza aver mai calpestato i suoi marciapiedi. Perché per molti di noi New York si trova esattamente lì. Dentro la sala di un cinema. Proiettata su un grande telo bianco, attraversata dal taxi giallo guidato da Robert De Niro, contemplata da una panchina su cui siede Woody Allen.
C’è chi New York l’ha vista davvero e chi l’ha immaginata, toccata e assaggiata così, attraverso lo schermo. A sentirla nominare alcuni penseranno irrimediabilmente alla nevrotica città di Allen, altri all’assillante metropoli di Scorsese. Tutti penseranno al cinema. Al grande cinema.
Ma New York non esiste solo in sogno. Non esiste solo al cinema. E nessuno come Martin Scorsese ha narrato il mondo dell’immaginario, affascinante ed ipnotico, e l’oscura complessità del reale. Esiste un film che più di tutti ha saputo rivelare le pure ossessioni newyorkesi: “Mean Streets” del 1973. In ogni scena, in ogni personaggio, in ogni dialogo si assapora il gusto autentico del cinema di Scorsese.

Mean Streets

I suoi film vacillano tra il tangibile desiderio di descrivere la realtà e l’attrazione per l’invenzione, per lo spettacolo. Ed è per questo che la città di New York è teatro perfetto per la sua fascinazione cinematografica, per quei suoi gangster ordinariamente crudeli, per quei martellanti dilemmi religiosi.

“Mean Street” annuncia i capolavori che verranno, proclama Scorsese come uno dei più grandi narratori del nostro tempo e promette al cinema i volti di Robert de Niro e Harvey Keitel. Violenza e tenerezza, obbedienza e ribellione, fuga dall’inferno e illusione del paradiso. “Mean Streets” è tutto qui. In “Mean Streets” è già tutto qui.

“Mean Streets” è il ritratto di una realtà autodistruttiva, gretta e soffocante. È una fotografia scattata con amore, e con sofferta indulgenza: come se l’autore dello scatto non sapesse se porsi dietro o davanti all’obiettivo. Scorsese è nato a Long Island, figlio di migranti siciliani, cresciuto calpestando il cemento di New York. Una sola scelta possibile: “diventare gangster o diventare prete”. Il cinema è stato l’occhio che ha saputo mostrargli un’altra realtà, un’altra strada. La lusinga di una vera occasione. Ma il peso della realtà non si lascia accantonare nell’oblio, e così il talento che ne scaturisce sa esprimere intimamente i dilemmi e le contraddizioni che non smettono di tormentare, nemmeno dopo il successo.

Mean Streets

“Mean Streets” è la storia di una Little Italy dalla quale si vuole scappare, ma senza avere il coraggio di ammetterlo nemmeno a se stessi. È una storia lastricata di peccati per la cui assoluzione non può bastare una preghiera. È la storia di un tormento interiore che non si sa come spegnere.

Il giovane italo-americano Charlie Cappa (Harvey Kietel) è intento a conquistare il proprio posto nel mondo in cui è cresciuto. Lo zio Giovanni, uno dei più importanti criminali del quartiere, lo osserva e lo mette alla prova affidandogli alcuni lavori non troppo leciti. Charlie è in costante lotta fra la sua fervente fede cristiana e le attività che l’ambiente mafioso gli impone. Il mondo di Charlie è maschilista e criminale, ma lui brama la purificazione e il perdono. L’amata Teresa (Amy Robinson), sogna una vita lontana da Little Italy, ma in quell’ottuso microcosmo la ribellione non può essere contemplata. Il suo migliore amico è lo sbandato strafottente Johnny Boy (Robert De Niro): debitore incallito, indolente ed impulsivo, si sollazza fra scommesse e fallimenti, rendendo impossibile all’amico Charlie essergli d’aiuto. Nonostante gli sforzi del giovane Cappa il calore delle fiamme dell’inferno diventerà sempre più soffocante.

Il personaggio di Charlie ci ricorda molto da vicino il giovane Martin Scorsese, con il quale condivide la medesima dose di affetto e repulsione per ciò che lo circonda.  Johnny Boy richiama alla memoria qualcuno che incontreremo sul grande schermo qualche anno più tardi: lo scapestrato scansafatiche sembra una versione giovanile di Louis Gara, il personaggio interpretato dallo stesso De Niro in “Jackie Brown” di Tarantino. Johnny Boy fa il suo ingresso in scena accompagnato da Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stone e nel corso del film lo vedremo impegnato nel centrare l’Empire State Building con una calibro 38. Un personaggio che ci invoglia a prenderlo a schiaffi, la cui negligenza ci infastidisce, ma che senza dubbio non sapremo dimenticare.

Mean Streets

Martin Scorsese per la prima volta ci prende per mano e ci accompagna nella foresta urbana in cui è cresciuto. In quei luoghi che sa descrivere con dolorosa e profonda comprensione. Luoghi abitati da estorsioni, finte amicizie e veri delinquenti. La camera di Scorsese si muove con fare documentaristico in un ambiente che ha tutto l’acerbo sapore della realtà. L’impatto della pellicola è potente e diretto: il regista ha permesso agli attori di improvvisare interi dialoghi e di riprovare le stesse scene fino a quando la loro conversazione non fosse divenuta spontanea. Spazio allo slang di strada e alla tremante camera a mano qua e là, per un film che ci rammenta l’amore di Scorsese per il Neorealismo.

Martin Scorsese è il desiderio di rivelare la verità e il piacere di narrarla sotto forma di spettacolo, e così anche nel crudo “Mean Streets” non mancano le citazioni: i protagonisti vanno al cinema per assistere a “Sentieri Selvaggi” con John Wayne, in tv il boss Giovanni guarda “Il grande caldo” di Fritz Lang. A sua volta “Mean Streets” irromperà in altri percorsi creativi, come in quello di Wong Kar-wai, che per il suo esordio alla regia “As Tears Go By” si ispirerà proprio al capolavoro di Scorsese del ’73. Andy Lau sarà tormentato dagli stessi conflitti di Keitel e un indimenticabile Jacky Cheung interpreterà un ruolo molto vicino a quello di De Niro.

Mean Streets

“Mean Streets” è una tela straordinaria in cui è impresso uno dei volti del sottoproletariato urbano. A muoversi dentro al quadro cupo e iperrealistico è il non eroe Keitel, dominato dagli stessi dilemmi che perseguitano il De Niro di “Taxi Driver” e quello di “Toro Scatenato”: il problema dell’esistenza, della ricerca spasmodica del proprio posto nel mondo. Scorsese cerca risposte a domande eterne, indaga la realtà con occhio puro e la racconta con voce dura. “Mean Streets” è pungente e sgarbato, il brusco racconto di qualcosa che non esiste più, ma è una storia così maledettamente vera da pretendere di essere ri-ascoltata.

Voto Autore: [usr 4,5]

Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.

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