Il Riccio, la recensione del film di Mona Achache, una favola moderna ed elegante
Agrodolce, piacevole e alla fine commovente, Il Riccio di Mona Achache è un film ben definito con sfumature fiabesche su una precoce ragazzina intenta a porre fine alla sua vita. Con i suoi punti di vista in continuo mutamento e le sue estese riflessioni sulla filosofia e la letteratura, il romanzo bestseller di Muriel Barbery “L’eleganza del riccio” non era facile da adattare sul grande schermo. Ma la regista ha fatto un ragionevole tentativo di adattarlo per il suo primo lungometraggio.
Riducendo la narrazione all’osso e concentrandosi sull’essenziale, Il Riccio è un dramma avvincente e distintivo che conserva qualcosa del potere letterarario del romanzo. Un favola moderna ed elegante libera dagli elementi sdolcinati e dai confini formali che Hollywood ci ha condizionato ad aspettarci.
Ambientato in un classico condomio parigino nel sesto arrondissement, Il Riccio di Mona Achache è narrato in gran parte attraverso gli occhi della giovane Paloma. Splendidamente interpretata dalla luminosa Garance Le Guillermic, Paloma è una ragazzina di 11 anni profondamente annoiata che ha deciso di uccidersi per il suo dodicesimo compleanno. Affascinata dall’arte e dalla filosofia mette in discussione e filma la sua vita, girando scene spesso molto divertenti del mondo che la circonda. Ma mentre il suo appuntamento con la morte si avvicina, Paloma incontra due improbabili anime affini: la portinaia e un nuovo inquilino.
La portinaia dell’edificio è la tranquilla Renee Michel interpretata dall’ineffabile Josiane Balasko. Deve essere difficile essere un riccio. Sotto tutte quelle spine, deve esserci una bella creatura coccolona. I ricci sono spinosi all’esterno, ma più teneri all’interno. E questa è la metafora per capire Renee Michel, che non è la portinaia incolta che finge di essere, ma una donna con un’insaziabile sete di conoscenza e una passione per le grandi opere letterarie.
E poi c’è il giapponese Kauri Ozu (Togo Igawa), il nuovo proprietario di un appartamento. Vedovo ed amante dell’arte, riconosce nella tranquilla portinaia un’anima e una mente profondamente affascinanti.
Il Riccio, la recensione del film di Mona Achache e la profonda umanità dei personaggi
Il Riccio è un film che dimostra con forza come gli individui possono rimanere intrappolati nel loro mondo interiore se lasciano che i loro pregiudizi e la loro bassa autostima governino le loro vite. Anche se esternamente non potrebbero essere più diversi, i tre protagonisti principali sono interiormente molto simili. Trovano difficile accettare il mondo che li circonda e preferiscono crogiolarsi nei loro paradisi privati.
È l’autenticità con cui questi tre personaggi sono interpretati (da tre attori di grande talento) che rende il film così efficace e così commovente, nonostante le sue carenze in altri reparti. Questi personaggi non sono il tipo con cui il pubblico di cinema sarebbe naturalmente coinvolto. Sono introversi, dall’aspetto semplice e libresco. Eppure sono disegnati con una tale profondità e umanità che non puoi fare a meno di simpatizzare con loro come si fa con un riccio.
La Achache, che ha scritto anche la sceneggiatura, ha infuso nel suo film una calda umanità, allontanandosi abilmente dai commenti didattici e classisti. Paloma infatti maligna la sua famiglia per il loro stile di vita borghese, ma sono presentati anche con simpatia nonostante le sue sprezzanti denunce dietro la sua telecamera.
Il Riccio è un film che si distingue. Nonostante la sua capacità di avventurarsi nella stravaganza (come spesso fa il cinema francese contemporaneo, un esempio è Il favoloso mondo di Amelie) rimane sempre fondato sulle sue ben osservate interpretazioni dei personaggi. È esemplare nel suo presentimento sfumato e nella tensione lenta che arresta il suo pubblico fin dall’inizio. Il suo umorismo secco, carico di malinconia, sfocia dolcemente in una tragedia toccante e mozzafiato.
Il film di Mona Achache ha molti punti di forza, ma è ben lontano dall’essere un pezzo di cinema impeccabile. Il ritmo regolare e punteggiato da alcuni momenti di introspezione inutilmente prolungati pone grandi richieste allo spettatore. Eppure, tra il suo inizio lento e il finale goffamente troncato, ci sono alcune scene di eccezionale potenza. In particolare quelle in cui i tre protagonisti non amati lottano per tirarsi fuori dai rispettivi gusci nella speranza di accendere una fragile amicizia.