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Love Exposure

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Serio e faceto o, meglio, sacro e profano sono i due antitetici elementi che caratterizzano le quattro ore (ma la versione originale, bocciata dai produttori, ne durava addirittura sei) di visione di Love Exposure. Una visione fiume come la copiosa durata fa presagire e che si ammanta, letteralmente, di tutto e di più, condensando all’interno del corposo minutaggio l’idea omnia di cinema del regista, il giapponese Sion Sono. Un autore che in carriera ha sempre puntato sull’estremo come forma d’arte, rassomigliando in questo seppur con stili e toni diversi al connazionale, anch’esso di culto, Takashi Miike: basti pensare al precedente dittico drama / horror formato da Suicide Club (2001) e Noriko’s Dinner Table (2005) o ai successivi Guilty of romance (2011) e Why don’t you play in hell (2013), quest’ultimo folle dichiarazione al mestiere di cineasta, per comprendere quanto l’adagiarsi sugli allori del filone commerciale sia l’ultimo dei pensieri del Nostro. Ma torniamo al film qui oggetto d’analisi, datato 2008, che può essere considerato l’opera massima, il vero e proprio capolavoro in una filmografia costellata di ottime pellicole.

Love Exposure

La trama, ricca di risvolti e soluzioni sempre più imprevedibili, si concentra inizialmente sul personaggio di Yu Honda, studente del liceo cresciuto in una famiglia profondamente religiosa: la madre, morta per una grave malattia quando era solo un bambino, era una devota di Maria e da lì Yu si è convinto che la donna della sua vita dovrà incarnare qualità pari a quelle della Vergine. Qualche tempo dopo il lutto il padre, consumato dal dolore, decide di diventare prete della piccola comunità locale ed è proprio in Chiesa che incontra colei che diverrà la sua amante. Dopo la rottura burrascosa tra i due il reverendo diventa sempre più rigido con Yu, costretto a confessare ogni giorni peccati che non ha commesso pur di compiacere il genitore. Ed è in questa sua discesa agli inferi che diventa il leader di una gang specializzata nel fotografare le mutandine delle ragazze, con tecniche e acrobazie kung-fu atte a non farsi scoprire. Proprio dopo aver perso una scommessa con gli altri membri della banda, Yu è costretto a vestirsi da donna e assumere momentaneamente l’identità di Miss Scorpion ed è sotto queste veste femminili che fa la conoscenza di Yuko, comprendendo subito come la ragazza sia la “Maria” da lui sempre cercata. Nell’aiutarla a difendersi da una banda di bulli, Yu / Miss Scorpion attira le attenzioni di Yuko e i due si scambiano un bacio, ma la seconda pensa che il Nostro sia per l’appunto una donna, dando il via ad una serie di equivoci che si complicano ulteriormente con l’entrata in scena di un’altra figura, la coetanea Aya Koike, adepta della misteriosa setta religiosa conosciuta come Zero Church, che sembra covare un particolare interesse proprio per i due potenziali innamorati.

Love Exposure

Una pura estasi cinefila, che passa dallo scult al sublime nell’arco di pochi secondi anche all’interno di una singola scena, giostrando proprio su questa differenza di stili e atmosfere per creare un affresco unico e irripetibile, che inorridisce ed emoziona all’interno dello stesso insieme. Perché come spesso nelle opere del regista la violenza è ben presente, con un taglio splatter volutamente calcato negli eccessi di sangue sgorgante dalle ferite nelle fasi più action-oriented, ma si accompagna sempre ad un istintivo tratteggio dei sussulti introspettivi: non è un caso che, sopra ogni cosa, l’amore sia l’elemento determinante che lega le due figure principali e lo stesso fotogramma finale, figlio di un epilogo parzialmente aperto, lo sottolinei ulteriormente e si ponga come perfetta chiusura di una così lunga odissea di celluloide. Il grande merito di Love Exposure è quello di rendere il viaggio sempre brioso e originale, senza momenti di stanca che potrebbero far calare l’attenzione; anche le fasi più lente, con lunghi silenzi ricolmi di significante attesa, nascondono una tensione latente che appassiona al destino dei protagonisti, rendendo di fatto le quattro ore più leggere del previsto tanto che, al giungere dei titoli di coda, se ne vorrebbe ancora.

Love Exposure

Sono utilizza più registri non solo narrativi per variare costantemente le dinamiche leganti i vari fili del racconto e i relativi rapporti interpersonali: dal suggestivo incrocio di dialoganti voice-over a split-screen che si trasformano in un bizzarro e affascinante botta e risposta tra interlocutori inconsapevoli, dal countdown che separa la prima parte dall’avvenimento dell’agognato miracolo (leggasi l’incontro con Yuko / Maria) a suggestivi squarci visionari sul declino della società contemporanea, dove ognuno è potenziale e metaforica vittima di proiettili fuori controllo, Love Exposure osa e osa senza freni e limiti di sorta in un meltin pot iconoclasta e grottesco. La presenza della religione cattolica e della misteriosa setta nemica, costanti nel corso dell’intera vicenda, viene sfruttata con toni ironicamente dissacratori, così come la sessualità giapponese, vittima da troppo tempo di un voyeurismo castrante e fanatico che qui si esplicita nelle assurde quanto divertenti evoluzioni fotografiche atte a fotografare le parti intime della malcapitate fanciulle.

Love Exposure

Love Exposure è anche uno scontro / incontro tra disperazioni e non è un caso che le tre anime collimanti (Yu, Yuko e Koike) abbiano rispettivamente, seppur con una durata sensibilmente variabile, ognuno un breve capitolo dedicato al loro passato e ai traumi d’infanzia che li hanno condotti allo stato attuale. Uno scavo utile per comprendere al meglio le relative psicologie e anche i comportamenti apparentemente più illogici e crudeli che i nostri dimostreranno nel corso della storia, procedente sempre più verso un inferno dantesco da mystery thriller nella seconda metà. Genere tra i generi che qui convive con la commedia, romantica e demenziale al contempo, e con l’horror che si fa strada sia dal punto di vista metafisico che da quello emoglobinico, per un film coniugante con magistrale equilibrio orrore e tenerezza in un ibrido senza eguali, con scene madri di inusitata potenza (vedasi la sfuriata sulla spiaggia di derivazione biblica) e una colonna sonora dannatamente cool, in una vera e propria esperienza unica da vivere e rivivere con la meraviglia di una continua scoperta.

Voto Autore: [usr 5]

Maurizio Encari
Maurizio Encari
Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.
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